2022-02-22
Anche dopo 30 anni la classe dirigente continua a impegnarsi per farsi odiare
Falò del fantoccio di Bettino Craxi durante una manifestazione (Ansa)
Alla vigilia di Tangentopoli un volume condensava il risentimento della società civile. Oggi è tutto diverso, ma non è cambiato niente.I politici si stanno facendo belli e si rimettono in mostra. Dopo le varie e diverse figuracce degli ultimi mesi scelgono le prossime smorfie, slogan, banalità per stare a galla. Non c’è in fondo niente di male. Le elezioni si stanno avvicinando e le iniezioni magari allontanando, anche perché tutti le hanno abbondantemente ricevute, così come i successivi virus Covid 19 in tutta la loro ricca varietà. L’ormai annoso gioco non può continuare all’infinito. Come chiede Susanna Tamaro, adesso: «Tana per tutti».Nessuna sorpresa o scandalo dunque se i politici, che dopotutto sono o dovrebbero anch’essi essere dei professionisti, si mettono, come raccontava con innocente autoironia applicata agli psicoanalisti il loro disincantato maestro Cesare Musatti, «sotto il loro lampione con la borsetta roteante in vista e le calze nere a rete». Nell’apologo musattiano la calza a rete era l’Edipo, il narcisismo, la scena primaria, il linguaggio. Qui vedremo... Però i politici devono stare attenti a non esagerare. Perché è difficile valutare tutto con precisione, ma potrebbe anche darsi che adesso gli italiani siano davvero stufi e non ne possano più di loro, dei politici. Le insofferenze (anche da ciò che si vede nello studio dell’analista) sembrano davvero profonde e la stima azzerata.La tragica insipienza e arrogante protervia nella gestione economica e sanitaria dell’epidemia ha fatto il resto; ma la situazione è assai più antica e non riducibile alla ridicola coppia Gianni (no vax) vs Pinotto (ministro e associati). C’è un libro di 30 anni fa Perché odio i politici con approfondite testimonianze di 249 importanti protagonisti della cultura e società civile dell’epoca sul perché di questo odio. (Si era comunque a un livello di libertà oggi neppur pensabile, e Mondadori poteva pubblicare un inno all’odio per i politici senza scandali, denunce e piagnistei. Pensate: Zan non era ancora comparso all’orizzonte!) Il curatore era Guido Almansi: altro personaggio oggi impensabile per cultura, senso dell’umorismo e indomabile amore, inquietudine e allergia per il Bel Paese. Insegnò per 20 anni letteratura inglese all’Università di East Anglia, prese la cittadinanza britannica; tornò poi in Italia e insofferente all’ipocrisia locale finì comunque la sua vita nel Canton Ticino.La sequenza di sfuriate antipolitiche del libro, feroci ma snocciolate con eleganze d’altri tempi rispetto alle inconsulte sbruffonate di oggi, rappresenta bene la delusione di personaggi allora al vertice dell’interesse della cultura e di ambienti produttivi anche internazionali, ma in Italia già pressoché ignorati dai corrispondenti ministri e autorità politiche, persi come sempre nel farsi gli affari loro. L’Italia, di cui loro erano fra i simboli più apprezzati, era in vetta all’interesse nel mondo, ma loro qui contavano meno dell’ultimo portaborse (come è anche oggi e le cronache puntualmente raccontano). C’è ad esempio Gae Aulenti, già da tempo protagonista internazionale dell’architettura e del design internazionale che serafica spiega: «È difficile odiare uomini così mediocri». «Quando abbiamo progettato il Musée d’Orsay a Parigi ho trattato con Giscard d’Estaing e poi con Mitterrand, personalmente, con tutta quell’alta burocrazia francese che ha un funzionamento perfetto che non si interrompe mai, neanche con i cambiamenti di governo; nel giro di dieci giorni da un rimpasto ministeriale o da un cambio delle guardia all’Eliseo tutto riprende a funzionare. La situazione in Germania o in Spagna non è molto diversa: questo per me, abituata alla situazione italiana è stato fonte di grande meraviglia. Qui da noi ogni volta che cambia il governo, o l’amministrazione locale, si ferma tutto e si ricomincia daccapo, per accontentare gli interessi dei nuovi dirigenti politici, per soddisfare questo o quel politico rampante nella zona. Non vedo nessuna possibilità di miglioramento nel futuro: questo è il sistema».Già alla fine del Novecento la generazione di professionisti appassionati al sociale che aveva accompagnato lo sviluppo italiano nel dopoguerra si allontanava delusa dalla vita pubblica cui aveva partecipato fin da molto giovane. Un esemplare interessante di questo gruppo fin certamente l’ottimo neurologo Renato Boeri (padre di Stefano, Tito e Sandro), giovanissimo comandante della Brigata partigiana Stefanoni, attiva nella zona del Mottarone, cui partecipava anche Eugenio Cefis con il nome di Alberto. Boeri, con cui condivisi l’apprezzamento per le leggendarie pizzette del Gigi bar di Stresa, confessa nel libro di provare per i politici «un’indispettita antipatia, che ha preso il posto dell’ammirata simpatia provata per loro nel periodo- che io considero felice - del dopoguerra fino all’inizio degli anni Sessanta». La ragione è, spiega Boeri, nel fatto che «col tempo si è perduta sia l’intelligenza critica profondamente originale che il rigore civile che caratterizzavano i politici di allora». «Ciò è derivato», spiega, «dal preferire la filosofia dell’avere rispetto a quella dell’essere, e dal fatto che oggi si è politici per professione, non per scelta di dovere sociale». «Sono tutti noiosi», conclude Boeri senior, «perché sanno parlare di politica solo in un linguaggio da addetti, e sono per lo più tristi e privi di prospettive di speranza».«Chi potrà mai dimenticare», incalza già allora furibonda Natalia Aspesi, «certi occhi rotondi e vacui, segno demoniaco del male, offesa estetica degna di un rivoluzione?». Nessuno, cara Natalia, anche perché 30 anni dopo sono già in pista i loro cloni, tali e quali: stessi occhi rotondi e vacui stessa bocca aperta e aria scimunita, come racconti tu. Guardali. Pare un incubo.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
Continua a leggereRiduci