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2018-05-08
Appoggio esterno o voto subito. Berlusconi tratta tutta la notte
ANSA
Tutto o niente. Il centrodestra non ha nessuna intenzione di assecondare la proposta del presidente del Repubblica e la rigetta con toni differenti. Matteo Salvini è ruggente: «Elezioni subito, maggioranza assoluta e cambieremo l'Italia da soli». Silvio Berlusconi lo asseconda con meno fervore: «Il voto non ci spaventa, ma l'estate non aiuta. Meglio andare alle urne in autunno».
La pressione delle parole del presidente si avverte fino a Palazzo Grazioli, dove Berlusconi sembra vedere Sergio Mattarella che lo indica con il dito nervoso, attraverso lo schermo, mentre parla di «offensiva della speculazione», di «prima volta nella storia della Repubblica che la legislatura si scioglie senza essere iniziata» e ancora che «il voto degli italiani rimane inutilizzato». Il capo dello Stato gli ha azzoppato ben tre cavalli di battaglia: il primo un governissimo di coalizione con la benedizione del Quirinale nel quale inserire ministri graditi; il secondo quel governo di centrodestra con Salvini premier che avrebbe dovuto andare a cercare la maggioranza in Parlamento grazie ai responsabili alla Antonio Razzi e Domenico Scilipoti; il terzo un governo di minoranza sostenuto da chi fosse di volta in volta in sintonia con i programmi proposti. Per questo il Cavaliere, nella foto ricordo della terza consultazione, risulta silente, con il broncio e con un incubo peggiore dello stesso Luigi Di Maio: le elezioni alle porte.
Così il centrodestra si ritrova dentro un sogno surreale, come se oggi fosse la mattina del 5 marzo ma senza niente da festeggiare. Politicamente siamo a quel giorno e alla lunga sospensione dell'esistenza che ne è seguita. Siamo alle macerie dell'accordo M5s-Lega con la fattiva collaborazione del leader azzurro, siamo all'implosione del Pd, siamo alle regionali che hanno dato un formidabile risultato di coalizione ma hanno confermato il sorpasso della Lega ovunque, siamo ai rimbrotti di Mattarella. E siamo finalmente alla lunga notte del supervertice di coalizione con Salvini e Giorgia Meloni, organizzato immediatamente dopo le parole del capo dello Stato. Per Berlusconi una non facile notte dell'Innominato, incerto se arrendersi a tornare al voto (con qualche colpa) o dare l'ok all'esecutivo di garanzia, di fatto contro la volontà del suo alleato principale.
Salvini risponde a Mattarella pronunciando e ribadendo parole che non lasciano dubbi: «È fondamentale che il voto degli italiani venga rispettato. Quindi o un governo del centrodestra oppure elezioni il prima possibile, per la prima volta in estate. Non c'è tempo da perdere, non esistono governi tecnici alla Mario Monti, contiamo che Berlusconi mantenga la parola data e abbia la nostra stessa coerenza. Poi gli italiani ci daranno la maggioranza assoluta e cambieremo l'Italia da soli». Poi aggiunge per essere ancora più chiaro: «Mattarella vuole un governo neutrale? Per carità, serve un governo coraggioso, determinato e libero, che difenda in Europa il principio del “prima gli italiani", che difenda lavoro e confini, altro che governino per tirare a campare».
La situazione è curiosa perché Mattarella, che secondo gli analisti in doppiopetto non avrebbe mai dato un incarico a Salvini, oggi ne è il più ferreo alleato. Evocando le elezioni a luglio o a ottobre mette pressione a Berlusconi, lo induce a rivedere gli orizzonti. A meno che il Cavaliere elettrico non decida di giocare il tutto per tutto andando alle urne per raggiungere il 40% che farebbe saltare il banco dopo una brevissima ma feroce campagna elettorale. Di quelle che lui, capace di vincere anche nelle situazioni impossibili (ma a un'altra età), conosce molto bene. In attesa di tornare candidabile; per questo fa il tifo per l'autunno.
Oggi le elezioni sono l'incubo del Cavaliere. Per due motivi molto semplici. Primo, nessun indicatore dà Forza Italia in ripresa, anzi continua all'interno del campo di centrodestra l'Opa di Salvini sul partito inventato da Berlusconi con un'idea geniale in quel 1994 che battezzò la Seconda Repubblica. In Molise e in Friuli la Lega ha sfondato, al Nord è una valanga. E una tornata elettorale così ravvicinata, senza correttivi alla legge elettorale, potrebbe cristallizzare questa leadership. Secondo motivo: nei cenacoli leghisti già si parla del partito unico e una parte di Forza Italia spinge per concretizzarlo (Giovanni Toti sul modello Liguria, soprattutto). Due giorni fa Roberto Maroni in un'intervista ne ha addirittura sussurrato il nome: Lega Italia. Il leader naturale oggi sarebbe Salvini, che riuscirebbe così in quell'operazione di successione forzata del fondatore fallita con tutti. Con Pierferdinando Casini, con Angelino Alfano, con Raffaele Fitto, con lo stesso Toti, con Stefano Parisi.
La strada si è ristretta, è diventata un tratturo e i due mesi dedicati ai veti incrociati hanno inquinato ogni pozzo, annullato margini di manovra. Quando un diplomatico naturale come Giancarlo Giorgetti si lascia sfuggire che «Di Maio non conta più un c...» (frase poi parzialmente smentita), significa che siamo ai materassi. Così l'ultimo vertice a tre fra Di Maio, Salvini e Giorgetti si è rivelato utile solo per concordare una data elettorale (8 luglio) che probabilmente non otterranno. A questo punto le elezioni diventano non una scelta, ma una liberazione per rimettersi fra le braccia degli italiani. E chiedere loro di sciogliere il nodo creato da un mix letale fra legge elettorale e politici più affini ad Antonio Cariglia che ad Alcide De Gasperi. Dopo i governi balneari di democristiana memoria ecco l'incubo delle elezioni balneari. La cabina elettorale a righe bianche e blu ce la potevano risparmiare.
L’accordo Di Maio-Salvini? C’è, ma per le elezioni M5s sogna già quota 40%
Non abbiamo giornali, non abbiamo televisioni, non abbiamo i miliardi, non maneggiamo i sondaggi: quindi vinciamo di nuovo e questa volta arriviamo al 40%... È questo quello che si sono detti nel fine settimana i vertici dei 5 stelle, mentre andava in scena l'ultima, fintissima, apertura alla Lega per formare insieme un governo senza Silvio Berlusconi. Ma il vero accordo, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, l'hanno trovato per mettere alle spalle al muro Sergio Mattarella e qualunque «governo di tregua»: voto subito, già domenica 8 luglio, con la vecchia legge elettorale usata a mo' di ballottaggio. E così, almeno in casa 5 stelle, già ieri sera si dava per morto il governo di garanzia proposto dal capo dello Stato dopo le ultime, infruttuose, consultazioni: «Da noi neppure un voto», diceva il capogruppo al Senato, Danilo Toninelli.
Era da mercoledì che Di Maio, Davide Casaleggio e Beppe Grillo pensavano a come lanciare un ultimo petardo tra i piedi del leader di Forza Italia. E così domenica il candidato premier pentastellato ha fatto un'offerta last minute a Matteo Salvini, senza però togliere il consueto veto su Berlusconi. Una proposta che ha rovinato la domenica sera al Cavaliere, con Salvini che ha provato a convincerlo che in fondo poteva anche limitarsi all'appoggio esterno. Alla fine Berlusconi non c'è cascato, ma a quel punto ecco l'esito che Di Maio e Salvini ormai volevano entrambi: niente «governo del presidente».
Il presidente però non ha rinunciato a chiedere un'ultima forma di «responsabilità» ai partiti e così, accanto all'opzione delle elezioni, anche a luglio, da lui pubblicamente sconsigliata ma non esclusa, ieri sera ha piazzato quella appunto di un governo «neutrale» fino a dicembre, formato da gente che promette poi di non candidarsi. «È una bella trovata quella dei non candidabili, e il richiamo di Mattarella è stato molto forte», ammette un grillino, ma Di Maio e soci non ci sentono: «Questi presunti tecnici sono sempre portatori di interessi forti, troppo forti», dicono i capi del Movimento. E Toninelli, in una nota, ha spiegato: «M5s non darà neppure un voto al governo neutrale. Pur senza aver pregiudizi sulle persone, non possiamo permettere che persone senza legittimazione popolare vadano a gestire e risolvere i problemi». Certo, se nella notte Berlusconi ci ripensasse e si piegasse all'appoggio esterno, cambierebbe di nuovo ogni caso. Ma ieri sera il Movimento ha riunito i gruppi parlamentari, per ribadire la linea che Di Maio aveva già spiegata su Facebook alle 17 in punto: Il governo del centrodestra non ha i numeri «e sarebbe un governo dei voltagabbana»; «no a un governo tecnico alla Monti perché non capirebbe le esigenze della popolazione» e quindi «elezioni l'8 luglio, perché le vinciamo noi». Se M5s la spunterà, salterà di fatto il vincolo del doppio mandato con un argomento dialettico escogitato dallo stesso Di Maio: «Se si vota a luglio, possiamo tranquillamente considerare la presente legislatura come se non fosse mai iniziata».
Il ritorno alle urne gasa molti esponenti di vertice di M5s che in queste settimane di trattative ad ampio spettro, specie con il Pd, hanno sofferto molto. Il segnale di svolta l'ha dato il comico genovese venerdì scorso, quando ha rilanciato l'uscita dell'Italia dall'euro a mezzo referendum. Elio Lannutti esulta così: «Risorge l'antieuropeismo per tenere testa a Salvini. Troika e Cleptocrazia europea sono i nemici giurati dei popoli liberi». Mentre Carlo Sibilia provoca il Carroccio: «Meglio un governo impossibile con un condannato, che un governo certo con la forza politica più votata e più innovativa d'Italia?». Sono solo due flash che illuminano un Movimento che da ieri sembra ufficialmente in campagna elettorale. E anche con grande sfoggio di ottimismo.
Secondo Di Maio, «alle prossime elezioni di luglio, ancora una volta, gli italiani ci sorprenderanno e daranno un segnale fortissimo alle altre forze politiche per farci governare da soli». Che farsene di un governo del presidente, o di tregua, se tanto la legge elettorale «scritta da Renzi e Berlusconi per non farci governare la usiamo subito come un doppio turno?» Di Maio ricorda che «dopo tutto eravamo dati al 29% e invece siamo arrivati al 33% e adesso siamo dati al 35%». E quindi, con due mesi di campagna «pancia a terra», ecco che per il leader napoletano «il 40% è a portata di mano». E da quella soglia, scatta il premio di maggioranza che consente di governare da soli.
In tanto ottimismo, va detto che però uno spazio d'ombra un po' angosciante c'è. E si chiama «responsabili». Anche il Movimento, che ha portato in Parlamento almeno un quarto di deputati quasi sconosciuti ai suoi vertici, teme che questo governo tecnico potrebbe raccattare qua e là dei parlamentari che gli offrono una stampella, in cambio della conservazione dello stipendio. Da un lato c'è chi dice, all'interno di M5s, che dopo il precedente della procura di Napoli e della Corte dei conti, che hanno perseguito duramente la compravendita di senatori ai tempi di Romano Prodi, «sarebbe da pazzi fare campagna acquisti in modo spudorato». Dall'altro, c'è un'attenzione quasi ossessiva a cogliere al proprio interno qualunque segnale di malcontento o debolezza, sia economica che, familiare. «A volte basta una moglie preoccupata per un mutuo a far cambiare idea a un deputato sullo scioglimento delle Camere», ammette uno dei grillini più esperti.
In ogni caso, sia che si voti a luglio, sia che Mattarella compia il miracolo, il Movimento ha rimesso la cotta di maglia e sfoderato lo spadone. Nella convinzione che i prossimi voti dovrà strapparli alla Lega.
Francesco Bonazzi
La trovata dell’esecutivo «neutrale» serve a mettere pressione ai partiti
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al termine del terzo giro di consultazioni al Quirinale, prende atto della impossibilità di raggiungere un accordo tra due dei tre blocchi politici (M5s, centrodestra e Pd) e si prepara a incaricare un premier di sua fiducia che formi un «governo neutrale, di servizio». Mattarella, al termine degli incontri, iniziati con le delegazioni di M5s, centrodestra e Pd, e proseguiti nel pomeriggio con i gruppi minori e i presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha spiegato ai giornalisti le sue conclusioni: «Non esiste», ha detto Mattarella, «una maggioranza con la sola Lega e il M5s; si è rivelata impraticabile una maggioranza M5s con il Pd ed è stata sempre affermata da entrambe le parti, l'impossibilità di un'intesa tra il centrodestra e il Partito democratico. Tutte queste indisponibilità mi sono state confermate questa mattina».
Agli osservatori più attenti non è sfuggita una considerazione di Mattarella, che a proposito della richiesta del centrodestra di un pre-incarico a Matteo Salvini, ha affermato: «Sin dall'inizio consultazioni ho escluso che si potesse dar vita ad un governo politico di minoranza, anche questa mattina ho ricevuto una richiesta in tal senso che sembra sia già venuta meno. Un governo di minoranza», ha detto Mattarella, «condurrebbe alle elezioni e dunque credo sarebbe più rispettoso per la logica democratica che a portare alle elezioni sia un governo non di parte». Non è chiaro quando e attraverso chi la richiesta del centrodestra sia «venuta meno» nella giornata di ieri.
Mattarella ha indicato il percorso che intende seguire: «Dai partiti», ha aggiunto, «fino a pochi giorni a dietro è venuta più volta la richiesta di tempo per raggiungere intese. Può essere utile che si prendano ancora tempo per far maturare una maggioranza politica per una maggioranza di governo. Ma nel frattempo», ha proseguito Mattarella, «consentano che nasca con la fiducia un governo neutrale, di servizio. Laddove si formasse nei prossimi mesi una maggioranza parlamentare si dimetterebbe con immediatezza per un governo politico. Chiederò ai componenti del governo di garanzia l'impegno a non candidarsi alle elezioni politiche».
«Il governo presieduto dall'onorevole Gentiloni», ha precisato Mattarella, «che ringrazio per il lavoro che ha svolto e sta svolgendo in questa situazione anomala, ha esaurito la sua funzione e non può essere ulteriormente prorogato in quanto espresso da una maggioranza parlamentare che non c'è più. Ritengo che sia più rispettoso della dinamica democratica», ha sottolineato il capo dello Stato, «che a portare alle elezioni sia un governo non di parte».
Mattarella si è detto contrario a nuove elezioni immediate: «L'ipotesi alternativa», ha scandito il presidente della Repubblica, «è indire nuove elezioni subito, ma non vi sono tempi per il voto entro giugno, si potrebbero svolgere in piena estate ma finora è stato evitato perché per gli italiani è difficile esercitare il voto, si potrebbe fissare in autunno».
Mattarella ha lasciato, pilatescamente, ai partiti, la scelta tra elezioni anticipate in estate o in autunno o il via libera al «governo neutrale: «Sarebbe la prima volta», ha detto Mattarella, «che il voto popolare non viene utilizzato e non produce alcun effetto. Scelgano i partiti con il loro libero comportamento e nella sede propria parlamentare. Cerchino una maggioranza politica per un governo neutrale entro l'anno oppure nuove elezioni subito, in autunno o nel mese di luglio».
Se per il capo dello Stato le elezioni immediate sono una sciagura, anche la prospettiva di votare in autunno presenta molteplici rischi: «Mi compete», ha detto Mattarella, «far presente alcune preoccupazioni: che non vi sia tempo per approvare dopo il voto la legge di bilancio entro fine anno con l'aumento dell'Iva e con gli effetti recessivi che questa tassa comporterebbe il rischio di esporre la nostra situazione economica a manovre e offensive della speculazione finanziaria».
Infine, Mattarella ha ammonito sui rischi di tornare al voto con questa stessa legge elettorale: «Vi è il timore», ha detto il presidente della Repubblica, «che a legge elettorale invariata in Parlamento si riproduca la stessa condizione attuale, con tre schieramenti nessuno dei quali con la maggioranza necessaria e con schieramenti probabilmente resi meno disponibili alla collaborazione da una campagna elettorale verosimilmente aspra e polemica».
Dunque, Mattarella sceglie di mettere pressione ai partiti politici attraverso la formula del «governo neutrale». Le forze politiche ora si trovano di fronte a un trivio: votare subito, accordare la fiducia al premier che il capo dello Stato, già nelle prossime ore, indicherà, oppure trovare quell'intesa politica che - tra 5 stelle e Lega - forse è ancora possibile.
Carlo Tarallo
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Il Quirinale boccia gli scenari più graditi al Cavaliere. Le elezioni sono un rischio, perché la Lega può inghiottire Forza Italia. Spaccatura sulla data: il Cav preferisce aspettare almeno l'autunno.Il Movimento è già in campagna elettorale, convinto che la soglia per governare da solo sia raggiungibile. Il no al governo «neutro» è granitico, ma c'è l'ombra «responsabili».Il presidente pronto a sostituire Gentiloni con un tecnico fino a dicembre. Ma, senza fiducia, non porrà veti a elezioni in estate o autunno. E lascia uno spiraglio a una maggioranza politica: messaggio a Lega e M5s.Tutto o niente. Il centrodestra non ha nessuna intenzione di assecondare la proposta del presidente del Repubblica e la rigetta con toni differenti. Matteo Salvini è ruggente: «Elezioni subito, maggioranza assoluta e cambieremo l'Italia da soli». Silvio Berlusconi lo asseconda con meno fervore: «Il voto non ci spaventa, ma l'estate non aiuta. Meglio andare alle urne in autunno». La pressione delle parole del presidente si avverte fino a Palazzo Grazioli, dove Berlusconi sembra vedere Sergio Mattarella che lo indica con il dito nervoso, attraverso lo schermo, mentre parla di «offensiva della speculazione», di «prima volta nella storia della Repubblica che la legislatura si scioglie senza essere iniziata» e ancora che «il voto degli italiani rimane inutilizzato». Il capo dello Stato gli ha azzoppato ben tre cavalli di battaglia: il primo un governissimo di coalizione con la benedizione del Quirinale nel quale inserire ministri graditi; il secondo quel governo di centrodestra con Salvini premier che avrebbe dovuto andare a cercare la maggioranza in Parlamento grazie ai responsabili alla Antonio Razzi e Domenico Scilipoti; il terzo un governo di minoranza sostenuto da chi fosse di volta in volta in sintonia con i programmi proposti. Per questo il Cavaliere, nella foto ricordo della terza consultazione, risulta silente, con il broncio e con un incubo peggiore dello stesso Luigi Di Maio: le elezioni alle porte.Così il centrodestra si ritrova dentro un sogno surreale, come se oggi fosse la mattina del 5 marzo ma senza niente da festeggiare. Politicamente siamo a quel giorno e alla lunga sospensione dell'esistenza che ne è seguita. Siamo alle macerie dell'accordo M5s-Lega con la fattiva collaborazione del leader azzurro, siamo all'implosione del Pd, siamo alle regionali che hanno dato un formidabile risultato di coalizione ma hanno confermato il sorpasso della Lega ovunque, siamo ai rimbrotti di Mattarella. E siamo finalmente alla lunga notte del supervertice di coalizione con Salvini e Giorgia Meloni, organizzato immediatamente dopo le parole del capo dello Stato. Per Berlusconi una non facile notte dell'Innominato, incerto se arrendersi a tornare al voto (con qualche colpa) o dare l'ok all'esecutivo di garanzia, di fatto contro la volontà del suo alleato principale. Salvini risponde a Mattarella pronunciando e ribadendo parole che non lasciano dubbi: «È fondamentale che il voto degli italiani venga rispettato. Quindi o un governo del centrodestra oppure elezioni il prima possibile, per la prima volta in estate. Non c'è tempo da perdere, non esistono governi tecnici alla Mario Monti, contiamo che Berlusconi mantenga la parola data e abbia la nostra stessa coerenza. Poi gli italiani ci daranno la maggioranza assoluta e cambieremo l'Italia da soli». Poi aggiunge per essere ancora più chiaro: «Mattarella vuole un governo neutrale? Per carità, serve un governo coraggioso, determinato e libero, che difenda in Europa il principio del “prima gli italiani", che difenda lavoro e confini, altro che governino per tirare a campare».La situazione è curiosa perché Mattarella, che secondo gli analisti in doppiopetto non avrebbe mai dato un incarico a Salvini, oggi ne è il più ferreo alleato. Evocando le elezioni a luglio o a ottobre mette pressione a Berlusconi, lo induce a rivedere gli orizzonti. A meno che il Cavaliere elettrico non decida di giocare il tutto per tutto andando alle urne per raggiungere il 40% che farebbe saltare il banco dopo una brevissima ma feroce campagna elettorale. Di quelle che lui, capace di vincere anche nelle situazioni impossibili (ma a un'altra età), conosce molto bene. In attesa di tornare candidabile; per questo fa il tifo per l'autunno.Oggi le elezioni sono l'incubo del Cavaliere. Per due motivi molto semplici. Primo, nessun indicatore dà Forza Italia in ripresa, anzi continua all'interno del campo di centrodestra l'Opa di Salvini sul partito inventato da Berlusconi con un'idea geniale in quel 1994 che battezzò la Seconda Repubblica. In Molise e in Friuli la Lega ha sfondato, al Nord è una valanga. E una tornata elettorale così ravvicinata, senza correttivi alla legge elettorale, potrebbe cristallizzare questa leadership. Secondo motivo: nei cenacoli leghisti già si parla del partito unico e una parte di Forza Italia spinge per concretizzarlo (Giovanni Toti sul modello Liguria, soprattutto). Due giorni fa Roberto Maroni in un'intervista ne ha addirittura sussurrato il nome: Lega Italia. Il leader naturale oggi sarebbe Salvini, che riuscirebbe così in quell'operazione di successione forzata del fondatore fallita con tutti. Con Pierferdinando Casini, con Angelino Alfano, con Raffaele Fitto, con lo stesso Toti, con Stefano Parisi.La strada si è ristretta, è diventata un tratturo e i due mesi dedicati ai veti incrociati hanno inquinato ogni pozzo, annullato margini di manovra. Quando un diplomatico naturale come Giancarlo Giorgetti si lascia sfuggire che «Di Maio non conta più un c...» (frase poi parzialmente smentita), significa che siamo ai materassi. Così l'ultimo vertice a tre fra Di Maio, Salvini e Giorgetti si è rivelato utile solo per concordare una data elettorale (8 luglio) che probabilmente non otterranno. A questo punto le elezioni diventano non una scelta, ma una liberazione per rimettersi fra le braccia degli italiani. E chiedere loro di sciogliere il nodo creato da un mix letale fra legge elettorale e politici più affini ad Antonio Cariglia che ad Alcide De Gasperi. Dopo i governi balneari di democristiana memoria ecco l'incubo delle elezioni balneari. 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Ma il vero accordo, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, l'hanno trovato per mettere alle spalle al muro Sergio Mattarella e qualunque «governo di tregua»: voto subito, già domenica 8 luglio, con la vecchia legge elettorale usata a mo' di ballottaggio. E così, almeno in casa 5 stelle, già ieri sera si dava per morto il governo di garanzia proposto dal capo dello Stato dopo le ultime, infruttuose, consultazioni: «Da noi neppure un voto», diceva il capogruppo al Senato, Danilo Toninelli. Era da mercoledì che Di Maio, Davide Casaleggio e Beppe Grillo pensavano a come lanciare un ultimo petardo tra i piedi del leader di Forza Italia. E così domenica il candidato premier pentastellato ha fatto un'offerta last minute a Matteo Salvini, senza però togliere il consueto veto su Berlusconi. Una proposta che ha rovinato la domenica sera al Cavaliere, con Salvini che ha provato a convincerlo che in fondo poteva anche limitarsi all'appoggio esterno. Alla fine Berlusconi non c'è cascato, ma a quel punto ecco l'esito che Di Maio e Salvini ormai volevano entrambi: niente «governo del presidente». Il presidente però non ha rinunciato a chiedere un'ultima forma di «responsabilità» ai partiti e così, accanto all'opzione delle elezioni, anche a luglio, da lui pubblicamente sconsigliata ma non esclusa, ieri sera ha piazzato quella appunto di un governo «neutrale» fino a dicembre, formato da gente che promette poi di non candidarsi. «È una bella trovata quella dei non candidabili, e il richiamo di Mattarella è stato molto forte», ammette un grillino, ma Di Maio e soci non ci sentono: «Questi presunti tecnici sono sempre portatori di interessi forti, troppo forti», dicono i capi del Movimento. E Toninelli, in una nota, ha spiegato: «M5s non darà neppure un voto al governo neutrale. Pur senza aver pregiudizi sulle persone, non possiamo permettere che persone senza legittimazione popolare vadano a gestire e risolvere i problemi». Certo, se nella notte Berlusconi ci ripensasse e si piegasse all'appoggio esterno, cambierebbe di nuovo ogni caso. Ma ieri sera il Movimento ha riunito i gruppi parlamentari, per ribadire la linea che Di Maio aveva già spiegata su Facebook alle 17 in punto: Il governo del centrodestra non ha i numeri «e sarebbe un governo dei voltagabbana»; «no a un governo tecnico alla Monti perché non capirebbe le esigenze della popolazione» e quindi «elezioni l'8 luglio, perché le vinciamo noi». Se M5s la spunterà, salterà di fatto il vincolo del doppio mandato con un argomento dialettico escogitato dallo stesso Di Maio: «Se si vota a luglio, possiamo tranquillamente considerare la presente legislatura come se non fosse mai iniziata». Il ritorno alle urne gasa molti esponenti di vertice di M5s che in queste settimane di trattative ad ampio spettro, specie con il Pd, hanno sofferto molto. Il segnale di svolta l'ha dato il comico genovese venerdì scorso, quando ha rilanciato l'uscita dell'Italia dall'euro a mezzo referendum. Elio Lannutti esulta così: «Risorge l'antieuropeismo per tenere testa a Salvini. Troika e Cleptocrazia europea sono i nemici giurati dei popoli liberi». Mentre Carlo Sibilia provoca il Carroccio: «Meglio un governo impossibile con un condannato, che un governo certo con la forza politica più votata e più innovativa d'Italia?». Sono solo due flash che illuminano un Movimento che da ieri sembra ufficialmente in campagna elettorale. E anche con grande sfoggio di ottimismo. Secondo Di Maio, «alle prossime elezioni di luglio, ancora una volta, gli italiani ci sorprenderanno e daranno un segnale fortissimo alle altre forze politiche per farci governare da soli». Che farsene di un governo del presidente, o di tregua, se tanto la legge elettorale «scritta da Renzi e Berlusconi per non farci governare la usiamo subito come un doppio turno?» Di Maio ricorda che «dopo tutto eravamo dati al 29% e invece siamo arrivati al 33% e adesso siamo dati al 35%». E quindi, con due mesi di campagna «pancia a terra», ecco che per il leader napoletano «il 40% è a portata di mano». E da quella soglia, scatta il premio di maggioranza che consente di governare da soli. In tanto ottimismo, va detto che però uno spazio d'ombra un po' angosciante c'è. E si chiama «responsabili». Anche il Movimento, che ha portato in Parlamento almeno un quarto di deputati quasi sconosciuti ai suoi vertici, teme che questo governo tecnico potrebbe raccattare qua e là dei parlamentari che gli offrono una stampella, in cambio della conservazione dello stipendio. Da un lato c'è chi dice, all'interno di M5s, che dopo il precedente della procura di Napoli e della Corte dei conti, che hanno perseguito duramente la compravendita di senatori ai tempi di Romano Prodi, «sarebbe da pazzi fare campagna acquisti in modo spudorato». Dall'altro, c'è un'attenzione quasi ossessiva a cogliere al proprio interno qualunque segnale di malcontento o debolezza, sia economica che, familiare. «A volte basta una moglie preoccupata per un mutuo a far cambiare idea a un deputato sullo scioglimento delle Camere», ammette uno dei grillini più esperti. In ogni caso, sia che si voti a luglio, sia che Mattarella compia il miracolo, il Movimento ha rimesso la cotta di maglia e sfoderato lo spadone. Nella convinzione che i prossimi voti dovrà strapparli alla Lega. 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Mattarella, al termine degli incontri, iniziati con le delegazioni di M5s, centrodestra e Pd, e proseguiti nel pomeriggio con i gruppi minori e i presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha spiegato ai giornalisti le sue conclusioni: «Non esiste», ha detto Mattarella, «una maggioranza con la sola Lega e il M5s; si è rivelata impraticabile una maggioranza M5s con il Pd ed è stata sempre affermata da entrambe le parti, l'impossibilità di un'intesa tra il centrodestra e il Partito democratico. Tutte queste indisponibilità mi sono state confermate questa mattina». Agli osservatori più attenti non è sfuggita una considerazione di Mattarella, che a proposito della richiesta del centrodestra di un pre-incarico a Matteo Salvini, ha affermato: «Sin dall'inizio consultazioni ho escluso che si potesse dar vita ad un governo politico di minoranza, anche questa mattina ho ricevuto una richiesta in tal senso che sembra sia già venuta meno. Un governo di minoranza», ha detto Mattarella, «condurrebbe alle elezioni e dunque credo sarebbe più rispettoso per la logica democratica che a portare alle elezioni sia un governo non di parte». Non è chiaro quando e attraverso chi la richiesta del centrodestra sia «venuta meno» nella giornata di ieri. Mattarella ha indicato il percorso che intende seguire: «Dai partiti», ha aggiunto, «fino a pochi giorni a dietro è venuta più volta la richiesta di tempo per raggiungere intese. Può essere utile che si prendano ancora tempo per far maturare una maggioranza politica per una maggioranza di governo. Ma nel frattempo», ha proseguito Mattarella, «consentano che nasca con la fiducia un governo neutrale, di servizio. Laddove si formasse nei prossimi mesi una maggioranza parlamentare si dimetterebbe con immediatezza per un governo politico. Chiederò ai componenti del governo di garanzia l'impegno a non candidarsi alle elezioni politiche». «Il governo presieduto dall'onorevole Gentiloni», ha precisato Mattarella, «che ringrazio per il lavoro che ha svolto e sta svolgendo in questa situazione anomala, ha esaurito la sua funzione e non può essere ulteriormente prorogato in quanto espresso da una maggioranza parlamentare che non c'è più. Ritengo che sia più rispettoso della dinamica democratica», ha sottolineato il capo dello Stato, «che a portare alle elezioni sia un governo non di parte». Mattarella si è detto contrario a nuove elezioni immediate: «L'ipotesi alternativa», ha scandito il presidente della Repubblica, «è indire nuove elezioni subito, ma non vi sono tempi per il voto entro giugno, si potrebbero svolgere in piena estate ma finora è stato evitato perché per gli italiani è difficile esercitare il voto, si potrebbe fissare in autunno». Mattarella ha lasciato, pilatescamente, ai partiti, la scelta tra elezioni anticipate in estate o in autunno o il via libera al «governo neutrale: «Sarebbe la prima volta», ha detto Mattarella, «che il voto popolare non viene utilizzato e non produce alcun effetto. Scelgano i partiti con il loro libero comportamento e nella sede propria parlamentare. Cerchino una maggioranza politica per un governo neutrale entro l'anno oppure nuove elezioni subito, in autunno o nel mese di luglio». Se per il capo dello Stato le elezioni immediate sono una sciagura, anche la prospettiva di votare in autunno presenta molteplici rischi: «Mi compete», ha detto Mattarella, «far presente alcune preoccupazioni: che non vi sia tempo per approvare dopo il voto la legge di bilancio entro fine anno con l'aumento dell'Iva e con gli effetti recessivi che questa tassa comporterebbe il rischio di esporre la nostra situazione economica a manovre e offensive della speculazione finanziaria». Infine, Mattarella ha ammonito sui rischi di tornare al voto con questa stessa legge elettorale: «Vi è il timore», ha detto il presidente della Repubblica, «che a legge elettorale invariata in Parlamento si riproduca la stessa condizione attuale, con tre schieramenti nessuno dei quali con la maggioranza necessaria e con schieramenti probabilmente resi meno disponibili alla collaborazione da una campagna elettorale verosimilmente aspra e polemica». Dunque, Mattarella sceglie di mettere pressione ai partiti politici attraverso la formula del «governo neutrale». Le forze politiche ora si trovano di fronte a un trivio: votare subito, accordare la fiducia al premier che il capo dello Stato, già nelle prossime ore, indicherà, oppure trovare quell'intesa politica che - tra 5 stelle e Lega - forse è ancora possibile.Carlo Tarallo
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Di fronte a questa ondata di insicurezza, i labour propongono più telecamere nelle città più importanti del Paese, applicando così, in modo massiccio, il riconoscimento facciale dei criminali. Oltre 45 milioni di cittadini verranno riconosciuti attraverso la videosorveglianza. Secondo la proposta avanzata dai labour, la polizia potrà infatti utilizzare ogni tipo di videocamera. Non solo quelle pubbliche, ma anche quelle presenti sulle auto, le cosiddette dashcam, e pure quelle dei campanelli dei privati cittadini. Come riporta il Telegraph, «le proposte sono accompagnate da un’iniziativa volta a far sì che la polizia installi telecamere di riconoscimento facciale “live” che scansionino i sospetti ricercati nei punti caldi della criminalità in Inghilterra e in Galles. Anche altri enti pubblici, oltre alla polizia, e aziende private, come i rivenditori, potrebbero essere autorizzati a utilizzare la tecnologia di riconoscimento facciale nell’ambito del nuovo quadro giuridico».
Il motivo, almeno nelle intenzioni, è certamente nobile, come sempre in questi casi. E la paura è tanta. Eppure questa soluzione pone importanti interrogativi legati alla libertà della persone e, soprattutto, alla loro privacy. C’è infatti già un modello simile ed è quello applicato in Cina. Da tempo infatti Pechino utilizza le videocamere per controllare la popolazione in ogni suo minimo gesto. Dagli attraversamenti pedonali ai comportamenti più privati. E premia (oppure punisce) il singolo cittadino in base ad ogni sua singola azione. Si tratta del cosiddetto credito sociale, che non ha a che fare unicamente con la liquidità dei cittadini, ma anche con i loro comportamenti, le loro condanne giudiziarie, le violazioni amministrative gravi e i loro comportamenti più o meno affidabili.
Quella che sembrava una distopia lì è diventata una realtà. Del resto anche in Italia, durante il Covid, è stato applicato qualcosa di simile con il Green Pass. Eri un bravo cittadino - e quindi potevi accedere a tutti i servizi - solamente se ti vaccinavi, altrimenti venivi punito: non potevi mangiare al chiuso, anche se era inverno, oppure prendere i mezzi pubblici.
Per l’avvocato Silkie Carlo, a capo dell’organizzazione non governativa per i diritti civili Big Brother, «ogni ricerca in questa raccolta di nostre foto personali sottopone milioni di cittadini innocenti a un controllo di polizia senza la nostra conoscenza o il nostro consenso. Il governo di Sir Keir Starmer si sta impegnando in violazioni storiche della privacy dei britannici, che ci si aspetterebbe di vedere in Cina, ma non in una democrazia». Ed è proprio quello che sta accadendo nel Regno Unito e che può accadere anche da noi. Il sistema cinese, poi, sta potenziando ulteriormente le proprie capacità. Secondo uno studio pubblicato dall’Australian strategic policy institute, Pechino sta potenziando ulteriormente la sua rete di controllo sulla cittadinanza sfruttando l’intelligenza artificiale, soprattutto per quanto riguarda la censura online. Un pericolo non solo per i cinesi, ma anche per i Paesi occidentali visto che Pechino «è già il maggiore esportatore mondiale di tecnologie di sorveglianza basate sull’intelligenza artificiale». Come a dire: ciò che stanno sviluppando lì, arriverà anche da noi. E allora non saranno solamente i nostri Paesi a controllare le nostre azioni ma, in modo indiretto, anche Pechino.
C’è una frase di Benjamin Franklin che viene ripresa in Captain America e che racconta bene quest’ansia da controllo. Un’ansia che nasce dalla paura, spesso provocata da politiche fallaci. «Baratteranno la loro libertà per un po’ di sicurezza». Come sta succedendo nel Regno Unito, dopo anni di accoglienza indiscriminata. O come è successo anhe in Italia durante il Covid. Per anni, ci siamo lasciati intimorire, cedendo libertà e vita. Oggi lo scenario è peggiore, visto l’uso massiccio della tecnologia, che rende i Paesi occidentali sempre più simili alla Cina. E non è una bella notizia.
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Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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