2025-07-07
I giudici smontano le leggi per favorire gli immigrati
La Corte d’appello di Cagliari «grazia» un immigrato in attesa di via appellandosi alla Consulta. Ilaria Salis esulta: «Breccia aperta».La condizioni per l’espulsione c’erano tutte: niente documenti, false generalità fornite alle forze di polizia, uso di alias. E una richiesta di protezione internazionale presentata quando è finito nel Cpr di Macomer, provincia di Nuoro, «al solo scopo di ritardare il trattenimento di espulsione emesso dal Prefetto di Cagliari». I giudici della sezione distaccata di Sassari della Corte d’appello di Cagliari, però, trovano un modo per liberarlo. Con il rischio di innescare un meccanismo da «tana libera tutti». Il trattenuto, o meglio, l’ex trattenuto, classe 1994, indicato nella sentenza a volte come albanese e altre come algerino (il nome, però, fa propendere per la seconda ipotesi), aveva già tentato altre tre volte di ottenere la protezione internazionale. Ci ha provato prima in Svizzera (agosto 2022), poi in Germania (marzo 2023), poi in Olanda (settembre e ottobre 2023). Per effetto del regolamento Dublino, che assegna la competenza al primo Paese di ingresso, viene ricondotto in Italia, dove lo attende un respingimento e, nel febbraio 2025, un provvedimento di trattenimento nel Cpr di Macomer, firmato dal questore di Nuoro. Fin qui la procedura segue binari ben collaudati e il provvedimento viene convalidato dalla Corte d’appello.L’inghippo nasce quando il questore chiede di prorogare il trattenimento. Questa volta i giudici respingono la proroga, interpretando i termini di scadenza che, stando alla sentenza emessa venerdì scorso e depositata sabato (e passata al solito quotidiano, Il Manifesto, in tempi da record, come per le relazioni del Massimario), non sarebbero da calcolare a partire dall’ultimo giorno dell’ultimo provvedimento, ma dalla convalida della Corte. Secondo la questura la scadenza decorreva dal 6 maggio e scadeva, quindi, il 5 luglio; secondo la Corte, invece, decorreva dal 2 maggio e scadeva l’1 luglio. Il 3 luglio arriva la richiesta della seconda proroga ma, per i giudici, è fuori tempo massimo. I termini, insomma, sarebbero «scaduti».Ma i giudici non si limitano a questa valutazione. Rimettono in discussione l’intero impianto della detenzione amministrativa, ammettendo che è privo di una base costituzionalmente solida. «Occorrerebbe, comunque, confrontarsi», valutano i giudici, «con la recentissima pronuncia della Corte costituzionale (numero 96 del 2025, ndr)», come espressamente richiesto dalla difesa dell’uomo. Una sentenza, quella della Consulta, che ha riconosciuto la costituzionalità della riforma del governo Meloni, ma ha sottolineato l’assenza di una legge primaria che disciplini i «modi». In sostanza, ha richiamato la necessità che la libertà personale non sia regolata da atti prefettizi, circolari ministeriali o regolamenti, ma da una norma approvata dal Parlamento (tant’è che il governo è al lavoro in questi giorni per la stesura di un intervento normativo). Pur riconoscendo il buco, però, la Consulta non ha dichiarato l’incostituzionalità della legge. Si è fermata un passo prima. Ha definito la questione «inammissibile», ma ha scritto pagine intere per dire che il sistema è formalmente zoppo e strutturalmente privo di legittimità piena. In pratica non ne ha impedito il perpetuarsi. E così ha autorizzato, implicitamente, una forma di autogestione giudiziaria del vuoto normativo. I giudici sardi hanno quindi colto la palla al balzo stabilendo una propria regola. È a questo punto che avviene il salto: non è il questore a travalicare i limiti di legge. È il giudice ad assumersi il compito di colmare un vuoto normativo che spetterebbe al Parlamento. E decide di liberare il trattenuto. Il passaggio è questo: «In assenza di quella determinazione dei “modi” della detenzione, non “ancora” disciplinati dal legislatore con fonte primaria, non può che riespandersi il diritto alla libertà personale, il cui vulnus è chiaramente espresso dalla Consulta, perché qualunque “modo” non disciplinato da norma primaria non riveste il crisma della legalità costituzionale ed è legalmente inidoneo a comprimerla».Con queste parole i giudici di Sassari costruiscono una propria architettura giuridica del trattenimento, convalidando il meccanismo delle proroghe purché emesse prima della scadenza e purché la decorrenza venga fatta coincidere con la data di convalida. Ma, soprattutto, non perché non ci siano i presupposti per trattenere, ma perché manca «ancora» la legge. Come dire: è colpa del Parlamento, quindi lo liberiamo noi. La prossima volta basterà presentarsi senza nome, senza passaporto e con tre rigetti alle spalle. Poi aspettare la scadenza dei 60 giorni e contare sull’aritmetica delle convalide. Ilaria Salis si è subito tuffata sul tema: «Si apre una breccia concreta. Dopo il primo caso dovrà toccare a tutti gli altri. Liberi tutti! Libere tutte!».Sui Cpr e sul Protocollo Albania, però, il governo è determinato. Lo ha precisato Giorgia Meloni qualche giorno fa durante il forum nella masseria di Bruno Vespa a Manduria: «Si va avanti nonostante gli evidenti tentativi di impedire a tutti i costi che l’iniziativa possa avere successo. Deve farci riflettere sul ruolo della politica e di altri poteri dello Stato. È un’idea di successo e ci sono molti altri Paesi in Europa che cercano di fare la stessa cosa. Dispiace che un’Italia pioniera cerchi di darsi la zappa sui piedi». Il tutto mentre negli Stati Uniti la Corte suprema cerca di correggere le storture giurisprudenziali, intervenendo sulla facoltà di revocare la cittadinanza (Ius soli) acquisita dai figli di stranieri clandestini. Il giudice Amy Coney Barrett ha, infatti, scritto nella sua ultima decisione che «alcuni sostengono che l’ingiunzione universale fornisca alla magistratura un potente strumento per controllare il potere esecutivo, ma i tribunali federali non esercitano una supervisione generale sul potere esecutivo; risolvono casi e controversie in conformità con l’autorità che il Congresso ha loro conferito. Quando un tribunale conclude che il potere esecutivo ha agito illecitamente, la risposta non è che il tribunale debba a sua volta eccedere». Proprio come in Italia, dove i giudici eccedono, trasformandosi in legislatori.