2020-11-15
Altro schiaffo dall’Ue sugli sbarchi. Perfino per le Ong il piano è una beffa
Nessun blocco navale e obbligo per l'Italia di costruire centri detentivi ad hoc in cambio di mancette dagli altri Paesi, liberi di lavarsene le mani: l'intesa è una trappola, e a denunciarlo sono anche le sigle umanitarie.Quando, alla fine di settembre, Luciana Lamorgese si trovò a commentare il nuovo patto europeo su asilo e migrazione, usò toni parecchio cauti. Non annunciò grandi rivoluzioni, forse memore del disastroso esito del (presunto) accordo di Malta, da lei salutato come una manna dal cielo e rivelatosi poi la solita aria fritta. La responsabile del Viminale, dicevamo, espresse moderata soddisfazione. «Da una primissima analisi dei testi», disse, «sembra di cogliere elementi di discontinuità rispetto alle proposte degli scorsi anni, anche se non ancora quel netto superamento del sistema di Dublino da noi auspicato». La Lamorgese volle, in ogni caso, mostrarsi ottimista: «Disponiamo adesso di una base di lavoro che ha molti aspetti interessanti e che rappresenta un importante punto di partenza per il negoziato che partirà a breve», concluse. Probabilmente, lei stessa intuiva che l'Ue stava per rifilarci una fregatura con i fiocchi. Ursula von Der Leyen, presidente della Comissione europea, era stata decisamente più prodiga d'entusiasmo. «Proponiamo», dichiarò, «una soluzione europea per ricostruire la fiducia tra gli Stati membri e ripristinare la fiducia dei cittadini nella nostra capacità di gestire la migrazione come Unione, con il giusto equilibrio tra solidarietà e responsabilità». Leggendo le prime indiscrezioni, tuttavia, si era subito capito che i nodi critici per il nostro Paese non venivano affatto risolti. Restava, ad esempio, il deleterio concetto di «primo Paese di approdo», quello che ora ci obbliga a farci carico di chiunque entri. Non si parlava affatto di contrasto agli sbarchi, e restava ancora piuttosto fumosa l'idea di accoglienza condivisa. Purtroppo, a quasi due mesi di distanza e dopo un attento esame del testo, abbiamo la conferma che il piano europeo è a tutti gli effetti un trappolone teso all'Italia. E il bello è che a sostenerlo, oggi, non sono i proverbiali sovranisti nemici dell'immigrazione di massa, tutt'altro. A criticare pesantemente il piano sono... le Ong. O, meglio, una serie di associazioni che si occupano di diritti umani, tra cui Amnesty International, Human Rights Watch e Arci, unite con altre organizzazioni sorelle in una sorta di consorzio chiamato EuroMed Rights. Due giorni fa, EuroMed ha diffuso un report dal titolo piuttosto eloquente: «Nuovo patto, pessimo impatto. Perché il nuovo Patto europeo sulla migrazione penalizza sia l'Italia che i richiedenti asilo». Una volta tanto, non si tratta di valutazioni strettamente politiche, bensì di analisi dei dati. Le associazioni hanno ragionato su due scenari diversi. Il primo mostra che cosa succederebbe oggi (con circa 30.000 stranieri arrivati via mare) se le regole Ue fossero in vigore. Il secondo invece spiega cosa accadrebbe se ci trovassimo davanti a un'emergenza devastante come quella del 2016 (hanno in cui l'Ue ci lasciò soli ad affrontare l'arrivo di centinaia di migliaia di persone). Entrambi gli scenari, manco a dirlo, sono decisamente negativi per noi. Tanto per cominciare, «l'attuazione del Patto», scrivono le Ong, «richiederebbe di moltiplicare la capienza dei luoghi di detenzione di 7 volte e mezza in periodi normali, e addirittura di 50 volte in anni di crisi come il 2016». Ciò accadrebbe perché gli stranieri che arrivano in Italia provengono in gran parte da Stati che non sono in guerra o colpiti da carestie e hanno circa l'80% di possibilità che la loro domanda d'asilo sia respinta. Le nuove regole Ue prevedono che chi si trova in una situazione simile venga di fatto detenuto in un centro nell'attesa che l'apposita commissione decida sul suo status di profugo. Il punto è che per fare una cosa del genere servono strutture enormi (e costose) di cui l'Italia oggi non dispone. Non solo. Per l'esame della domanda di questi stranieri (la maggioranza) l'Ue pone un limite di tempo: 12 settimane. Il report di EuroMed, non a torto, ritiene che sia «irrealistico», visto che «attualmente la durata media della procedura è di due anni». Poi c'è l'ultima questione, riguardante la «solidarietà», cioè il coinvolgimento degli altri Stati Ue nell'accoglienza. Tale «solidarietà», dice la Commissione europea, sarà «obbligatoria ma flessibile». In sostanza le altre nazioni potranno scegliere se prendere una parte dei nostri migranti oppure darci una mano a rimpatriarli o offrirci un contributo economico per farli restare qui. Il risultato di tutto ciò è già scritto: «Giacché il principio del Paese di primo ingresso è stato mantenuto», notano le Ong, «l'Italia dovrà prendersi carico della maggior parte dei richiedenti asilo che arriveranno nel suo territorio. [...] L'Italia dovrà essere consapevole del fatto che gli Stati membri non avranno alcun incentivo a prediligere il ricollocamento rispetto alla sponsorizzazione dei rimpatri o altre forme di “solidarietà", come il supporto attraverso un contributo economico. In effetti, perché mai gli Stati membri dovrebbero scegliere adesso il ricollocamento come forma di solidarietà quando alcuni di loro non l'hanno fatto nemmeno nel 2016, quando era obbligatorio?». Riassumiamo. Il piano Ue non prevede né blocchi navali né ulteriori controlli alle frontiere. Noi, dunque, dovremmo prendere tutti gli stranieri in arrivo, stiparli in centri ad hoc (che andranno costruiti), lavorare affinché l'esame delle domande di asilo non duri troppo a lungo, e sperare che qualche altro Paese ci dia una mano ospitando un po' di gente. Se non ci saranno alleati volonterosi, riceveremo un contentino economico e ci terremo gli stranieri. In pratica, diventeremo un campo profughi a cielo aperto. Vero, magari avremmo qualche soldino in più, ma non potremmo nemmeno sognarci di chiudere le frontiere. Non resta che prepararsi al nuovo successo giallorosso...
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