
Nelle nostre scuole la violenza contro gli insegnanti è quotidiana. Un degrado che dobbiamo al monopolio culturale della sinistra. La professoressa sta entrando in classe. Qualcuno spegne la luce. Un tramestio nel buio, qualcuno si alza, un rumore più forte, una sedia lanciata da dietro la colpisce alla spalla. Il dolore è fortissimo. Lei è fragile, terrorizzata (ha - già di suo - problemi motori). Viene presa a calci e legata alla sedia. Gli studenti girano un video che finirà online, poi rapidamente ritirato. È il 27 ottobre, in un istituto superiore di Alessandria. Due giorni dopo lo stesso film (inizio della lezione, uno studente che spegne la luce, il lancio delle sedie, la ferita) viene ripetuto non più in Piemonte, ma a Vimercate, nella ricca Brianza. Questa volta l'insegnante ha 55 anni, non ha disabilità e gli studenti non provano neppure a legarla. Se la cava con dolore, spavento, lesioni.Forse, mentre scrivo, è l'ultima aggressione agli insegnanti da parte degli studenti. Ma forse no, perché sono continue, molte neppure segnalate, e continuano poi con i genitori, che spesso protestano sostenendo che le vittime sono i ragazzi. Quelli di Alessandria hanno ricevuto un mese di sospensione, con obbligo di frequenza. E sono stati richiesti di fare (a turni di tre) la pulizia dei cestini delle altre aule durante gli intervalli. I genitori hanno protestato con forza sui giornali perché i loro figli: «Si sono visti descrivere come delinquenti, sono stati demonizzati». Già questo episodio fa capire in quale situazione fioriscano queste violenze: prevaricazione e mancanza di controllo degli studenti, complicità o incoscienza dei genitori, debolezza della scuola. Per questo è stata lanciata dal gruppo Facebook Professioneinsegnante (animato dai docenti Salvo Amato, Libero Tassella e Cinzia D'Eramo) una petizione diretta al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e al ministro della Pubblica istruzione, Marco Bussetti, per chiedere una legge contro la violenza nei confronti dei docenti. La petizione, che ha raggiunto le 100.000 firme, è pubblicata in: Change.org/p/sergio-mattarella-vogliamo-una-legge-contro-la-violenza-sugli-insegnanti.Non so se una legge serva, soprattutto se basti. Certo, ciò che succede a scuola tra studenti e professori è uno dei segni più significativi del malessere del Paese. Prima di questi ultimi casi, c'era stata la maestra dell'istituto Ignazio Fiorio di Palermo che, per aver protestato per assenze di un allievo, si è presa un pugno in piena faccia dal padre dello studente; il professore di Treviso e il vicepreside di Foggia picchiati da altri genitori; o il professore picchiato a Siracusa, quello di educazione fisica picchiato da genitori ad Avola, la professoressa d'italiano accoltellata in classe nel Casertano, e altri...La petizione ricorda alle istituzioni che: «A partire dall'autonomia scolastica fino all'ultima riforma, la legge 107, la figura dell'insegnante ha perso via via autorevolezza e prestigio, calpestata da logiche di potere che ne minano la serietà e il valore istituzionale». E chiede dunque: «una legge, una norma che istituisca e soprattutto rafforzi la figura dell'insegnante quale pubblico ufficiale, che inasprisca le pene dove ci sono episodi di violenza conclamati, che tuteli la libertà di insegnamento e restituisca agli insegnanti un ruolo di primo piano». Ottimi propositi, da tradurre al più presto in realtà. Ma come?Gli insegnanti, infatti, sono così innocenti nei confronti della situazione? Queste violenze nascono solo nelle teste turbate di chi le fa, o sono legate a un contesto prodotto anche dagli insegnanti e dai loro rappresentanti e dirigenti? Chi lavora con la psiche umana sa che ben raramente l'aggressività è un fatto individuale. La persona esprime sempre anche il terreno in cui cresce e si trova. Il fatto è che l'indebolimento dell'identità del Paese, la strisciante proposta di sottomissione, la trasformazione della gioventù in masse svogliate e incontrollabili e dei loro genitori in narcisisti prepotenti e aggressivi è purtroppo anche opera della scuola italiana e del suo personale.Ciò che vediamo è il risultato, sul piano della formazione umana, di 50 anni di monopolio della sinistra nella gestione della scuola e della cultura. Con il breve intervallo del ministero di Letizia Moratti, che provò a ridare dignità e spazio alle scuole di arti e mestieri, eccellenza italiana e ovvia opportunità culturale e economica: i sindacati scatenarono l'inferno. Con i bambini costretti a scioperare con i cartelli d'insulti al ministro appesi al collo. Un anticipo di massa, nelle strade, di ciò che succede adesso nelle scuole: violenza, in cui gli insegnanti, allora, facevano da manovalanza a una classe politica altrettanto violenta e determinata a impedire che il Paese ritrovasse la sua dignità e vocazione, per continuarne la riduzione a mercato di basso consumo delle potenze industriali.Le incredibili baggianate raccontate nel testi adottati nelle scuole, segnalati dai lettori e presentati in questi giorni sulla Verità da Francesco Borgonovo, sono state gli strumenti formativi che hanno forgiato sia i genitori villani, che trattano la scuola come una loro proprietà privata, che i loro figli violenti. Comportamento condiviso del resto dall'Associazione italiana editori quando minaccia La Verità, colpevole di rivelare la pericolosa ignoranza e partigianeria dei testi. Raccontare ai ragazzi che Alessandro Manzoni oggi si batterebbe per l'immigrazione clandestina è un'operazione culturalmente disonesta e, poiché compiuta a danno di adolescenti in formazione, profondamente violenta. Non raccontiamoci storie. La violenza nelle scuole è figlia delle politiche rozzamente giacobine e settarie della sinistra, che ha governato la cultura nell'ultimo cinquantennio.Non solo in Italia. Anche in Francia in queste settimane infatti la scuola è scossa dalla ultime, particolarmente impressionanti, violenze di classe. Qui l'immagine più recente, come sempre postata su Internet dal ragazzo stesso ansioso di diffonderla, vede ancora una professoressa legata alla sedia e un ragazzo che la minaccia impugnando una pistola (per fortuna giocattolo, ma lei non lo sapeva). Le testimonianze arrivano da tutta la Francia, una peggio dell'altra.Quella che si sente dare della puttana per un brutto voto. Quell'altra che viene spinta a forza giù dalle scale. Il prof che arrivando a scuola si trova un piccione morto sul tavolo. Quello che deve smettere per sei mesi, perché non ce la fa più. La responsabilità dei dirigenti scolastici nell'aver consentito lo sviluppo di una situazione del genere è anche lì elevata.In Francia il gruppo che raccoglie le testimonianze ha preso la sigla: #PasDeVague («Non smuovere le acque») perché sembra essere stata questa la risposta più diffusa da parte dei dirigenti agli insegnanti che chiedevano aiuto perché non ne potevano più delle violenze e umiliazioni. L'invito a non smuovere le acque era accompagnato da ragionamenti sui danni per l'istituto se queste voci si fossero diffuse, e per l'insegnante stesso. «Molti provveditori non vogliono che le loro immagine venga sporcata e soffocano le inchieste sul nascere», ha dichiarato uno di loro. E Jean Michel Blanquer, ministro dell'Educazione nazionale, ha riconosciuto che molto è stato «messo sotto i tappeti».«Come poteva finire diversamente dopo i decenni di insegnamenti lassisti che gli avete propinato?» commentano i lettori sui blog di #PasDeVague. «Non state a piagnucolare ma prendetevi la responsabilità di cosa avete combinato». È vero però che non sono gli insegnanti i diretti responsabili; ma anch'essi vittime di mezzo secolo di malafede e distruzione dell'identità, cultura e storia nazionale (che in Italia scomparirà ora anche dal tema di maturità). Occorre rimediare al più presto.
Alessia Pifferi (Ansa)
Cancellata l’aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche ad Alessia Pifferi: condanna ridotta a soli 24 anni.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.
Toga (iStock). Nel riquadro, Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.






