2024-08-08
Chi l’avrebbe mai detto? Anche la taiwanese vince (contestata dalla rivale)
Lin Yu Ting vince l'incontro contro la turca Esra Yildiz Kahraman (Ansa)
Lin Yu Ting sconfigge la turca Esra Yldiz Kahraman, che fa il segno della X con le dita. Intanto sui media è partita la beatificazione di Imane Khelif, ritratta come martire ed eroe.Per contestualizzare al meglio il dibattito di questi giorni su Imane Khelif (che domani si giocherà la finale con la cinese Yang Liu), poche cose sono emblematiche quanto il disclaimer posto all’inizio dell’articolo di Matteo Pascoletti, pubblicato ieri sul sito di Valigia Blu: «Prima di proseguire un avvertimento: nel corso dell’articolo si menzioneranno espressioni o immagini dai contenuti transfobici, omofobici, sessisti, o razzisti, per motivi esemplificativi. Se questo tipo di contenuti vi provoca disagio, sconforto o sofferenza di qualunque tipo, l’invito è a leggere seguendo il vostro ritmo e le vostre esigenze. Potreste preferire leggere per piccole sezioni, aspettare di sentirvi pronti a leggere per intero, oppure interrompere senza continuare». Ci chiediamo quanti, fra coloro che avranno letto singhiozzando l’articolo «per piccole sezioni, aspettando di sentirsi pronti a leggerlo per intero», siano poi andati a inveire sui social contro Angela Carini, la «frignona», quella che «scappa», l’unica atleta dell’universo a cui pare non applicarsi il mantra contemporaneo sul valore della fragilità, la sola donna a cui si può fare mansplaining e victim blaming. Che una parte dell’opinione pubblica trovi letteralmente insopportabile la semplice lettura delle opinioni altrui sul fatto del momento è comunque una fotografia lampante del dibattito stesso. E che ha, come conseguenza ovvia, un deragliamento enfatico delle descrizioni di Imane, descritta alternativamente come eroina o martire. Prendiamo Aldo Cazzullo, che non ha trovato paragone migliore di quello che accosta l’atleta algerina, osannata da media e capi di Stato, a Saartjie Baartman, la piccola africana che nel 1815 i francesi rinchiusero in uno «zoo umano» per far divertire i borghesi parigini in vena di esotismo coloniale. «Imane Khelif ha subito un calvario meno drammatico e che avrà certo un esito diverso; ma sempre di calvario si è trattato», chiosa l’editorialista sul Corriere della Sera. Che poi fornisce la prova che chiude la questione: Imane, scrive, «ha una voce decisamente femminile e, vista da vicino, nel suo atteggiamento nulla giustifica tanto rumore». La struttura fisica non è probante, la voce da soprano sì. Oltre alle treccine che aveva da bimba, si intende. Avevamo capito che il genere fosse una cosa complicatissima, invece eccoci qua: la voce, le treccine, il rosa. Ma anche sugli altri giornali è un florilegio di elogi alla nuova eroina. «Nessuno sa resistere ai suoi pugni», titola La Stampa, senza accorgersi che forse proprio questa invincibilità potrebbe essere parte del problema. Eppure, quando si trattava di screditare la Carini, non ci avevano raccontato l’esatto contrario, ovvero che qualsiasi donzella fosse capace di stendere l’algerina? Che non c’era alcuna superiorità oggettiva? Che, suvvia, bastava impegnarsi un po’ senza frignare tanto per avere la meglio sulla nordafricana? Invincibilità o vulnerabilità a comando: a seconda di come conviene. Per Repubblica, invece, Khelif «è probabilmente la storia di queste Olimpiadi», «un simbolo», la «vittoria di un messaggio». Addirittura. Pare di leggere Hegel che avvistava Napoleone e si convinceva di aver visto lo Spirito del mondo a cavallo. Altro che tirarla per la giacca, qui ci manca poco che non le strappino la canottiera. Del resto, per il sito di Sport Mediaset, «Imane Khelif, assurta ormai a eroina nazionale, simbolo delle donne e della diversità, fa sentire gli algerini in Francia protagonisti di una battaglia per affermare diritti di cui ormai si sentono paladini». Sorridete donne: i vostri diritti sono in mano alle stesse persone che, se capitaste nella periferia Nord di Parigi, non vi farebbero entrare in un bar. E questa è la migliore delle ipotesi. Ieri sera, infine, la taiwanese Lin Yu Ting, l’altra atleta il cui genere di appartenenza viene contestato, ha combattuto con la turca Esra Yldiz Kahraman. Indovinate un po’? Ha vinto la prima per decisione unanime dei giudici. Dopo l’incontro, le due si sono scambiate una rispettosa stretta di mano, ma Kahraman, ringraziando la folla, ha di nuovo fatto con le dita il segno X di protesta, ricordando quali sono i cromosomi delle donne «a tutto tondo». E siamo già a due proteste di questo tipo. Tutti attori consapevoli del complotto della «fasciosfera» orchestrato dal Cremlino oppure possiamo ammettere che abbiamo un problema che il mondo dello sport sente più delle redazioni giornalistiche indignate?