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2018-11-15
Anas, su Dibennardo c’è il veto grillino
ANSA
Per comprendere l'importanza del mondo che ruota intorno all'Anas, prima stazione appaltante in Italia, gestore di 25.000 chilometri di autostrade, bisogna riprendere un'intercettazione dell'inchiesta sul G8 del 2010 che portò a processo anche l'ex senatore di Ala, Denis Verdini. A parlare al telefono, intercettato, è Mario Sancetta, magistrato della Corte dei conti, che a Rocco Lamino, socio del Consorzio stabile novus, dice: «È più conveniente, come magistrato della Corte dei conti, occuparsi del ramo Anas o di quello Eni?». Lamino replica: «L'Anas è la prima. Perché con l'Eni si va fuori. Ma la prima è la migliore perché veramente significa stare presenti su tutto il territorio nazionale, perché davvero ce n'è bisogno, voglio dire di entrare nell'ingranaggio delle manutenzioni, a vita, perché veramente le strade hanno bisogno di manutenzione tutta la vita».
È racchiusa in queste ultime parole la strategicità di un'azienda come Anas e sull'importanza di una figura come Verdini su quel mondo degli appalti, tanto che Sancetta cercherà in quei mesi di mettersi in contatto proprio con lui per entrare dalla porta principale di via Monzambano.
Per questo motivo dopo le dimissioni della scorsa settimana di Gianni Armani da amministratore delegato, è esplosa una polemica all'interno del Movimento 5 stelle sulla figura di Ugo Dibennardo, attuale direttore operazioni e coordinamento territoriale. L'ingegnere catanese avrebbe già un accordo di massima con il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, per diventare amministratore delegato oggi, quando si insedierà il nuovo consiglio di amministrazione. Ma il più battagliero tra i 5 stelle è il senatore Elio Lannutti, che sui social lunedì ricordava sempre la vicinanza di Dibennardo proprio alla cricca emersa nell'inchiesta sul G8 della Maddalena: «In concorrenza con le cricche degli appalti di Diego Anemone e del suo sistema gelatinoso, con le dotte consulenze degli Ercole Incalza e di Ugo Dibennardo?». Il punto sta proprio qui, il direttore operazioni Anas lavora in via Monzambano da più di vent'anni. Ha superato tutte le stagioni, è stato anche arrestato nel 2002 in un'inchiesta sulle infiltrazioni della 'ndrangheta sulla Salerno-Reggio Calabria, da cui è uscito completamente scagionato e rimborsato per gli ingiusti giorni passati in carcere. È sopravvissuto anche all'ultima stagione di Pietro Ciucci, ultimo boiardo, di cui era un fedelissimo. Non a caso il suo nome è emerso negli anni anche nelle indagini sulle grandi opere su Incalza, ex potentissimo capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dal 2001 al 31 dicembre 2014. Non solo. Nel 2015 il nome di Dibennardo emerge nelle carte dell'inchiesta sulle presunte mazzette che giravano intorno alla Dama nera, al secolo Antonella Accroglianò, ex capo coordinamento tecnico amministrativo di Anas.
In sostanza è per questo motivo che una parte dei 5 stelle continua a opporsi alla nomina di Dibennardo, perché troppo legato al vecchio mondo politico della Prima repubblica. La vicinanza all'ex ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, di cui è amico d'infanzia (come emerge dalle intercettazioni sulla Dama nera), ma soprattutto l'amicizia con Verdini sono bocconi difficili da deglutire per una parte dei 5 stelle. Per di più proprio Dibennardo è venuto incontro all'ex senatore di Ala, il garante del patto del Nazareno tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, proprio quest'anno. La storia, raccontata anche dalla Verità, riguarda Rocco Girlanda, politico e giornalista, anche lui sfiorato nel 2010 dall'inchiesta sul G8, sponsorizzato proprio da Verdini. Nel 2016 Girlanda era un dirigente Anas, agli Affari istituzionali, distaccato al ministero dei Trasporti, non senza qualche polemica sulla nomina. Terminato il governo di Paolo Gentiloni è ritornato in via Monzambano, ma la direttrice relazioni istituzionali, Emanuela Poli, non lo ha voluto sotto la sua unità. Chi è stato disposto ad accoglierlo è stato appunto Dibennardo. Oggi l'incarico di Girlanda è quello di dirigente in staff alla direzione progettazione e realizzazione lavori. Niente male per un giornalista che lavorava alle relazioni istituzionali. Ma Verdini può tutto e Dibennardo lo sa bene.
Da «Torni a bordo» a «Vai a casa». Il M5s vuol buttare a mare De Falco
«Dimettermi in caso di espulsione? Prima serve un processo e ancora prima un'accusa. Ma non credo che sarò espulso, nessuno mi ha fatto sapere nulla». Ostentava sicurezza ieri il senatore M5s Gregorio De Falco, regolarmente a Palazzo Madama seppur finito nel mirino dei probiviri (con la collega Paola Nugnes) per aver espresso, martedì, il suo voto in dissenso con il Movimento e in linea con Pd e Forza Italia sul contestato condono di Ischia, mandando sotto la maggioranza in Commissione al Senato. Uno scivolone per il governo gialloblù che al capo politico del M5s, Luigi Di Maio, non è proprio piaciuto e definendo «gravissimo» il comportamento dei due senatori (l'astensione di Nugnes e il voto contrario di De Falco), aveva aggiunto: «Questo non è un caso isolato, sono diverse settimane che ci arrivano segnali di dissenso da parte di senatori che hanno firmato impegni con il M5s e che devono portare avanti il contratto di governo. De Falco e Nugnes sono già sotto procedura dei probiviri. I dissidenti verranno probabilmente cacciati, sembrano che vogliano solo questo».
In effetti, in questa legislatura, alla Camera già 38 deputati hanno votato contro il M5s, mentre al Senato sono stati in 69. Comunque l'emendamento di Forza Italia che aveva ristretto le maglie del condono (cancellando la legge del 1985 e lasciando quelle di Silvio Berlusconi del 1994 e del 2003) aveva diviso il M5s ma aveva provocato anche l'autosospensione di sei parlamentari azzurri campani. Sono i senatori Domenico De Siano, Vincenzo Carbone e Luigi Cesaro, e i deputati Antonio Pentangelo, Paolo Russo e Carlo Sarro, che in una nota avevano definito «irresponsabile l'azione di alcuni senatori di Fi», soprattutto nei loro confronti che «avevano sostenuto le ragioni dei cittadini di Ischia e della Campania, dall'abusivismo agli abbattimenti ai condoni». Ma ieri, dopo che la capogruppo di Fi, Anna Maria Bernini, ha annunciato libertà di voto sull'emendamento presentato dagli stessi azzurri, il Senato ha reintrodotto il condono edilizio a Ischia, respingendo l'emendamento all'articolo 25 che martedì aveva mandato sotto la maggioranza. Con la bocciatura, si torna all'applicazione della legge Craxi sul condono del 1985 per le istanze pendenti su immobili danneggiati dal sisma del 2017.
Tornando in casa grillina, l'ex capitano di fregata De Falco, divenuto famoso sei anni fa per la telefonata in cui intimava al comandante Francesco Schettino «Salga a bordo, ca...», durante il disastro della Costa Concordia, si ritrova lui in mezzo a un naufragio per aver «trasgredito» il codice etico che prevede le dimissioni e una multa da 100.000 euro in caso di espulsione dal gruppo. «Io non sono dissidente, ma coerente con le idealità del M5s», ha ribadito ieri De Falco. «La linea politica è quella designata dal programma e dal contratto, ricordo che una delle cinque stelle del Movimento è l'ambiente». Per l'ex ufficiale di Marina, che già sul dl sicurezza aveva espresso la sua contrarietà, sul condono di Ischia «c'è una deviazione rispetto ai principi e ai fondamenti del M5s e non credo che esaminare istanze di condono attraverso una legge del passato possa essere una deroga razionale al principio generale del diritto. Se quello introdotto dal governo nel dl Genova non è un condono dovrebbero spiegare perché si fa riferimento a una legge del 1985».
E se i vertici del Movimento sono furiosi, ai due senatori arriva via Facebook la solidarietà della senatrice Elena Fattori: «Un sentito grazie ai colleghi De Falco e Nugnes che hanno seguito la loro coerenza, hanno pensato prima al bene dei cittadini che agli ordini di scuderia. Grazie anche per il coraggio in un clima di terrorismo psicologico lontano da ogni forma di democrazia. A riveder le stelle».
Parola diverse dal sottosegretario grillino Stefano Buffagni: «De Falco aveva detto “Torna a bordo!". Io gli dico: “Se non ti trovi, torna a casa". De Falco rimane un genio che si sente troppo genio rispetto al gruppo. Ha votato contro e senza preavviso insieme con Pd e Fi. Noi dobbiamo tenere in piedi i conti del Paese, non quelli della famiglia De Falco». Va giù duro anche il sottosegretario all'Interno, Carlo Sibilia, altro big del M5s: «Chi ha deciso di anteporre i propri interessi a quelli del Paese dovrebbe tornarsene a casa. Non siamo stati eletti per ergersi ognuno a paladino di sé stesso. E delle proprie convinzioni personali a discapito di quelle di un gruppo intero e del governo. Se si è cambiato idea lo si dica in maniera chiara e si accettino le conseguenze con responsabilità. Si torni a casa con le proprie gambe». «Se qualcuno non si trova più bene all'interno del Movimento, c'è una regola che abbiamo sempre enunciato in campagna elettorale: fa un passo indietro e va a casa, lasciando il posto a qualcun altro» ha ribadito il ministro Riccardo Fraccaro aggiungendo: «Coerenza vuole questo, poi decideranno i senatori coinvolti. I provvedimenti potrebbe prenderli il capogruppo Stefano Patuanelli o il collegio dei probiviri M5s. Lo vedremo nelle prossime ore, nei prossimi giorni. Ora è inutile anticiparlo».
Comunque l'ex ufficiale, convinto che non lascerà il M5s, difende la sua posizione citando Beppe Grillo: «Ogni eletto deve rispondere al programma e alla propria coscienza e ha la libertà di esprimersi in Parlamento senza chiedere il permesso ai capobastoni. I cittadini si facciano Stato non si sostituiscano ai partiti con un altro partito». Di Maio aveva maliziosamente ventilato contro il «dissidente» l'accusa di non volersi tagliare lo stipendio per restituire soldi ai cittadini colpiti dal maltempo: «La solita macchina del fango. Restituirò la quota». Aspettando il verdetto.
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L'ala più dura cerca di impedire che il direttore operazioni diventi il nuovo ad: «Troppo vicino a Verdini e Incalza». Ma il ministro Danilo Toninelli oggi può tirare dritto.Non si abbassa la pressione nel Movimento sull'ex comandante. Luigi Di Maio: «Gravissimo votare con il Pd, i dissidenti vanno cacciati». La replica: «Seguo la mia coscienza». E in Aula torna il condono del 1985.Lo speciale contiene due articoli.Per comprendere l'importanza del mondo che ruota intorno all'Anas, prima stazione appaltante in Italia, gestore di 25.000 chilometri di autostrade, bisogna riprendere un'intercettazione dell'inchiesta sul G8 del 2010 che portò a processo anche l'ex senatore di Ala, Denis Verdini. A parlare al telefono, intercettato, è Mario Sancetta, magistrato della Corte dei conti, che a Rocco Lamino, socio del Consorzio stabile novus, dice: «È più conveniente, come magistrato della Corte dei conti, occuparsi del ramo Anas o di quello Eni?». Lamino replica: «L'Anas è la prima. Perché con l'Eni si va fuori. Ma la prima è la migliore perché veramente significa stare presenti su tutto il territorio nazionale, perché davvero ce n'è bisogno, voglio dire di entrare nell'ingranaggio delle manutenzioni, a vita, perché veramente le strade hanno bisogno di manutenzione tutta la vita». È racchiusa in queste ultime parole la strategicità di un'azienda come Anas e sull'importanza di una figura come Verdini su quel mondo degli appalti, tanto che Sancetta cercherà in quei mesi di mettersi in contatto proprio con lui per entrare dalla porta principale di via Monzambano. Per questo motivo dopo le dimissioni della scorsa settimana di Gianni Armani da amministratore delegato, è esplosa una polemica all'interno del Movimento 5 stelle sulla figura di Ugo Dibennardo, attuale direttore operazioni e coordinamento territoriale. L'ingegnere catanese avrebbe già un accordo di massima con il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, per diventare amministratore delegato oggi, quando si insedierà il nuovo consiglio di amministrazione. Ma il più battagliero tra i 5 stelle è il senatore Elio Lannutti, che sui social lunedì ricordava sempre la vicinanza di Dibennardo proprio alla cricca emersa nell'inchiesta sul G8 della Maddalena: «In concorrenza con le cricche degli appalti di Diego Anemone e del suo sistema gelatinoso, con le dotte consulenze degli Ercole Incalza e di Ugo Dibennardo?». Il punto sta proprio qui, il direttore operazioni Anas lavora in via Monzambano da più di vent'anni. Ha superato tutte le stagioni, è stato anche arrestato nel 2002 in un'inchiesta sulle infiltrazioni della 'ndrangheta sulla Salerno-Reggio Calabria, da cui è uscito completamente scagionato e rimborsato per gli ingiusti giorni passati in carcere. È sopravvissuto anche all'ultima stagione di Pietro Ciucci, ultimo boiardo, di cui era un fedelissimo. Non a caso il suo nome è emerso negli anni anche nelle indagini sulle grandi opere su Incalza, ex potentissimo capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dal 2001 al 31 dicembre 2014. Non solo. Nel 2015 il nome di Dibennardo emerge nelle carte dell'inchiesta sulle presunte mazzette che giravano intorno alla Dama nera, al secolo Antonella Accroglianò, ex capo coordinamento tecnico amministrativo di Anas. In sostanza è per questo motivo che una parte dei 5 stelle continua a opporsi alla nomina di Dibennardo, perché troppo legato al vecchio mondo politico della Prima repubblica. La vicinanza all'ex ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, di cui è amico d'infanzia (come emerge dalle intercettazioni sulla Dama nera), ma soprattutto l'amicizia con Verdini sono bocconi difficili da deglutire per una parte dei 5 stelle. Per di più proprio Dibennardo è venuto incontro all'ex senatore di Ala, il garante del patto del Nazareno tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, proprio quest'anno. La storia, raccontata anche dalla Verità, riguarda Rocco Girlanda, politico e giornalista, anche lui sfiorato nel 2010 dall'inchiesta sul G8, sponsorizzato proprio da Verdini. Nel 2016 Girlanda era un dirigente Anas, agli Affari istituzionali, distaccato al ministero dei Trasporti, non senza qualche polemica sulla nomina. Terminato il governo di Paolo Gentiloni è ritornato in via Monzambano, ma la direttrice relazioni istituzionali, Emanuela Poli, non lo ha voluto sotto la sua unità. Chi è stato disposto ad accoglierlo è stato appunto Dibennardo. Oggi l'incarico di Girlanda è quello di dirigente in staff alla direzione progettazione e realizzazione lavori. Niente male per un giornalista che lavorava alle relazioni istituzionali. 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Ostentava sicurezza ieri il senatore M5s Gregorio De Falco, regolarmente a Palazzo Madama seppur finito nel mirino dei probiviri (con la collega Paola Nugnes) per aver espresso, martedì, il suo voto in dissenso con il Movimento e in linea con Pd e Forza Italia sul contestato condono di Ischia, mandando sotto la maggioranza in Commissione al Senato. Uno scivolone per il governo gialloblù che al capo politico del M5s, Luigi Di Maio, non è proprio piaciuto e definendo «gravissimo» il comportamento dei due senatori (l'astensione di Nugnes e il voto contrario di De Falco), aveva aggiunto: «Questo non è un caso isolato, sono diverse settimane che ci arrivano segnali di dissenso da parte di senatori che hanno firmato impegni con il M5s e che devono portare avanti il contratto di governo. De Falco e Nugnes sono già sotto procedura dei probiviri. I dissidenti verranno probabilmente cacciati, sembrano che vogliano solo questo». In effetti, in questa legislatura, alla Camera già 38 deputati hanno votato contro il M5s, mentre al Senato sono stati in 69. Comunque l'emendamento di Forza Italia che aveva ristretto le maglie del condono (cancellando la legge del 1985 e lasciando quelle di Silvio Berlusconi del 1994 e del 2003) aveva diviso il M5s ma aveva provocato anche l'autosospensione di sei parlamentari azzurri campani. Sono i senatori Domenico De Siano, Vincenzo Carbone e Luigi Cesaro, e i deputati Antonio Pentangelo, Paolo Russo e Carlo Sarro, che in una nota avevano definito «irresponsabile l'azione di alcuni senatori di Fi», soprattutto nei loro confronti che «avevano sostenuto le ragioni dei cittadini di Ischia e della Campania, dall'abusivismo agli abbattimenti ai condoni». Ma ieri, dopo che la capogruppo di Fi, Anna Maria Bernini, ha annunciato libertà di voto sull'emendamento presentato dagli stessi azzurri, il Senato ha reintrodotto il condono edilizio a Ischia, respingendo l'emendamento all'articolo 25 che martedì aveva mandato sotto la maggioranza. Con la bocciatura, si torna all'applicazione della legge Craxi sul condono del 1985 per le istanze pendenti su immobili danneggiati dal sisma del 2017. Tornando in casa grillina, l'ex capitano di fregata De Falco, divenuto famoso sei anni fa per la telefonata in cui intimava al comandante Francesco Schettino «Salga a bordo, ca...», durante il disastro della Costa Concordia, si ritrova lui in mezzo a un naufragio per aver «trasgredito» il codice etico che prevede le dimissioni e una multa da 100.000 euro in caso di espulsione dal gruppo. «Io non sono dissidente, ma coerente con le idealità del M5s», ha ribadito ieri De Falco. «La linea politica è quella designata dal programma e dal contratto, ricordo che una delle cinque stelle del Movimento è l'ambiente». Per l'ex ufficiale di Marina, che già sul dl sicurezza aveva espresso la sua contrarietà, sul condono di Ischia «c'è una deviazione rispetto ai principi e ai fondamenti del M5s e non credo che esaminare istanze di condono attraverso una legge del passato possa essere una deroga razionale al principio generale del diritto. Se quello introdotto dal governo nel dl Genova non è un condono dovrebbero spiegare perché si fa riferimento a una legge del 1985». E se i vertici del Movimento sono furiosi, ai due senatori arriva via Facebook la solidarietà della senatrice Elena Fattori: «Un sentito grazie ai colleghi De Falco e Nugnes che hanno seguito la loro coerenza, hanno pensato prima al bene dei cittadini che agli ordini di scuderia. Grazie anche per il coraggio in un clima di terrorismo psicologico lontano da ogni forma di democrazia. A riveder le stelle». Parola diverse dal sottosegretario grillino Stefano Buffagni: «De Falco aveva detto “Torna a bordo!". Io gli dico: “Se non ti trovi, torna a casa". De Falco rimane un genio che si sente troppo genio rispetto al gruppo. Ha votato contro e senza preavviso insieme con Pd e Fi. Noi dobbiamo tenere in piedi i conti del Paese, non quelli della famiglia De Falco». Va giù duro anche il sottosegretario all'Interno, Carlo Sibilia, altro big del M5s: «Chi ha deciso di anteporre i propri interessi a quelli del Paese dovrebbe tornarsene a casa. Non siamo stati eletti per ergersi ognuno a paladino di sé stesso. E delle proprie convinzioni personali a discapito di quelle di un gruppo intero e del governo. Se si è cambiato idea lo si dica in maniera chiara e si accettino le conseguenze con responsabilità. Si torni a casa con le proprie gambe». «Se qualcuno non si trova più bene all'interno del Movimento, c'è una regola che abbiamo sempre enunciato in campagna elettorale: fa un passo indietro e va a casa, lasciando il posto a qualcun altro» ha ribadito il ministro Riccardo Fraccaro aggiungendo: «Coerenza vuole questo, poi decideranno i senatori coinvolti. I provvedimenti potrebbe prenderli il capogruppo Stefano Patuanelli o il collegio dei probiviri M5s. Lo vedremo nelle prossime ore, nei prossimi giorni. Ora è inutile anticiparlo». Comunque l'ex ufficiale, convinto che non lascerà il M5s, difende la sua posizione citando Beppe Grillo: «Ogni eletto deve rispondere al programma e alla propria coscienza e ha la libertà di esprimersi in Parlamento senza chiedere il permesso ai capobastoni. I cittadini si facciano Stato non si sostituiscano ai partiti con un altro partito». Di Maio aveva maliziosamente ventilato contro il «dissidente» l'accusa di non volersi tagliare lo stipendio per restituire soldi ai cittadini colpiti dal maltempo: «La solita macchina del fango. Restituirò la quota». Aspettando il verdetto.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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