2021-10-28
Ansia no vax, quelli di «Repubblica» finiscono per darsi dei pazzi da soli
Michela Serra, Vittorio Lingiardi e Guido Giovanardi: tre casi di sdoppiamento editoriale. Chi parlava di «business dei vaccini» e chi negava «patologie»Ieri, nella sua Amaca, Michele Serra ha dovuto affrontare un dubbio dilaniante: i no vax e i no pax sono idioti oppure sono pazzi? Beh, a dirla tutta, scorrendo l'articoletto del pregevole editorialista, qualche dubbio è sorto anche a noi. Da mesi, infatti, leggiamo gli attacchi anche feroci che Serra riserva ai (presunti) no vax e perfino alle signore anziane che insistevano per andare a messa durante il lockdown (le accusò di essere fasciste). Poi però, ci siamo ricordati di ciò che lo stesso Serra scriveva nel 2010, sempre sui vaccini. Egli se la prendeva con «l'isterismo salutista di buona parte degli occidentali, presso i quali qualunque allarme sanitario trova immediata e direi entusiastica adesione». E proseguiva: «Pur di impasticcarsi, ospedalizzarsi, sindromizzare ogni aspetto della vita, crearsi sempre nuove dipendenze da farmaco, c'è una marea di persone che è disposta a credere a qualunque spettro». Il pezzo di Serra è stato ripubblicato integralmente dal sito di Nicola Porro (nicolaporro.it), e leggerlo oggi sgomenta. Il salace satirista sbertucciava le riviste scientifiche («non se ne conosce una che non sia autorevole»), poi se la prendeva con l'Oms per aver esagerato l'allarme sull'influenza suina: «Forse lo fu artatamente, per gonfiare lo smisurato business dei vaccini». Non pago, Serra infieriva: «Le speculazioni e le furbate dell'industria farmaceutica avrebbero molto meno spazio se la clientela non fosse costituita, in larga parte, da pavidi creduloni che evidentemente stanno perdendo ogni rapporto con la realtà materiale del loro corpo, e ne hanno fatto un fragile feticcio per il quale ogni disagio, ogni imperfezione è causa di panico». Dunque ci chiediamo: qual è il vero Serra? Quello che ieri accusava i (presunti) no vax e no pass di essere pazzi o cretini o quello che nel 2010 parlava di «business dei vaccini» e inveiva contro Big pharma? E, soprattutto: quale dei due era il pazzo e quale il cretino? Sono nodi difficili da sciogliere, in effetti. A noi sembra che il Serra di oggi si sia mollemente adagiato sul pensiero dominante e ci viene un sospetto: forse il nostro Michele è come il vaccino, dopo un po' la sua efficacia tende a svanire. Che gli serva un booster di satira o un richiamo di ironia? O forse dobbiamo dedurne che anche lui si sia alla fine arreso allo «smisurato business» del conformismo? Se non altro, il caro Michele per ora dubita. Sembrano non avere dubbi, invece, altri due illustri collaboratori di Repubblica, lo psicologo Guido Giovanardi e lo psichiatra Vittorio Lingiardi. Costoro potrebbero in effetti fornire un aiuto al collega Serra, consentendogli di affrontare al meglio il suo sdoppiamento di personalità. Ma preferiscono dedicarsi pure loro allo scottante tema della salute psichica dei presunti no vax. Esaminata la questione, hanno concluso che sì, in effetti chi rifiuta la puntura è un malato di mente. Sempre ieri, infatti, i due luminari hanno inteso spiegare «che cosa avviene nella testa di un no vax». In pratica, dicono, i renitenti alla puntura assomigliano un po' ai bambini che, purtroppo, vivono all'interno di «relazioni problematiche e non sicure». Quando ciò avviene, i piccoli sviluppano «a partire da uno stato di ipervigilanza epistemica, una sfiducia pervasiva che porta a rifiutare le informazioni che vengono dall'altro». Ebbene, i no vax sarebbero proprio così: vittime della «sfiducia epistemica». Essi, poveracci, compiono una «scelta di semplificazione autoprotettiva a fronte di una complessità vissuta come troppo incerta o addirittura pericolosa». In breve: i presunti no vax vanno curati. Non a caso, Giovanardi e Lingiardi sostengono che sia «urgente l'inaugurazione di una sezione di psicologia della salute (pubblica)» presso il ministero della Salute. Oddio, da un certo punto di vista sarebbe pure coerente: visto che ormai i talebani del vaccino vedono psicoreati ovunque, tanto vale che istituiscano la sezione psicopolitica per far internare dissenzienti e disturbatori vari. Anche qui, tuttavia, notiamo un certo sdoppiamento, male che evidentemente si avvia a diventare endemico nella redazione di Repubblica. Giovanardi e Lingiardi, infatti, sono noti soprattutto per l'attivismo sul fronte Lgbt, con un occhio di riguardo sul versante dei diritti trans. Soprattutto Lingiardi è considerato una sorta di autorità riguardo alla disforia di genere e più volte è intervenuto sul cambio di sesso dei ragazzini (che ovviamente non osteggia). Potremmo rintracciare un filo conduttore tra l'ostilità verso i no vax e la benevolenza nei confronti dei transgender: sempre di medicalizzazione si parla. Ma è inutile complicare troppo. Dunque ci limiteremo a notare il doppiopesismo. Lingiardi, non troppo tempo fa, proprio in un articolo sulla transizione di genere ha scritto quanto segue: «Ridurre tutto a patologia è un'arma subdola che ha colpito nel corso degli anni prima le donne (la teoria dell'invidia del pene), poi le persone omosessuali (immaturità psichica, perversione), infine le persone trans (psicosi, delirio)». Già: ridurre tutto a patologia è un'arma subdola. Ma alla perché patologizzare i no vax trattandoli come malati di mente?È davvero strano: tre editorialisti, tre casi di sdoppiamento. Chissà, forse è davvero «urgente l'inaugurazione di una sezione di psicologia della salute». A La Repubblica, però.
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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Silvia Salis (Imagoeconomica)