2022-02-03
Almeno tre anomalie nel bis al Quirinale. Oggi Mattarella dica quando si dimetterà
Il presidente rieletto dovrebbe lasciare con l’insediamento del nuovo Parlamento. Costituzione e opportunità lo impongono.Sergio Mattarella, oggi nel pronunciare il suo discorso di re-insediamento, ha un obbligo: annunciare le sue prossime dimissioni. Deve far capire alla Nazione che il suo è un incarico a termine. È vero che la Costituzione non lo prevede, ma la Carta segnala – non dichiarandolo – come un’anomalia la rielezione del Capo dello Stato. A maggior ragione tenendo conto del precedente – che doveva essere un’assoluta eccezione – di Giorgio Napolitano del 2013. A dire che Sergio Mattarella insediandosi deve annunciare le sue dimissioni vi sono tre elementi cogenti. Il primo è che non c’è il contesto di gravità eccezionale tale da giustificare la trasformazione della Repubblica in monarchia di fatto. È scemata nei fatti l’emergenza epidemica. Su questo i costituzionalisti dovrebbero interrogarsi: il nostro ordinamento non prevede nessuna condizione emergenziale se non lo stato di guerra. La ragione c’è e sta tutta dentro l’impianto parlamentare della nostra Repubblica. Fin quando esiste un parlamento sovrano non c’è alcuna necessità di agire in uno stato di eccezione. E viene il sospetto che lo stato d’eccezione sia servito anche a favorire la rielezione di Mattarella. Per evitare di sottoporre a critica elettorale l’assetto che garantisce lo status quo in cui il Pd e le burocrazie ad esso connesse - dalle aziende di Stato alla magistratura – esercitano una conventio ad escludendum. Il secondo motivo sta tutto dentro la Costituzione. In sede di commissione ristretta fu approvato un emendamento che prevedeva la non rieleggibilità. Basta leggere gli atti della sede referente presieduta da Umberto Terracini che da sempre sono la fonte primaria dello studio del diritto costituzionale. Relatore fu Egidio Tosato (democristiano) che all’articolo 85 (quello che disciplina l’elezione del presidente) sostiene: «Questo punto è a lungo dibattuto: c’è chi vuole limitare il mandato a 5 o 4 anni, chi vuole la non rielezione nel caso dei sette anni». Tosato spiega che non si vuole esplicitamente porre limite alla rieleggibilità «soprattutto data la situazione politica attuale di penuria di uomini politici, dopo venti anni di carenza di vita politica». In verità vi era una preoccupazione della Dc di non riuscire a mantenere la guida della neonata Repubblica. Sull’articolo 85 vengono presentati diversi emendamenti. Di particolare interesse è quello di Edgardo Lami Starnuti (socialista) che propone la non rieleggibilità con questa argomentazione: «È eletto per sette anni e non è rieleggibile, ad impedire che si apra la via ad una politica a carattere personale del presidente». Si votano i diversi emendamenti e quello di Lami Starnuti è approvato. Non solo a Paolo Rossi (socialista), che richiede la possibilità di una rielezione, ma non consecutiva Umberto Terracini obietta: «Nella formula che è stata approvata, è implicito il criterio che non possa essere mai rieletto». L’aula farà poi cadere l’emendamento ma a distanza di 75 anni si è verificato ciò che Lami Starnuti temeva: l’instaurarsi di una politica del presidente. Il che ampiamente giustifica l’idea di Matteo Salvini di fondare un Partito repubblicano per opporsi alla monarchia di fatto che si è venuta costituendo con il Mattrella bis! Vi è una terza ragione che dovrebbe indurre il presidente della Repubblica a dire che si dimetterà indicano anche la data. L’ha illustrata un fine costituzionalista come Michele Ainis che aveva addotto per giustificare una possibile rielezione di Mattarella. Ainis fece notare settimane fa che questo Parlamento è sostanzialmente illegittimo perché va incontro alla riduzione dei parlamentari e sarebbe stata una sorta di prevaricazione eleggere un nuovo presidente con le vecchie compagini. Ebbene Sergio Mattarella ha l’opportunità di allinearsi a questa acuta osservazione costituzionale. Dovrebbe oggi dire: mi dimetterò appena sarà rieletto il nuovo Parlamento nella configurazione che esce dalla riforma istituzionale approvata nell’ottobre 2020. Se non lo farà risulterà evidente ciò che tutti sanno: Sergio Mattarella è stato rieletto come garante dello status quo. Il calcolo che il Pd - inteso non solo come formazione politica, ma come terminale delle alte burocrazie, come rappresentante delle classi dominanti – ha fatto è: se riusciamo a far passare la legge proporzionale avremo un parlamento balcanizzato e serve un presidente che ci garantisca il reincarico alla guida del governo esattamente come Mattarella ha fatto sia nel caso di Matteo Renzi, di Paolo Gentiloni, del Conte due e in ultimo con il governo di Mario Draghi. Serve qualcuno al Quirinale che non consenta il ricorso alle urne e garantisca la simbiosi tra Pd e Stato. Ebbene Sergio Mattarella se vuole allontanare da sé questo sospetto ha un’opportunità: dichiarare che a elezioni politiche tenute – che siano anticipate perché sul gabinetto Draghi si stanno addensando fitte nubi o siano a scadenza ordinaria – egli si dimetterà. E non vi è nessun impedimento costituzionale perché l’articolo 86 della Carta è chiarissimo: entro 15 giorni dalle dimissioni si convocano le Camere (che sarebbero le nuove Camere, dunque pienamente legittimate dal voto popolare) e si procede all’elezione del nuovo. Solo così l’Italia da monarchia di fatto può tornare ad essere una Repubblica.