2024-04-16
L’Arabia saudita è già stufa degli ayatollah e spera che finisca presto l’era Biden
Donald Trump e Mohammad Bin Salman (Getty Images)
La collaborazione con Israele contro il raid iraniano testimonia che Riad è tornata sulle posizioni degli Accordi di Abramo. Aspettando The Donald alla Casa Bianca.Qualcosa sta cambiando in Medio Oriente. L’attacco iraniano di sabato contro Israele ha probabilmente funzionato come acceleratore di dinamiche politico-diplomatiche già in corso da tempo. Sì, perché pare proprio che, pian piano, la logica degli Accordi di Abramo stia tornando a farsi strada. Il Wall Street Journal ha riportato che Riad non solo avrebbe chiesto a Teheran di evitare l’offensiva ma anche che, assieme agli Emirati arabi, avrebbe condiviso con gli Usa materiale d’intelligence per contrastare l’attacco iraniano. Un ulteriore dettaglio interessante è stato riportato domenica dal Times of Israel, secondo cui un «anonimo funzionario della famiglia reale saudita» avrebbe accusato il regime khomeinista di aver «costruito una guerra a Gaza» con lo scopo di far deragliare il processo di normalizzazione dei rapporti tra Riad e Gerusalemme. «L’Iran è un Paese che sponsorizza il terrorismo e avrebbe dovuto essere fermato molto tempo fa», avrebbe aggiunto il funzionario. Eppure Arabia Saudita e Iran avevano avviato l’anno scorso un processo di distensione. Senza poi trascurare che, autoattribuendosi il ruolo di campione dei palestinesi e finanziando Hamas, l’Iran aveva usato la crisi di Gaza in corso per cercare di costringere i Paesi arabi ad accodarsi alle proprie posizioni anti israeliane. E allora che cosa sta succedendo?L’attacco iraniano di sabato ha probabilmente fatto emergere malumori rimasti finora dietro le quinte. Nonostante la distensione, l’Arabia Saudita ha infatti continuato a temere il regime khomeinista, considerandolo aggressivo e inaffidabile. E questo non solo per il suo potente network terroristico regionale ma anche perché, come rivelato dal Washington Post, Teheran sarebbe a un passo dal conseguire la bomba atomica. Uno scenario storicamente temuto dai sauditi che, a questo punto, preferiscono porsi sotto l’ombrello nucleare israeliano e americano. Mettendosi sotto quello iraniano, Riad perderebbe infatti influenza geopolitica, rischiando di diventare un vassallo di Teheran. D’altronde, pochi giorni prima dell’attacco di sabato, le Guardie della rivoluzione islamica si erano lamentate della vicinanza degli Emirati arabi a Israele: ricordiamo che, oltre a intrattenere stretti legami con Riad, Abu Dhabi fu uno dei firmatari degli Accordi di Abramo nel 2020. Senza infine trascurare che, sabato, la Giordania ha usato la propria difesa aerea per contribuire ad abbattere i droni iraniani: quella stessa Giordania che, soprattutto a partire dall’anno scorso, si è avvicinata ai sauditi.Ma c’è un altro elemento che gli arabi stanno considerando: le prossime presidenziali americane. I sauditi sono in pessimi rapporti con Joe Biden. Anzi, la loro distensione con gli iraniani è sorta proprio per due ragioni. Primo: avevano preso pragmaticamente atto dell’approccio soft dell’attuale presidente americano verso gli ayatollah. Secondo: hanno voluto fare machiavellicamente un favore ai cinesi (che quella distensione avevano mediato) per assestare così un colpo all’influenza mediorientale dell’attuale Casa Bianca. Si trattò quindi più di una mossa a breve che a lungo termine. Esattamente come Gerusalemme, Riad non ha mai digerito l’appeasement di Biden verso gli ayatollah, iniziato nel 2021: l’attuale presidente americano aveva tolto gli Huthi dalla lista delle organizzazioni terroristiche, avviato negoziati per ripristinare il controverso accordo sul nucleare con Teheran e sbloccato vari asset iraniani precedentemente congelati. Eppure, anziché avvicinare i khomeinisti agli Usa, questa linea li ha resi più protervi, oltreché propensi a rafforzare i loro rapporti con Mosca e Pechino. È in quest’ottica che, pur non auspicando una generalizzazione del conflitto, i sauditi non hanno verosimilmente gradito il fatto che Biden abbia intimato a Benjamin Netantayhu di non reagire all’attacco iraniano. Più in generale, i sauditi non perdonano al presidente americano di aver archiviato la politica della «massima pressione» sul regime khomeinista, che era stata attuata dall’amministrazione Trump.E veniamo proprio a Donald Trump. Da quando è scoppiata la crisi di Gaza, il candidato repubblicano ha spesso rivendicato l’efficacia della sua politica iraniana, accusando a più riprese Biden di debolezza nei confronti di Teheran. Una posizione con cui l’ex presidente sta strizzando l’occhio a sauditi e israeliani. Ricordiamo infatti che la logica degli Accordi di Abramo presupponeva come premessa l’isolamento del regime khomeinista, le cui mire nucleari sono storicamente temute tanto a Gerusalemme quanto a Riad. Giovedì, su queste colonne, uno dei principali consiglieri per la sicurezza nazionale di Trump, il generale Keith Kellogg, ha dichiarato che, in caso tornasse alla Casa Bianca, il candidato repubblicano cercherebbe di impedire all’Iran di conseguire l’arma nucleare e punterebbe a ripristinare gli Accordi di Abramo. A marzo, lo stesso Kellogg ha guidato una delegazione del think tank trumpiano America first policy institute nello Stato ebraico, per incontrare il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant. Tutto questo, mentre, dopo il 7 ottobre, i tentativi diplomatici dell’amministrazione Biden per arrivare a una normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita si sono arenati. D’altronde, sia per Gerusalemme che per Riad manca la precondizione: il ritorno della «massima pressione» americana sugli ayatollah.Insomma, mentre i loro timori verso l’Iran si accentuano, gli arabi scommettono sul ritorno di Trump e, pur non rompendo ancora esplicitamente con Teheran, fanno leva sull’attacco di sabato per cominciare a raffreddare gradualmente i rapporti con quei khomeinisti che tutto si augurano fuorché una vittoria del candidato repubblicano a novembre.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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