2024-09-13
Roghi, disboscamenti, un’autostrada. Così il verde Lula sfigura l’Amazzonia
I fuochi in Amazzonia sono ferite aperte sul volto del Brasile (iStock)
Ma quale Jair Bolsonaro killer della foresta: il leader socialista, che si era presentato come paladino del green, continua a sfruttarla. E in agosto nuovo record di incendi (causati dagli indios): 110.000 km quadrati in fumo.In Francia il presidente della categoria agricoltori incalza il premier incaricato: «Troppe promesse sospese, bisogna realizzarle». e e un sondaggio rivela: l’84% dei francesi vuole maggior sicurezza.Lo speciale contiene due articoli C’è puzza di bruciato in Amazzonia. Non solo perché in agosto sono andati in fumo 110.000 chilometri quadrati di foresta (più dell’Islanda, qualcosa meno di Cuba), ma perché a dare fuoco al polmone del pianeta non è stato Jair Bolsonaro, indiziato preferito del progressismo planetario per la distruzione del pianeta. Se vale la stessa proprietà transitiva, a intestarsi l’incendio perfetto è Iñacio Lula da Silva, caro all’internazionale socialista, da un anno e mezzo inquilino del palacio da Alvorada a Brasilia. Era entrato da pompiere ma ottiene risultati da piromane.A confermare il disastro è l’Istituto nazionale per la ricerca spaziale (Inpe) che ieri ha reso ufficiale il peggior risultato del mese dal 2003, quando sono iniziate le misurazioni. «Fino ad allora solo agosto 2007 e agosto 2010 avevano registrato risultati peggiori di quest’anno», riferisce il report ufficiale, che per carità di patria tralascia di precisare che anche le altre due volte il recordman politico degli exploit era il medesimo Lula. Allargando la statistica agli otto mesi dell’anno, si ottengono 224.000 chilometri quadrati di deforestazione, il 20% in aree naturali protette. Praticamente qualcosa meno della Romania.Sono dati che mandano al bar il conformista collettivo, quindi non avranno lo stesso appeal mediatico. Ma rilanciano un allarme concreto e un problema praticamente irrisolvibile, quello del controllo di un territorio immenso, spolpato negli ultimi cento anni in nome dell’agricoltura e dell’allevamento industriali. Sono settori primari per far crescere un Paese che, al di là del romanticismo da convegno, ha bisogno di pascoli per il bestiame e colture destinate alla mangimistica (come la soia) per il fabbisogno interno e per l’esportazione. «Aumentare il Pil, costi quel che costi», è l’imperativo a Brasilia. Un impegno che rappresenta l’anticamera degli incendi e che, al di là della demagogia, è sull’agenda di tutti i governi brasiliani degli ultimi 20 anni, da Fernando Cardoso a Dilma Rousseff, da Michel Temer a Bolsonaro, fino al doppio Lula.L’incontestabilità dei numeri sta mettendo in difficoltà il presidente in carica che ieri ha annunciato di voler destinare l’esercito a controllare gli snodi amazzonici, decisione destinata ad essere accolta con critiche feroci dagli indios. «Sono molto orgoglioso dei soldati brasiliani, la maggior parte sono volontari. Ho parlato con il mio comandante dell’esercito, il generale Tomás Ribeiro Paiva, e gli ho detto che dovremmo approfittare di questi 70.000 giovani che presteranno servizio nell’esercito affinché siano preparati ad affrontare i disastri climatici». Poi, per la disperazione degli ecologisti, ha confermato che completerà l’autostrada nel cuore dell’Amazzonia, 900 km da Manaus a Porto Velho (dallo Stato di Amazonas a quello di Rondônia), quella che veniva considerata una «ferita mortale» durante l’era Bolsonaro ed ora verrà digerita in silenzio.Infine, il verde Lula ha respinto come un sovranista l’indignazione occidentale di chiffon contro il disboscamento: «Il mondo che compra i nostri prodotti alimentari vuole che preserviamo l’Amazzonia. Perché? Perché vogliono che ci prendiamo cura noi dell’aria che respirano. Per il Brasile l’Amazzonia non è un rifugio per l’umanità; svilupperemo economicamente la regione in modo sostenibile». Una risposta realistica per mettere a tacere chi si illudeva che il cambio di governo coincidesse con il ritorno del Paese a uno status da favola letteraria postcoloniale, buona per i docufilm sugli indios del Río Negro (solo il 6% dei loro territori è stato toccato dagli incendi) e i fumetti di Zerocalcare.Pur nella necessità di preservare il polmone verde della Terra, le priorità del Brasile restano quelle economiche. Alle responsabilità della deforestazione non sono per nulla estranei gli indigeni di ultima generazione, che ritengono di avere diritto di far crescere le loro terre, di affacciarsi alla modernità, di partecipare alla creazione di un’economia fatta di coltivazioni e pastorizia, quindi disboscano il giusto per valorizzare, dal loro punto di vista, la globalizzazione.Nel contesto della crescita - questa volta digitale -, si inserisce la decisione di Amazon di investire 1,8 miliardi di dollari nel Paese per espandere l’infrastruttura di data center nello stato di San Paolo «e soddisfare la domanda di servizi cloud e di intelligenza artificiale generativa». Considerato l’impatto dei lavori, neppure questa sembra una mossa da Green deal.Ultima tegola. Secondo una ricerca di MapBiomas (la piattaforma che monitora la deforestazione), negli ultimi 40 anni il Brasile ha perso l’11% della sua area forestale. E il 61% del dato globale è avvenuto durante i governi Lula. In questo arco di tempo 800.000 km quadrati di foresta amazzonica sono scomparsi per essere seminati con l’erba della savana africana, utile a nutrire bovini, o per essere occupati da filari per la coltivazione della soia, di cui il Brasile è il maggiore esportatore del mondo davanti agli Stati Uniti.Adesso arrivano il record degli incendi e l’autostrada maledetta. «Bolsonaro, l’ultimo dei boia», titolavano giornali e siti italiani due anni fa. Se l’accusa vale ancora, da oggi è il penultimo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/amazzonia-roghi-disboscamenti-autostrada-lula-2669198737.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-agricoltori-avvisano-barnier" data-post-id="2669198737" data-published-at="1726208976" data-use-pagination="False"> Gli agricoltori «avvisano» Barnier La formazione del nuovo governo francese avanza lentamente. Secondo vari media transapini, il futuro esecutivo sarà presentato non prima della metà della prossima settimana. Nel frattempo il premier incaricato, Michel Barnier, ha fornito qualche indizio sulla composizione della sua squadra. Sarà un governo «equilibrato e plurale» dove «ognuno sarà al proprio posto», ha dichiarato ieri il primo ministro che ne ha approfittato per ricordare la sua «intenzione di controllare» con «umanità» l’immigrazione. Ma oltre al tema dei migranti, ieri ne è stato richiamato un altro che, lo scorso inverno, aveva animato l’attualità francese: l’agricoltura. Arnaud Rousseau, Il presidente della federazione nazionale delle imprese agricole (Fnsea), ha detto in un’intervista che il precedente governo di Gabriel Attal ha lasciato in sospeso molte promesse non mantenute. Per questo se, da un lato, il capo della Fnsea riconosce che Barnier ha almeno «due qualità», cioè quella di essere stato ministro dell’Agricoltura» e la sua ottima conoscenza «degli arcani europei che sono un tema centrale per l’agricoltura», dall’altro «quel che conta» per gli agricoltori è «ciò che farà nei mesi a venire» il premier. In questa fase di attesa, anche ieri si sono succedute le dichiarazioni di vari rappresentanti politici. Alla festa del partito centrista MoDem, alleato dei macronisti, il ministro dell’agricoltura uscente, Marc Fesneau, ha lanciato un appello per «aiutare» Barnier perché «una sconfitta del primo ministro sarebbe una sconfitta per tutti». A destra, invece, il Rassemblement national (Rn) ha ribadito l’intenzione di fare molta attenzione a ciò che conterrà la prossima finanziaria. «In generale non abbiamo preclusioni» ha dichiarato il deputato Rn, Jean-Philippe Tanguy, che nella precedente legislatura era il responsabile delle tematiche pensionistiche. Tuttavia la prossima finanziaria dovrà rappresentare «una rottura rispetto alle due derive degli ultimi cinquant’anni». Per l’onorevole del partito di Marine Le Pen tali rotture consistono nel «risanamento delle finanze pubbliche» e nella «riduzione della pressione fiscale che grava sulle classi medie e popolari». Il suo collega di partito, Sébastien Chenu, si è invece spinto a dichiarare che Barnier sarà messo «sotto sorveglianza» dagli eletti del Rn. Sempre in tema di finanziaria, il leader comunista Fabien Roussel ha escluso una censura preventiva del governo. In attesa di conoscere i nomi dei futuri ministri del governo Barnier, un sondaggio di Csa, realizzato per Cnews, Europe 1 e Jdd, ha rivelato che l’84% dei francesi considera il tema della sicurezza come una priorità che dovrà affrontare il futuro esecutivo. E mentre a palazzo Matignon, sede del governoi francese, fremono i lavori di consultazione e mediazione che dovrebbero condurre alla nascita del futuro esecutivo, all’Eliseo c’è una strana calma che non viene vissuta molto bene. A giudicare dalle uscite di questi giorni, si direbbe che il presidente Emmanuel Macron non apprezzi questo riposo forzato impostogli dalle regole istituzionali francesi in caso di coabitazione con un governo di un colore politico diverso da quello del capo dello Stato. Così Macron appare nelle inaugurazioni o altre occasioni ufficiali. Ieri Le Figaro ha anche rivelato che il capo dello Stato transalpino è stato invitato a partecipare a una specie di rimpatriata tra i diplomati dell’Ena (Ecole nationale d’administration) del 2004 come lui. Non si sa se Macron andrà all’evento che, in ogni caso, si terrà in un luogo segreto in modo da garantire la sicurezza del presidente.
Jose Mourinho (Getty Images)