La Commissione prepara una direttiva per subordinare la possibilità di vendere o dare in affitto un immobile al fatto che esso appartenga a una determinata classe energetica. Una trappola per milioni di edifici che sarebbe impossibile adeguare in tempi utili. Una stangata che s’aggiunge a quella sul vino equiparato al fumo.
La Commissione prepara una direttiva per subordinare la possibilità di vendere o dare in affitto un immobile al fatto che esso appartenga a una determinata classe energetica. Una trappola per milioni di edifici che sarebbe impossibile adeguare in tempi utili. Una stangata che s’aggiunge a quella sul vino equiparato al fumo.Si è aperta la stagione di caccia, con i proprietari di immobili nella scomodissima parte del fagiano. Il 16 dicembre arriva la botta della seconda rata Imu, una patrimoniale pesantissima. Sempre a breve c’è da temere (dentro la delega fiscale, come La Verità ha più volte spiegato) che scatti la riforma degli estimi catastali: e, nonostante l’impegno di Mario Draghi a non utilizzare i nuovi valori entro il 2026, è un dato di fatto che si stia consegnando a un futuro governo una pistola carica. Ma ora rischia di arrivare un’ulteriore stangata, ancora più devastante, figlia del fondamentalismo green. Una fuoriuscita di notizie, rilanciata ieri dal Messaggero, ha lanciato l’allarme: la Commissione Ue ha allo studio una direttiva - letteralmente folle - che subordinerebbe la possibilità di vendere (e perfino di affittare!) un immobile al fatto che esso appartenga a una determinata classe energetica. Insomma, in assenza di alcuni standard, l’immobile sarebbe reso inutilizzabile sul mercato.Manca solo, come ha commentato il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, che venga introdotto il «reato di possesso di immobile». Si tratta di un sorriso amarissimo: ma rende bene il clima di aggressione contro la proprietà in generale, e in particolare contro gli italiani. Non va mai dimenticato che il 70% degli italiani sono proprietari di un immobile: dunque, introdurre norme di questo tipo (a maggior ragione dopo il massacro fiscale deciso da Mario Monti nel 2011, quando la patrimoniale immobiliare fu quasi triplicata) significa colpire al cuore la ricchezza delle nostre famiglie. Ovviamente Confedilizia è mobilitata contro questo sproposito, e, insieme a essa, è in campo anche l’Uipi (International union of property owners). L’obiettivo finale della Commissione sarebbe quello di imporre in tutta l’Ue edifici a emissioni zero. A questo fine, dovrebbe scattare un maxi piano di ristrutturazione degli edifici esistenti, ancorato ad alcuni standard energetici. Sulle date si discute ancora, ma il piano di battaglia Ue sarebbe questo: applicare i nuovi parametri dal 2027, per avere già nel 2035 l’intero parco immobiliare improntato agli standard minimi fissati. E qui scatta la parte sanzionatoria, tale da determinare una sorta di privazione del valore commerciale dell’immobile. Secondo il disegno partorito a Bruxelles, gli Stati dovrebbero garantire - si legge nella bozza a cui sta lavorando la Direzione energia della Commissione - che le unità immobiliari vendute o affittate a un nuovo inquilino (eccezion fatta, in questo caso, per le unità ricomprese nei condomini) «raggiungano almeno la classe di prestazione energetica E, dopo il primo gennaio 2027; la classe D, dopo il primo gennaio 2030; la classe C dopo il primo gennaio 2033».Come si vede, obiettivi assurdi in un tempo incredibilmente breve. Unica via d’uscita (si fa per dire)? L’unità immobiliare si può vendere lo stesso, ma l’acquirente deve soddisfare gli standard entro tre anni. Insomma, o una stangata prima a danno del vecchio proprietario, o una stangata dopo a danno del nuovo. Ma non basta ancora: passiamo ai condomini. In questo caso, secondo la bozza, gli Stati dovrebbero imporre il raggiungimento della classe E dopo il 2030, della classe D dopo il 2035, e della classe C dopo il 2040. Unici edifici che lo Stato potrebbe esentare? Il catalogo dei «salvati» è ristrettissimo: immobili di particolare pregio architettonico o storico (che sarebbero sfigurati dalla ristrutturazione), edifici di culto e poco altro. In omaggio all’ossessione regolatoria cara a Bruxelles, verrebbe poi istituito entro fine 2023 un «passaporto per la ristrutturazione edilizia», ed entro l’anno successivo gli Stati dovrebbero introdurre uno «schema» per adeguarsi. Ovviamente, al delirio burocratico fa da pendant la vaghezza: cosa vuol dire infatti «introdurre uno schema»?Contro tutto questo, un’analisi di Confedilizia oppone argomenti di grande ragionevolezza: «Appare opportuno domandarsi», si chiede l’associazione, «a che prezzo questa attività dovrà essere svolta e, soprattutto, se questo prezzo sia sostenibile: ogni cambiamento deve avvenire in modo graduale e sostenibile». E in ogni caso la strada da seguire non è quella degli obblighi, ma quella degli incentivi. Intanto, fa notare opportunamente l’associazione, occorrerebbe fare chiarezza sulle metodologie di classificazione energetica: non sempre, infatti, la classe energetica di un edificio esprime i consumi reali. Esempio concreto: «Due immobili in tutto e per tutto identici, ma uno con caldaia a gas e l’altro con caldaia a biomassa, hanno classi energetiche differenti, la prima tre volte peggiore».Ora, la bozza di direttiva Ue punterebbe a una sorta di armonizzazione degli attestati di prestazione energetica, con relativa modifica delle metodologie di determinazione delle classi. Se la modifica avvenisse in modo particolarmente rigido, potrebbe accadere che per immettere alcuni immobili sul mercato occorra sottoporli - ad esempio - «a importanti interventi di riqualificazione agendo sull’involucro edilizio per coibentarlo». Con effetti paradossali. Si pensi a un edificio caratterizzato da facciate con presenza di balconi. A quel punto, chiarisce Confedilizia, «sarà necessario svolgere opere rilevanti di correzione dei ponti termici dei balconi», lavori «insostenibili dal punto di vista del tempo di ritorno dell’investimento e, inoltre vi sarebbe una significativa riduzione della superficie calpestabile dei balconi». Di fatto, si tratterebbe di rimuovere i balconi o ridimensionarli in modo devastante, con costi pazzeschi e con un impatto estetico imbarazzante. Secondo una simulazione realistica, sarebbero almeno 10 i milioni di immobili italiani teoricamente a rischio (in quanto vecchi di oltre 30 anni e presumibilmente energivori), e di questi circa la metà (5 milioni) sarebbero certamente «impattati» dalla nuova normativa. Ha senso una follia del genere?
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