2023-01-24
Finisce in manette pure Bonafede. Era l’alter ego di Messina Denaro
Arrestato l’uomo che ha prestato la sua identità al boss. In un covo trovati abiti femminili, in un altro scatole vuote: qualcuno ha fatto in tempo a portar via il contenuto? Il concessionario: auto comprata non in contanti.L’uomo che ha prestato l’identità all’ex Primula Rossa Matteo Messina Denaro permettendogli di comprare il covo-alcova nel quale ha passato gli ultimi sei mesi, due automobili intestate a sua madre, e anche di viaggiare in aereo a suo nome, è stato arrestato dai carabinieri del Ros. Andrea Bonafede, sedicente geometra che lavorava al New Acqua splash, un parco acquatico sorto nel 1997 e finito in amministrazione giudiziaria nel 2001 per bancarotta (poi confiscato nel 2022) e sul quale la Verità aveva già puntato l’attenzione nel giorno dell’arresto del capobastone di Cosa nostra, è accusato di associazione mafiosa. I carabinieri l'hanno rintracciato a casa della sorella. Gli inquirenti palermitani ritengono che possa inquinare le prove o tentare la fuga. Ma sostengono anche che grazie al suo supporto il boss dei boss sia riuscito a mantenere lo scettro nel suo territorio. Nel frattempo, dal covo di via Cb 31, quello in cui sono state trovate pillole di Viagra e scatole di preservativi, saltano fuori ulteriori dettagli: in un armadio c’erano abiti femminili e segni di una presenza non occasionale di una donna. È presto per dire con certezza se il boss dei boss abbia condiviso l’appartamento. Ma da qui si dirama una nuova pista, che tende a identificare la compagna del boss (con la quale Messina Denaro avrebbe avuto anche un figlio di cui non si era a conoscenza). Inoltre, più le attenzioni degli investigatori si concentrano sul civico 260 di via San Giovanni a Campobello, quello in cui si ritiene che Messina Denaro abbia vissuto fino al trasloco nel covo-alcova di via Cb 31, più emergono dettagli che sembrano descriverlo come un quartier generale. L’intera planimetria è stata controllata palmo a palmo. Ma i georadar pare abbiano segnalato delle parti vuote sul fondo, che non compaiono nella piantina catastale. È presto per parlare di tunnel o cunicoli. Un’ipotesi però c'è. E se ne sta occupando lo Sco della polizia di Stato. Il Gico della Guardia di finanza, invece, è al lavoro sul materiale repertato in quello che è stato definito «il bunker», 2 metri per 3 in via Maggiore Toselli, ma che sembra più la cassaforte del boss: bracciali e girocolli in oro, anelli con pietre preziose e orologi di pregio. E siccome c’erano alcune scatole vuote, l’ipotesi investigativa è che sia stato ripulito in fretta. Uno degli sherpa del boss potrebbe essere entrato appena si è diffusa la notizia dell’arresto nella clinica di Palermo per far sparire il contenuto delle due scatole. Il capomandamento, a quanto pare, nonostante le inchieste abbiano nel corso degli anni decimato i suoi uomini, poteva contare ancora su diversi fiancheggiatori. Uno di questi, secondo gli investigatori, sarebbe il broker dell’olio d’oliva Giovanni Luppino, l'uomo che gli faceva da autista. A casa di uno dei suoi figli (che ora cerca di confermare la versione fornita dal padre) è stata trovata l’Alfa Romeo Giulietta nera che il boss aveva comprato in una concessionaria palermitana permutando una Fiat 500 e pagando la differenza di 10.000 euro (con un assegno e non in contanti, ha precisato il gestore della concessionaria). Sia la 500 che la Giulietta sono intestate alla madre di Bonafede, che è disabile e che avrebbe permesso al boss di ottenere pure uno sconto sull’Iva. Con l’identità di Bonafede il boss non faceva solo acquisti. In uno dei covi sono saltati fuori dei biglietti aerei. Alcuni per il Regno Unito, altri per la Grecia. Ma il biglietto interessante è per il Venezuela, Paese nel quale il boss ha lasciato qualche traccia del suo passaggio nel 2003. Un pentito considerato «minore», Franco Safina, raccontò che il capomafia aveva investito «5 milioni di dollari» in un’azienda di pollame in Venezuela. Tra i pizzini trovati nell’auto con cui Luppino ha accompagnato il boss alla clinica lunedì scorso, poi, è saltato fuori un dettaglio importante: un numero di telefono che è risultato intestato a un inserzionista di armi usate. In uno degli annunci che aveva piazzato sul web si legge: «Vendo per conto di un amico» carabina semiautomatica e cartucce. Gli investigatori, che sono già a caccia del commerciante, ora dovranno anche verificare se quel numero era nell’elenco delle chiamate effettuate con i due cellulari trovati nell'auto di Luppino in modalità «aereo», ovvero con la linea telefonica e web offline. Proprio i telefoni, inoltre, potrebbero aiutare gli inquirenti a disegnare la mappa degli spostamenti di Luppino e, si ipotizza, di Messina Denaro. Ma potrebbero anche far saltare fuori l'intera rete di fiancheggiatori. A quel punto per il mandamento di Castelvetrano sarebbe scacco matto.
Jose Mourinho (Getty Images)