2025-02-24
«Amo il teatro perché lì non si bluffa»
L’attore Corrado Tedeschi: «Il pubblico che mi ha conosciuto in tv ora mi segue nelle mie tournée. Sul palco molti giovani recitano con l’auricolare, ma così si perde spontaneità. A scuola il maestro mi faceva interpretare “Tutto il calcio”».L’aplomb è quello consueto, che tutti ricordiamo nelle numerose trasmissioni sulle reti Mediaset che l’hanno reso volto popolare. Corrado Tedeschi ha sempre amato la conduzione televisiva. Tuttavia, la sua più potente passione è quella per il teatro. Nella giovinezza studiò per diventare attore e si diplomò al Teatro Stabile di Genova. Ha interpretato numerosi spettacoli e tournée e continua a praticare l’arte. E poi c’è il calcio, giocato sin dalla giovinezza a livello agonistico, nella sua squadra del cuore, la Sampdoria, e raccontato anche in televisione. Tedeschi, insomma, è un uomo fortunato ma anche coerente. Non solo la sua carriera, ma anche il suo presente sono la materializzazione dei sogni che, fin da ragazzo, aveva individuato per il proprio futuro. Per lui, il trittico teatro, tv, sport continua. È nato a Livorno nell’estate del 1952. Suo padre era un ufficiale della Marina Militare e quindi vi spostavate in diverse città italiane. «Ricordo che sono cresciuto con una mentalità molto particolare, da marinaio, acquisita fin da piccolo. Quando mio padre veniva trasferito, ovviamente anche noi dovevamo spostarci. Quindi si cresce con questa mentalità un po’ zingaresca che riproduco ancora adesso perché con le tournée di teatro, più o meno, è la stessa cosa». Inizialmente voleva fare il calciatore e giocò come attaccante nelle giovanili della Sampdoria…«Sì, è vero. Il calcio è stato un grande amore che è andato avanti per tanti anni. Mi sarebbe piaciuto ma, probabilmente, non avevo la testa neanche tanto giusta per fare il calciatore. Però è stata una grandissima passione».Si diletta ancor oggi nel gioco?«Purtroppo non ce la faccio più (ride, ndr) perché, se mi faccio male, poi in teatro ci mettono un altro».Ma continua a seguirlo…«Sì, seguo la Sampdoria, moltissimo». Tifoso dei blucerchiati. «Sììì, tifosissimo, e anche tutta la mia famiglia, figli, nipoti, hanno preso tutti questa patologia…». Studiò recitazione al Teatro Stabile di Genova. Sin da giovane ambiva a entrare nel mondo della recitazione?«Fin da bambino ho sempre avuto questa incredibile gioia nel vedermi ascoltato dagli altri. Dato che avevo girato così tanto e avevo tutte le inflessioni dialettali, già alle elementari, negli ultimi dieci minuti, il maestro mi faceva fare Tutto il calcio minuto per minuto, dove facevo i collegamenti con i vari accenti e tutta la classe mi ascoltava in silenzio. Ho trovato che fosse meraviglioso e sono andato avanti con quel gioco». Nel 1999 diventò primo attore del Franco Parenti di Milano.«Esperienza importantissima».Ma intanto era diventato un celebre conduttore televisivo. «Ho fatto tanti, tanti anni di televisione cominciando dopo le tv commerciali ed è stata un’avventura meravigliosa, con una popolarità che mi porto ancora dietro. Perché facevo programmi per giovani e questi giovani sono cresciuti e adesso mi seguono a teatro. Una popolarità trasversale. Bellissimo».Con il teatro sta continuando. Quale spettacolo sta portando in scena in questo periodo? «Da due anni, questo è il secondo, sto portando in tournée Plaza Suite, un capolavoro di Neil Simon. Stiamo stati qui a Milano al teatro Manzoni, con un grande successo e ora lo portiamo in giro. Dico siamo perché sono con Debora Caprioglio con la quale c’è un sodalizio che funziona benissimo. Piacevolissimo lavorare con lei». Quale plus può dare il teatro, con questo rapporto senza filtri tra spettatori e attori, a differenza di cinema, tv e altri canali di diffusione? «Quello che può dare di più è che ciò che avviene a teatro avviene lì, in quel momento e non sarà mai uguale, è sempre diverso. Tutte le sere può succedere qualcosa, tutte le sere si vede qualcosa che non ha rete. È un mestiere, quello di fare teatro, molto amato. C’è tanta gente che ci viene, forse questo non viene sottolineato abbastanza, ma tantissima gente scappa dalla televisione, da Internet, dai computer e viene a teatro. Io dico sempre quello che penso: il teatro è un mestiere per professionisti, per gente che conosce questo mestiere, che ha il talento per farlo, mentre la televisione è un mestiere per dilettanti. Distinguo molto le due cose». I giovani vengono a teatro?«Non come si vorrebbe. Non c’è stato un cambio generazionale così deciso. Spero che avvenga presto. Bisogna saper proporre ai giovani gli spettacoli giusti nel modo giusto». Un attore teatrale deve impiegare molto tempo per imparare a memoria i testi, le battute?«Certo, fa parte del mestiere. Fare questo mestiere senza la memoria vorrebbe dire voler correre in moto come Valentino Rossi senza moto. Ci vuole la memoria che, grazie a Dio, io ho e funziona molto bene, nonostante non sia più un ragazzino. A volte ci sono attori anche più giovani di me che sono costretti a usare l’auricolare, perché non si ricordano i testi. Però è un modo molto brutto di fare questo mestiere, perché c’è il suggeritore e non va bene. La bellezza del teatro è la sua spontaneità, avviene in quel momento, è uno spettacolo onesto e non si può bluffare».Esiste ancora la figura del suggeritore nello sgabuzzino sotto il palco, come si vede in qualche vecchio film?«Non c’è più. Ora c’è l’auricolare. Ma non è la stessa cosa. Fra il suggerimento e la battuta passa del tempo e tutto lo spettacolo ne risente. Il rischio è che diventi finto. Certo, esiste il rischio di dimenticarsi le cose, però il talento ti fa andare avanti nonostante tutto». Tuttavia, qualora capiti un’episodica amnesia, l’attore può improvvisare una battuta?«A volte qualcuno mi dice “come vi divertite a improvvisare in teatro”. In teatro non s’improvvisa. Il copione è sacro. Tutte le sere, sul copione puoi sperimentare intonazioni diverse, ad esempio sulle battute, ma un testo non si cambia. Non si cambiano Neil Simon o William Shakespeare. Certo, se in quel momento viene meno la memoria e c’è un momento di vuoto, fra compagni affiatati ci si aiuta per andare avanti. Basta che il pubblico non si accorga di ciò. Per questo dico che questo è un mestiere da professionisti». Sua figlia Camilla, classe 1996, è diventata attrice di teatro e cinema. Com’è il rapporto tra un padre attore e una figlia attrice? «Naturalmente l’ho messa in guardia sulle difficoltà che ci sono a fare questo mestiere al giorno d’oggi, dove purtroppo il merito dei ragazzi giovani non viene premiato, ma vengono premiate altre cose. Ma lei ha una passione che va oltre qualsiasi perplessità. Vuole fare questo mestiere. È bravissima. Abbiamo fatto uno spettacolo insieme che s’intitola Partenza e salita, con più di cento date, e continueremo a farlo. Esperienza divertentissima che racconta proprio il nostro rapporto». Un tempo la tv proponeva rappresentazioni teatrali. Oggi poco. Sarebbe utile che la televisione dedicasse più spazio al teatro?«Non solo sarebbe utile, ma anche necessario. Il teatro portato in televisione non farebbe grandissimi ascolti. Farebbe ascolti diversi dagli spettacoli di massa che si fanno in questo momento. Ma credo che la tv di Stato abbia questo compito, quello di fregarsene degli ascolti, ma di pensare di più a creare generazioni nuove di persone che apprezzano il teatro che, ripeto, è cultura, storia… Non solo. Dico anche che il teatro dovrebbe diventare una materia di studio scolastica, non di doposcuola, ma proprio scolastica. Perché insegna ai ragazzi l’autostima, la capacità di parlare in pubblico che è fondamentale, la sicurezza in loro stessi. Sarebbe fondamentale». Agli inizi degli anni Ottanta, ebbe una brillante ascesa come conduttore di trasmissioni Mediaset.«Doppio slalom, ci tengo, cinque anni su Canale 5, un programma di grande successo, Il gioco delle coppie e tante altre cose». È vero che al Gioco delle coppie sono nate unioni proseguite nella vita reale?«Sì, è successo perché i vincitori poi partivano in gruppo e andavano a fare le vacanze e quindi una cosa molto simpatica. Diciamo che ho officiato delle unioni». Ha avuto notizie se qualcuna di queste unioni è sopravvissuta?«No, però incontro spesso persone che hanno fatto i concorrenti e devo dire che è stata un’esperienza per loro rimasta piacevole. Era una tivù molto educata, garbata, senza volgarità. Avveniva tutto con grande pulizia».E Silvio Berlusconi l’ha conosciuto?«Certo, perché ho fatto tanti anni a Mediaset sin dai suoi inizi. Lui era presentissimo. Un grandissimo motivatore. Ti faceva sentire parte di un progetto importante, il fatto di far nascere un’alternativa alla televisione di Stato. Ci sentivamo tutti parte di un progetto». Nonostante gli impegni teatrali, continua ancora a fare tivù. «Faccio una trasmissione su Made in business, Canale 454 del digitale terrestre, che s’intitola Storyteller, dove intervisto grandi imprenditori italiani, ad esempio Illy, aziende importantissime, un piacere». Quando ha del tempo libero qual è la cosa che più ama fare?«Essendo figlio di un marinaio, vado vicino al mare, perché davanti al mare si respira in modo diverso. Dico la verità. Qui a Milano mi manca molto il mare. E poi, quando posso, vado a vedere la Sampdoria».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.