2020-11-21
Altre rivelazioni sugli affari cinesi di Biden jr
L’aggiornamento del Rapporto del Senato parla di bonifici per 6 milioni di dollari al socio del figlio di Joe. I nuovi documenti confermano i collegamenti tra la famiglia del neopresidente e il governo comunista. Citato anche un coinvolgimento della RussiaUna nuova tegola rischia di abbattersi su Hunter Biden. I presidenti delle commissioni Finanze e Sicurezza interna del Senato, i repubblicani Chuck Grassley e Ron Johnson, hanno pubblicato un aggiornamento del rapporto dello scorso settembre, dedicato ai controversi affari del figlio dell’attuale presidente eletto, Joe Biden. In particolare, il documento ha evidenziato che, tra febbraio e marzo del 2017, l’azienda cinese State energy Hk limited ha effettuato due bonifici dal valore totale di sei milioni di dollari a una società di Rob Walker: figura, che il rapporto definisce «un socio d’affari di lungo corso» di Biden jr. Si specifica tra l’altro che «non è chiaro quale sia il vero scopo dietro queste transazioni e chi sia il beneficiario finale». L’elemento maggiormente interessante del fascicolo riguarda le connessioni del figlio di Biden con il governo cinese. «Al tempo dei bonifici», si legge nel documento, «State energy Hk limited era affiliata a Cefc China energy, che era sotto la leadership di Ye Jianming. In passato, State energy Hk limited ha trasferito fondi ad almeno una società collegata con il socio di Hunter Biden, Gongwen Dong». «Come riportato nel rapporto delle commissioni del 23 settembre», prosegue il documento, «il business partner di Hunter Biden, Ye Jianming, aveva messo in piedi legami con il Partito comunista cinese e con l’esercito cinese, l’Esercito popolare di liberazione. Così fece anche Gongwen Dong, alla luce della sua relazione con Ye». Certo: è vero che, fino al 2018, Cfec risultasse formalmente una società privata. Tuttavia, come riferito dal rapporto senatoriale di settembre (a pagina 72), l’azienda aveva già ricevuto finanziamenti dalla China development bank e assunto vari funzionari del governo cinese. Ma non è tutto. Perché nell’aggiornamento si cita anche un coinvolgimento della Russia. Nel settembre 2017, Cfec aveva annunciato di voler acquisire una partecipazione del 14,2% nella società russa Rosneft. Una trattativa di cui lo stesso Hunter mostrò di essere direttamente a conoscenza, nel corso di uno scambio di messaggi avvenuto nell’ottobre 2017 con Bobulinski. «Io e lui [Ye] abbiamo discusso dell’accordo su Rosneft», scrisse Hunter in chat, aggiungendo di intrattenere con il businessman cinese una solida relazione. Tutto questo, senza dimenticare che i collegamenti tra Ye e lo stesso Hunter sarebbero iniziati almeno dal 2015: quando, cioè, suo padre era ancora vicepresidente in carica. Del resto, già il rapporto settembrino (a pagina 84) sosteneva: «[Hunter] Biden e [Devon] Archer hanno trovato partner disponibili in cittadini cinesi collegati al regime comunista. Il loro lavoro in Cina è iniziato almeno dal 2009, con la creazione di Rosemont Seneca Partners […] Poi, diversi anni dopo, Biden e Archer hanno formato Bhr con Bohai capital e hanno ricevuto l’approvazione della licenza commerciale in Cina poco dopo che Biden ha visitato la Cina con suo padre, il vicepresidente Biden». Il riferimento è al viaggio che, nel dicembre 2013, Joe Biden - all’epoca vicepresidente - effettuò a Pechino, portando con sé Hunter. È dal 2019 che questo viaggio è finito sotto i riflettori, con l’attuale presidente eletto che ha ripetutamente sostenuto di non aver mai avuto nulla a che fare con gli affari di suo figlio all’estero. Eppure la tempistica della visita cinese sembrerebbe suggerire il contrario. Tra l’altro, Hunter mise in agenda quasi 70 viaggi internazionali, godendo della protezione dello United States secret service: nella fattispecie, si parla di un totale di almeno sei viaggi in Cina tra il 2010 e il 2014. I dubbi aumentano se si tiene poi conto della faccenda ucraina. Ricordiamo che, nel 2016, Joe Biden fece silurare il procuratore ucraino che stava indagando per corruzione su Burisma: società energetica ai cui vertici sedeva Hunter. E ricordiamo anche che, secondo il New York Post, lo stesso Hunter nel 2015 avrebbe organizzato un incontro tra suo padre e un consulente proprio di Burisma. La conclusione dell’aggiornamento è quindi perentoria: «Questi nuovi documenti confermano i collegamenti tra la famiglia Biden e il governo comunista cinese, nonché i legami tra i soci in affari di Hunter Biden e il governo russo». È allora forse lecito porsi qualche domanda. È normale che il figlio di un vicepresidente americano in carica intrattenga affari con società connesse al governo del principale competitor degli Stati Uniti (la Cina)? È normale che l’attività di Biden come vicepresidente sia costellata di episodi di sospetto conflitto di interessi in varie aree del globo e sempre riguardanti suo figlio Hunter? Ma soprattutto: chi ci assicura che, una volta insediato alla Casa Bianca, Biden non riprenderà a tollerare simili opacità? Del resto, su commercio e Oms il presidente eletto ha già chiarito di voler ammorbidire i toni con Pechino. Sarà un caso?