2019-12-10
Altri 4 miliardi di tasse sulla benzina. Ma il Milleproroghe regala mancette
L'ipotesi è inserire le norme in legge di bilancio blindando il testo. Caccia alle coperture: in arrivo nuove accise sui carburanti con il trucco di farle partire dal 2021. Slitta la riforma delle intercettazioni. All'insaputa del Pd.Scambio di lettere fra i presidenti di Camera e Senato: «Preoccupati per i tempi stretti: impediscono al Parlamento di interpretare la centralità riconosciuta dalla Carta».Lo speciale contiene due articoli.La Lega ha pronto il ricorso alla Consulta contro l'iter irrituale della manovra. Più o meno quanto aveva fatto lo scorso anno il Pd. Con una differenza non da poco. Nel 2018 l'interpello ha dato esito negativo, perché i giudici hanno assolto i gialloblù e puntato il dito sull'Ue. A creare ritardo sono state le trattative con Bruxelles e le conseguenti modifiche al testo della manovra. Ecco, quest'anno Bruxelles non è intervenuta e dunque il ricorso rischia di avere un esito ben diverso. I giudici potrebbero riconoscere le colpe politiche dei giallorossi. Si sono infilati da soli in un cul de sac da cui non sanno uscire. Tant'è che hanno deciso di mandare avanti il testo con due sole letture. Una situazione che ha solo tre precedenti. Il primo nel 2010.A causa della crisi scoppiata nella maggioranza di Silvio Berlusconi per lo strappo di Gianfranco Fini, che a dicembre presentò una mozione di sfiducia contro l'esecutivo, si decise di accelerare l'esame della manovra per evitare l'esercizio provvisorio. La seconda volta nel 2011 e il ritardo fu dovuto all'insediamento del governo Monti. Il terzo precedente fu del 2016 anche in questo caso di fronte a un governo in crisi. Nessuna delle tre situazioni ha portato bene. Se aggiungiamo che il primo governo a mettere la fiducia sulla legge di bilancio è stato il Prodi nel 1996 (che due anni dopo è caduto per via di Rifondazione comunista), possiamo dire che il combinato disposto della fiducia e dell'iter iper accelerato dimostra quanto siano cariche di pioggia le nubi che si aggirano sulla testa di Giuseppe Conte. E sulla testa dei parlamentari di maggioranza che stanno sprofondando travolti dai loro stessi emendamenti. Il testo della manovra è ancora incompleto e non sarà pronto per l'iter di voto prima di stamattina. A ingolfare ulteriormente il Parlamento c'è il decreto Milleproroghe. Il testo con cui ogni anno gli esecutivi definiscono termine di spesa da slittare o disposizioni da rimandare è di solito inzeppato di marchette, favori a singoli enti o specifiche categorie. Di solito viaggia per conto proprio. Invece i giallorossi vorrebbero impacchettarlo in un solo grande emendamento e infilarlo a sua volta nella legge di bilancio. Se sommiamo tale opzione alla scelte di limitare la discussione in Aula, ne esce una bomba che rischia di travolgere lo stesso governo. Blindare pure il Milleproroghe dentro una manovra da votare alla cieca, vuol dire sancire una volta per tutte la volontà di lasciare in panchina senatori e deputati. Vuol anche dire però emettere gli ultimi rantoli politici. Domani ne vedremo delle belle in occasione della discussione sul Mes. Il senatore del Maie, Ricardo Merlo, oggi sarà all'insediamento del governo di Buenos Aires e rischia domani di non essere presente al voto. La maggioranza a Palazzo Madama non naviga nell'abbondanza e se il governo andasse sotto, salterebbe il banco. Anche per questo Conte teme di non essere in sella a gennaio e non può permettersi di andarsene senza aver varato il Milleproroghe. D'altro canto se la discussione prosegue in parallelo, il testo che potrebbe finire non licenziato è quello della manovra. Il che tradotto in parole povere significa esercizio provvisorio. Esattamente ciò che i giallorossi fingevano di dover scongiurare a tutti i costi. Motivo per cui sembra probabile il mega accrocchio. Si va così dallo slittamento al 31 dicembre 2020 del termine per l'applicazione delle disposizioni in materia di rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno per gli stranieri, fino al rinvio al 31 dicembre 2020 delle norme di contenimento delle spese per l'acquisto di beni e servizi per Matera capitale europea della cultura. Modificato anche il termine per le assunzioni di personale a tempo indeterminato nell'ambito delle amministrazioni dello Stato, compresi i corpi di polizia e dei vigili del fuoco. Prolungato da 12 a 24 mesi il periodo per il quale è possibile usufruire dell'indennità pari al trattamento massimo di integrazione salariale, in favore dei lavoratori privati colpiti dal crollo del ponte Morandi e dei dipendenti delle aziende che operano nella aree della città di Genova che hanno subito un impatto economico negativo e per i quali non trovano applicazione le norme in materia di ammortizzatori sociali.Soprattutto slittano le norme sulla class action e - fatto politicamente grave - le norme per l'applicazione della riforma sulle intercettazioni. Una mossa quest'ultima voluta da dai 5 stelle senza l'ok del Pd. E all'ex ministro Andrea Orlando, padre del testo, non andrà certamente giù. Poco importa che dentro al decreto ci siano varie marchette. La più stonata è quella che prevede di donare 400.000 euro per i festeggiamenti dei 100 anni del Partito comunista italiano. Ne seguono altre di piccola entità così come minuscoli rifinanziamenti per Cigs e fondi contro gli infortuni. Arrivano soldi per alcune partecipate di Stato e maggiore gettito dalla tassa sulla fortuna, che parzialmente andrà a compensare il minor incasso dovuto allo slittamento della plastic tax e della sugar tax. Unica nota positiva: restano le limitazioni di reddito per le detrazioni al 19% ma per fortuna salta la stretta sulle spese sanitarie, che saranno rimborsabili indipendentemente da quanto si guadagna. Purtroppo è solo una briciola perché come sempre in cauda venenum. Come ha denunciato l'ex ministro Massimo Garavaglia, un sub emendamento inserisce un aumento impressionante delle accise sulla benzina e calcola di incassare in soli tre anni 3,8 miliardi di euro di gettito. Il solito gioco delle tre carte prometto tagli nel 2020 e poi dopo faccio arrivare il conto sulla schiena degli italiani.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/altri-4-miliardi-di-tasse-sulla-benzina-ma-il-milleproroghe-regala-mancette-2641556769.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fico-e-la-casellati-lanciano-lallarme" data-post-id="2641556769" data-published-at="1763784741" data-use-pagination="False"> Fico e la Casellati lanciano l’allarme Ansa C'era una volta il Parlamento sovrano… Potrebbe iniziare così la storia della legge di bilancio targata giallorossi, anche se non sappiamo ancora se quella che andrà in scena da qui a fine anno, termine ultimo per l'approvazione del provvedimento, sarà o meno una favola a lieto fine. «C'è il rischio concreto che si finisca per dover fare ricorso all'esercizio provvisorio», spiega preoccupato alla Verità Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega al Senato, «ci hanno detto che questo pomeriggio (ieri per chi legge, ndr) alle 15 dovevano essere consegnati in commissione Bilancio gli ultimi emendamenti, e invece a fine serata siamo ancora in attesa». C'è la mano tesa dell'opposizione per sveltire quanto più possibile i tempi, ma ormai si tratta quasi di una questione di matematica. L'idea è quella di fissare l'inizio dei lavori in Senato nella giornata di giovedì 12 e andare al voto già il giorno successivo. «Anche lavorando giorno e notte è quasi impossibile pensare di votare e discutere migliaia di emendamenti», ammette Romeo, «La manovra è arrivata in Senato il 2 novembre, con ben 13 giorni di ritardo, la verità è che non sono riusciti a trovare un accordo tra di loro, questo succede quando unisci due forze così diverse tra loro». Nel frattempo, proprio ieri, il gruppo della Lega al Senato ha indirizzato una lettera al presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati affinché valuti l'ammissibilità degli emendamenti presentati. La normativa infatti prevede che la legge di bilancio non possa contenere «norme di delega, di carattere ordinamentale o organizzatorio, né interventi di natura localistica o microsettoriale». Ma non è solo l'opposizione a denunciare i rischi connessi a tempi di discussione tanto stretti. Nella giornata di ieri, meglio tardi che mai, sul tema sono intervenuti i numeri uno di entrambi i rami del Parlamento. Il presidente della Camera, Roberto Fico (M5s), anziché prendersela con la maggioranza di cui fa parte ha pensato bene di scrivere una lettera alla sua collega Casellati per manifestare la sua «preoccupazione» sui tempi di esame della manovra. Parlando con i giornalisti nel pomeriggio, Fico ha poi commentato: «Il governo deve capire che va mandata alle Camere nei tempi previsti. Se andiamo troppo oltre il tempo diventa pochissimo e ci troviamo in questa situazione, che non è tollerabile». Giudicato negativamente anche l'eccessivo ricorso alla fiducia. Se è vero che i presidenti non possono bloccarne l'utilizzo, il presidente della Camera ritiene che sull'argomento sia necessario un «cambio di passo». La Casellati rincara la dose e lancia un «appello al governo affinché la programmazione dei tempi di esame dei provvedimenti consenta al Parlamento di interpretare appieno quella centralità che gli riconosce la Costituzione». Secondo il presidente del Senato, «Fico ha ragione nell'esprimere preoccupazione sui tempi di esame della manovra di bilancio». L'anno scorso il Pd si era stracciato le vesti per i tempi stretti riservati alla discussione della legge di bilancio da parte del governo gialloblù. Peccato che la discussione alla Camera fosse iniziata già il 5 dicembre e la Corte costituzionale, a gennaio, avesse dichiarato inammissibile il ricorso dei dem. Raccomandando per il futuro tempi più distesi per la discussione, al fine di evitare il rischio di «non superare il vaglio di costituzionalità». Esattamente il contrario di ciò che sta accadendo oggi.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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