2022-09-19
«I politici si ricordano della scuola soltanto per promettere posti»
Suor Anna Monia Alfieri (Imagoeconomica)
L’esperta di istruzione Anna Monia Alfieri: «Letta dica la verità, al Sud non esistono cattedre vacanti a “km zero”. Meglio la Meloni: premi al merito».Se una religiosa potrebbe fare il ministro, glielo chiediamo alla fine dell’intervista. Ci spiega che occorre chiedere al Papa una dispensa per entrare in politica e che finora l’ha fatto solo don Luigi Sturzo. Tentata? «No, perché le persone giuste ci sono, ne ho avuta diretta testimonianza con molte forze politiche, non tutte. Sono a disposizione per collaborare». Suor Anna Monia Alfieri ha scelto da più di 18 anni di dare la vita per la scuola, da quando le sue consorelle che insegnavano in Francia hanno iniziato a raccontarle che quello Stato «laicissimo» non favoriva né ostacolava la scuola privata: «Le famiglie francesi possono scegliere strutture pubbliche o no a costo zero». «Ho studiato tanto, da allora, sa?», assicura. E non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo, visto che questa missione l’ha portata a diventare - lei, religiosa con tre lauree, la prima in giurisprudenza - cavaliere al merito della Repubblica e a ricevere pure l’Ambrogino d’oro.Meno cinque giorni alle elezioni, il tema della scuola a fatica conquista le prime pagine, ma - lei dice - è centrale. «Guardi, io i programmi li ho letti tutti. Ma proprio tutti, anche quelli di partiti piccolissimi. E invito ciascuno a farlo senza - mi scusi - fidarsi solo dei giornali e dei talk show. Sogno di trovare file lunghe due o tre ore ai seggi, come quando a Nardò, in provincia di Lecce, accompagnavo mio padre a votare. La politica può essere la forma più alta della carità e sul tema dell’educazione ci giochiamo il futuro del Paese».Che serva una svolta, lo afferma da anni.«Mi sono resa conto con l’esperienza che il vero problema è la morsa del potere. In primis, del potere politico che, negli ultimi 20 anni, si è ricordato della scuola solo nelle campagne elettorali per promuovere posti di lavoro. Ricorda i “concorsoni” dei 5 stelle che promettevano posti per tutti?».Classiche promesse elettorali?«Bugie irresponsabili. Il problema è che la gente ci ha creduto».Andrà meglio? «Dalla destra al Pd, tutti parlano in questi giorni di docenti. Enrico Letta dice, per esempio, che occorre raddoppiare gli stipendi: devo presumere, per non considerarla una burla, che abbia in mente di fare un’operazione verità».Cosa non è stato detto?«Non è stato detto agli insegnanti che sono stati ingannati: le cattedre vacanti a chilometro zero, se abiti ad esempio a Siracusa, non ci sono. Occorre dire che la scuola deve tornare a essere un luogo in cui vince il merito, come dice saggiamente Giorgia Meloni». Gli insegnanti da noi sono pagati poco. «Verissimo. Ma in Francia, dove sono pagati il doppio, essendo garantita la libertà di scelta educativa, gli allievi si redistribuiscono equamente tra scuole pubbliche e paritarie: non c’è spreco e sono pagati meglio. Che sia chiaro: il secondo potere che opprime la scuola italiana sono i sindacati, che la considerano un postificio».Lei si batte da sempre per la libertà di scelta educativa. «Al di là delle ingiustizie che, dati alla mano, ho riscontrato, basti dire che con una vera libertà di scelta si migliorerebbero i livelli qualitativi di tutta la scuola. Con conseguente risparmio di danari e valorizzazione dei docenti. Negli attuali programmi ho visto germogli di questo obiettivo in quello del centrodestra e in quello del Terzo polo».Chi è contrario teme un attacco alla scuola pubblica… «Forse gli amici a sinistra dovrebbero guardare ai calcoli favoriti dal lavoro dell’allora ministro Valeria Fedeli, poi purtroppo non più candidata. Se si pensa che mandare un figlio alla scuola statale significa che è gratis, e che ci si deve far andare bene tutto, ebbene io le dico che invece costa 10.000 euro. Ed ecco il terzo potere: la macchina infernale della burocrazia centrale, che si mangia parte di quei soldi che non vanno certo nelle tasche dei docenti sottopagati, né in carta igienica, che così spesso manca».Pro o contro l’obbligatorietà della scuola da 0 a 6 anni? «Dove vivo io, a Milano, ci sono tantissime strutture. Al Sud troppo spesso le donne sono costrette a scegliere tra lavoro e maternità o sono condannate alle violenze subite in famiglia. Obbligatorio? Allora c’è da costruire. Torno alla Fedeli: promosse un sistema integrato per frequentare scuole dell’infanzia e nidi statali, comunali o paritari, a costo zero. Già molto, le assicuro».Oltre che con la Fedeli, lei ha collaborato anche con Mariastella Gelmini, allora Pdl, e con Stefania Giannini, governo Renzi. Esperienze diverse? «Le assicuro che i politici lavorano seriamente. Purtroppo troppe falsità sono state dette sulla libertà di scelta, a causa di uno Stato che si contraddice in continuazione: consapevole che la scuola paritaria ha, ad esempio, l’equipollenza dei titoli, le salvaguarda dal pagare l’Imu se chiedono rette inferiori ai 7.500 euro, e poi le uccide perché mancano i contributi».Qual è il rischio?«In un tempo in cui tutti hanno paura dei fantasmi, sarebbe bene cominciare a temere i mostri veri. Sono preoccupata dal rischio di un regime di monopolio educativo, questo sì che è reale. E pericoloso. Tutti a parlare dell’Europa ma, quando ci ha più volte richiamato sul fatto che non favoriamo il pluralismo - solo noi e la Grecia -, non l’abbiamo ascoltata. Siamo in sostanza gli unici a non garantire a una famiglia la libertà di scelta dopo che ha pagato le tasse». Se i soldi mancano, però… «Guardi che quel che ho in mente e che vado dicendo da un po’ non prevede riforme o elargizioni, al contrario. Se vuole, le faccio un cronoprogramma dettagliato. Le soluzioni son persino più semplici delle proposte, le assicuro».Prego. Primo step?«Sembrano dimenticarlo in molti, ma il Family act è stato depositato. E nei primi due articoli è una legge che favorisce la scuola dell’infanzia gratuita per tutti. Permette inoltre alle famiglie di detrarre quanto pagato per le scuole paritarie, secondo ovviamente dei limiti». Era giugno. «Servivano solo i decreti attuativi, poi è caduto il governo. Allora: prima cosa da fare è riprendere in mano quella legge e far sì che non muoiano quelle quattro scuole paritarie rimaste. Perché se in Veneto e Lombardia, grazie alla dote scuola, si è salvaguardato il pluralismo educativo - è al 37% -, al Sud invece lo abbiamo ucciso: resta il 4%. E con il Family act siamo sicuri che tutti erano d’accordo».Poi? «Con il ministro Bianchi abbiamo già compiuto un’operazione molto saggia: il censimento di tutte le scuole, paritarie e non. Un lavoro importantissimo. Ora servono sei mesi per un’altra rilevazione fondamentale, cioè quella dei docenti, sia già in cattedra sia che aspettano di lavorare. Occorre che la politica faccia con loro un’operazione verità simile a quella che occorrerebbe per le bollette: il lavoro si trova in questa città, per questa cattedra. Non fa per te? Depennati». Nel frattempo c’è la legge di bilancio da approvare.«Può tradurre il Family act con detrazioni o agevolazioni. Certo, occorre la compartecipazione di Stato e Regioni. Fatto ciò, avremo almeno messo in sicurezza le pochissime scuole paritarie rimaste. E poi occorre introdurre lo strumento chiave, la base di tutto: il costo standard di sostenibilità per allievo, ossia una quota capitaria da assegnare alle famiglie per l’istruzione dei figli, in una perfetta rendicontazione, sotto lo sguardo dello Stato controllore e garante».Da lì in poi?«Gennaio 2023: si può già iniziare a incrociare i dati di docenti e cattedre, per regione. E bisogna dare ai dirigenti delle scuole statali un’autonomia organizzativa. Come possono fare scuola con insegnanti che non sanno chi siano, arrivano da Roma e, se avevano chiesto per matematica, viene mandato un maestro di scienze?».Se c’è autonomia c’è il rischio di abusi?«In Italia ci sono già gli strumenti per contrastare il clientelismo, non mi preoccupa questo. Il futuro è: scuole paritarie e statali, entrambe a scegliere da albi di docenti abilitati o in procinto di farlo. Con lo Stato che fa da garante. Come le dicevo, non si spende. Anzi, si liberano le risorse».Ci sarà chi sarà scontento.«Moltissimi, sì. Ma è forse meglio promettere e poi innescare guerre tra poveri? Diciamo la verità anche sui corsi universitari: se ti laurei in lettere, non ci saranno cattedre libere. Perché mentire?».Con l’inizio della scuola torna, anche, il tema dei diritti. «Sul ddl Zan mi sono esposta e penso che i diritti non servano a nulla se non vengono garantiti: non basta riconoscerli. La discriminazione verso la scelta delle famiglie mi sembra onestamente più vigliacca e nessuno ne parla. Contrasto all’omofobia? Benissimo: bastava ampliare la legge Mancino, o fare semplicemente un incremento delle pene. Prevedendo anche un intervento culturale. Sono certa che quel disegno di legge sia stato bocciato perché sarebbe risultato incostituzionale: se avessero avuto a cuore i diritti, avrebbero stralciato gli articoli che contrastavano con la libertà di espressione, insegnamento e scelta educativa».
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