2025-07-13
«Per allontanare un figlio serve anche il parere delle forze dell’ordine»
L’avvocato Jacopo Marzetti, specializzato in protezione di minori, molto critico su Bibbiano e sull’attuale sistema degli affidi: «Non basta la relazione dei servizi sociali». Avvocato Jacopo Marzetti, lei si è occupato molto del caso Bibbiano. Con quali incarichi?«Negli anni in cui è esploso il caso Bibbiano, ricoprivo tre ruoli fortemente connessi a quella vicenda: garante dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Lazio, commissario governativo del Forteto, membro della Squadra speciale di giustizia per la protezione dei minori presso il ministero della Giustizia. Tutti incarichi direttamente o indirettamente legati a ciò che stava emergendo sul sistema degli affidi in Italia. Sono stato anche audito dalla Commissione della Regione Emilia-Romagna istituita proprio per il caso Bibbiano, sia come garante che come commissario del Forteto».Abbiamo visto come si è concluso il processo in primo grado: 11 assoluzioni, tre condanne, un patteggiamento in precedenza. Molti giornali e politici dicono che sia crollato il castello delle accuse, che tutta la vicenda è stata una montatura politica. Ma davvero è così? O nel sistema Bibbiano c’era realmente qualcosa che non andava? «Assolutamente non andava e non va tutt’oggi. Come dissi allora e ribadisco oggi, le assoluzioni così come le condanne non cambiano nulla rispetto alla vera questione sollevata dal caso Bibbiano».Ovvero?«Ciò che non funzionava allora continua a non funzionare oggi, perché - al netto delle campagne politiche - la politica non ha mai affrontato realmente il cuore del problema. L’unico indirizzo legislativo che serviva (e serve tuttora) riguarda una domanda precisa e urgente: cosa accade quando una famiglia viene ritenuta disfunzionale nel proprio ruolo genitoriale? Qual è il limite che tribunali per i minorenni e tribunali ordinari devono considerare per arrivare all’allontanamento di un figlio dai propri genitori? E quale iter devono seguire per la garanzia della massima tutela?».Appunto: come ci si deve comportare con una famiglia disfunzionale?«Al di là del merito dei singoli casi, il problema è metodologico. Oggi le decisioni vengono prese da un giudice, o da un collegio di giudici, sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio (spesso redatta da uno psicologo o psichiatra) e delle relazioni dei servizi sociali, a cui oggi si è consolidato il ruolo del curatore speciale. A mio avviso, questo sistema è strutturalmente debole. Non offre garanzie sufficienti, né per il minore né per le famiglie coinvolte. Ed è proprio questo il nodo che la politica, fino ad oggi, ha evitato di affrontare».Secondo lei in Val d’Enza si agiva - magari non illegalmente - sotto la spinta di una ideologia? «In Val d’Enza come in altri territori, al di là delle assoluzioni o delle rilevanze penali, la politica ha sbagliato completamente l’approccio: ha puntato il dito contro sindaci, servizi sociali, singole figure professionali, senza mai entrare davvero nel merito della questione. Perché il punto non era (e non è) Bibbiano in sé. Il problema è un sistema nazionale che, allora come oggi, affida valutazioni delicatissime sull’idoneità genitoriale a psicologi, psichiatri e servizi sociali, i cui pareri diventano la base quasi esclusiva su cui i giudici decidono l’allontanamento di un minore. Questo meccanismo non è un’anomalia isolata, ma una modalità strutturata di pensiero e di azione, radicata in alcune aree più che in altre, ma presente ovunque. In certi contesti è diventata persino una forma ideologica, una visione culturale secondo cui il sistema può e deve intervenire in modo profondo nella vita familiare, anche solo sulla base di un giudizio di “inidoneità educativa”. Ecco perché continuo a sostenere che il vero tema ignorato dalla politica è la riforma del metodo: chi decide l’allontanamento, con quali criteri, quali garanzie, quali limiti. Senza affrontare questi nodi, ogni polemica su Bibbiano resta solo propaganda».Lei parla giustamente del metodo. In Val d’Enza il metodo consisteva nel togliere i figli alle famiglie, talvolta sulla base di accuse poi rivelatesi false. «L’ho detto: è un sistema di pensiero, quindi ideologia. Quelle modalità operative sono tuttora discutibili perché davanti a delle alternative ci si basa invece su un sistema di allontanamento senza cercare di recuperare le famiglie. È per questo che è importante riflettere su che cosa bisogna fare davanti ad una famiglia disfunzionale: per il sistema Bibbiano i figli si allontanano subito, secondo il mio pensiero invece bisognerebbe farlo con maggiori certezze e soprattutto come estrema risorsa, tentando prima di recuperare le famiglie salvo casi di abuso o violenza. E comunque gli accertamenti non possono essere lasciati ai servizi sociali o Ctu».Tutto questo clamore su Bibbiano ha portato a qualche cambiamento nel sistema di gestione dei minori? «Dopo il caso Bibbiano si è accesa una forte attenzione pubblica e istituzionale sul tema dell’infanzia, in particolare sulle procedure di allontanamento dei minori dalle famiglie. Anche grazie al lavoro della squadra speciale sul sistema degli affidi, di cui ho fatto parte, si è aperta una fase importante di osservazione e di impegno. Purtroppo, però, a quella prima reazione non è seguita una vera e propria riforma. Una riforma che, a mio avviso, dovrebbe partire da un’analisi approfondita delle criticità emerse, a cominciare dall’intero iter che porta alla decisione di allontanare un minore dalla propria famiglia. Ma non solo. Serve anche un intervento strutturale sui servizi sociali, che oggi ricoprono un ruolo cruciale ma spesso non sono messi nelle condizioni di agire con la competenza specialistica che il tema richiede».Perché non possono agire come dovrebbero?«In molte realtà, soprattutto le più piccole, gli assistenti sociali si trovano a gestire casi estremamente eterogenei, dai bambini agli anziani, dalle dipendenze alle problematiche psichiatriche. Quando si parla di minori, però, servono figure formate esclusivamente su quel tema, con competenze specifiche e dedicate e risorse adeguate. Infine, se mi permette, c’è un altro nodo critico che va affrontato».Quale?«Nei tribunali, il ricorso ai servizi sociali è diventato sistematico, anche in casi in cui non sarebbe necessario. Questo sovraccarica gli uffici e rischia di compromettere l’efficacia dell’intervento. Non può passare il principio secondo cui, ogni volta che c’è un problema legato alla genitorialità, debbano automaticamente intervenire i servizi sociali».Torniamo a Bibbiano. Se, come sbandierano certi giornali, ci sono state tutte queste assoluzioni e non c’erano problemi, come mai i bambini tolti alle famiglie sono tornati a casa?«Guardi, il fatto che una condotta o una scelta non abbia rilevanza penale non significa automaticamente che essa sia corretta o opportuna. Come già evidenziato, di fronte a un problema legato alla responsabilità genitoriale esistono diversi possibili percorsi: si può tentare un recupero della funzione familiare, laddove sia possibile e in assenza di situazioni di abuso o violenza; si può prevedere un affiancamento da parte dei servizi sociali; oppure, nei casi più gravi, si può arrivare all’allontanamento del minore. Nel caso specifico oggetto di attenzione, pur non conoscendo nel dettaglio gli atti del procedimento, è probabile che siano state considerate più appropriate misure alternative all’allontanamento, in linea con gli scenari che ho descritto alternative alle scelte che erano state prese».Quale lezione dovremmo apprendere da questa brutta vicenda?«L’allontanamento di un minore dalla propria famiglia è una decisione estremamente delicata, che può avere conseguenze significative sul suo futuro. Proprio per questo, richiede la massima attenzione e cautela, e non può essere affidata unicamente al giudizio di un magistrato - o di un collegio - sulla base di consulenze tecniche d’ufficio o di relazioni redatte dai servizi sociali. A mio avviso, una scelta così rilevante dovrebbe essere valutata da una commissione multidisciplinare, composta da almeno 20 persone. Questa commissione non dovrebbe includere solo giudici, assistenti sociali e consulenti tecnici, ma anche, in modo sostanziale, rappresentanti delle forze dell’ordine. Le forze dell’ordine sono infatti tra i primi a intervenire nei contesti familiari a rischio, e possiedono un’esperienza diretta e quotidiana che può contribuire in modo determinante a valutare l’effettiva gravità della situazione e l’eventuale pericolo per il minore. Infine, bisogna procedere celermente all’attuazione della riforma, con l’istituzione del tribunale della famiglia, perché i minori devono necessariamente essere tutelati in un contesto esclusivamente dedicato a loro e ai loro genitori».
Simona Marchini (Getty Images)