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2020-06-07
La scuola riaprirà
con 27.000 prof in meno
Studenti a Wuhan (Ansa)
Peter Pan è un bambino che non vuole crescere e vive sull'Isola che non c'è insieme al gruppo dei Bimbi sperduti. Spesso si reca nel mondo reale per incontrare altri coetanei, come Wendy e i suoi fratelli, che decide di portare sull'isola. Ecco, il ministro dell'Istruzione, Lucia Azzolina, sembra un po' Peter Pan che a settembre, insieme al governo degli «sperduti», vuol riportare tutti i bimbi e ragazzi italiani in una scuola che non c'è. Facendoli crescere in un'isola di plexiglass.
Purtroppo non è una favola. Ieri la Camera ha dato il via libera definitivo al decreto Scuola con 245 voti favorevoli, 122 contrari, nessun astenuto (ma molti assenti). «È un provvedimento nato in piena emergenza che consente di chiudere regolarmente l'anno scolastico», dice Azzolina. Ma passata l'estate cosa succederà? «Ora definiamo le linee guida per riportare gli studenti a scuola in presenza e in sicurezza». Insomma, un grande boh che lascia nell'incertezza tutti: famiglie, studenti, docenti, presidi. Nessuno ha ancora capito come e quando si potrà tornare a scuola. Dietro a plexiglass e visiere non si vedono gli investimenti. Il decreto fornisce solo una scarna cornice normativa per lo svolgimento degli esami di Stato finali di quest'anno e per la valutazione finale delle studentesse e degli studenti. In particolare, l'esame di Stato del primo ciclo coincide con la valutazione finale da parte del Consiglio di classe, che terrà conto anche di un elaborato consegnato e discusso online dagli alunni. Mentre per la maturità è prevista la sola prova orale in presenza. Alla scuola primaria, dal prossimo anno scolastico torneranno i giudizi descrittivi, al posto dei voti in decimi. Come funzioneranno? Non si sa. Una successiva ordinanza del ministero dell'Istruzione darà alle scuole indicazioni operative. Non solo. Per ripartire consentendo il necessario distanziamento sociale servono strutture adeguate che non ci sono. Ma sul fronte dell'edilizia scolastica l'unico provvedimento è quello di passare il cerino nelle mani dei sindaci che fino al 31 dicembre «potranno operare con poteri commissariali». Senza però garantire le risorse. Armiamoci e partite.
«Il messaggio di questo decreto è chiaro: scordatevi risorse per nuovi spazi e stabilizzazione docenti, fondamentali per una didattica in sicurezza all'altezza della situazione», attacca il senatore Mario Pittoni, presidente della commissione Cultura e responsabile Istruzione della Lega. «Il prossimo anno scolastico partirà con zero assunzioni a tempo indeterminato. Anzi, 27.000 insegnati di ruolo in meno a seguito dei pensionamenti, che porteranno il totale dei supplenti oltre quota 200.000. Il contrario dell'impegno preso su nostra sollecitazione da esponenti della quasi totalità delle forze politiche di garantire tutti gli insegnanti titolari in cattedra il prossimo settembre, per affrontare la crisi pandemica, a partire dalla necessità di sdoppiare le classi per consentire i distanziamenti. Fa rabbia pensare che la soluzione per superare il precariato ci sarebbe e sta nella nostra proposta di assunzione da graduatorie, già utilizzata per le cosiddette Gae. Per il prossimo anno scolastico servirebbero non meno di 100.000 assunzioni. Così invece il risultato, se va bene, sarà arrivare l'anno dopo coprendo non più del 10-20% del necessario».
Su precari e supplenti il decreto si limita a cambiare il concorso straordinario per l'ingresso nella scuola secondaria di I e II grado. I docenti non sosterranno più una prova a crocette, ma con quesiti a risposta aperta, sempre al computer. La prova sarà diversa per ciascuna classe. Il bando di concorso, già pubblicato a fine aprile, sarà modificato e le prove si svolgeranno appena le condizioni epidemiologiche lo consentiranno. Ai vincitori immessi in ruolo nel 2021/2022 che rientrano nella quota di posti destinati all'anno scolastico 2020/2021 sarà riconosciuta la decorrenza giuridica del contratto dal primo settembre. Quanto ai supplenti, l'uovo di Colombo di Azzolina è solo far diventare le graduatorie provinciali e digitali (come, per altro, era già previsto dal decreto Scuola di dicembre). Con il rischio di non arrivare in tempo per gli aggiornamenti. Saranno gli uffici territoriali del ministero a seguire il processo e assegnare le supplenze. A uscire dal cilindro del decreto c'è infine un Tavolo di confronto presieduto dallo stesso ministro Azzolina per avviare «con periodicità percorsi abilitanti» per diventare insegnanti. Percorsi che però sono stati già collaudati con successo nel 2013. Intanto, nessun concorso. Nessuna stabilizzazione per i precari della scuola. Zero.
«La situazione della scuola italiana, e più in generale della cultura, è talmente drammatica che questi provvedimenti, che paiono poco meditati, rischiano di togliere speranze anche per il futuro», commenta l'avvocato Andrea Mascetti, presidente della commissione Arte e Cultura di Fondazione Cariplo. «Questo o un prossimo governo pensi piuttosto a defiscalizzare in modo serio o almeno dignitoso gli interventi per rilanciare un settore che potremmo definire spirituale prima ancora che socio economico».
Decreto approvato tra le assenze. Salvini: «Azzolina disastrosa»
La lunga e incandescente maratona sul decreto Scuola si è conclusa ieri a mezzogiorno, con l'approvazione da parte della Camera dei deputati: il fiume di dichiarazioni di voto, espediente parlamentare di Lega e FdI per allungare i tempi della discussione di un provvedimento che, in mancanza di un via libera di Montecitorio entro ieri, sarebbe decaduto, era terminato alle 3 di notte. Il risultato finale della votazione, 245 voti favorevoli e 122 contrari, fa imbestialire il Pd: tantissime le assenze nella maggioranza, che quando si era trattato di votare la fiducia sullo stesso decreto aveva raggiunto quota 305. Nel dettaglio, gli assenti non in missione del M5s sono risultati 31; quelli del Pd 19; quelli di Iv nove e uno di Leu. Ben 36 gli assenti del gruppo misto. Per quel che riguarda l'opposizione, 35 gli assenti della lega, 70 quelli di Forza Italia, 21 di FdI.
Tra i punti principali del decreto, la regolamentazione dell'esame di Stato di quest'anno, segnato dall'emergenza coronavirus: quello del primo ciclo coincide con la valutazione finale da parte del Consiglio di classe, che terrà conto anche di un elaborato consegnato e discusso online dagli studenti, mentre per il secondo ciclo è prevista la sola prova orale in presenza; alla scuola primaria, dal prossimo anno scolastico, vanno in soffitta i voti in decimi e tornano i giudizi descrittivi; per quel che riguarda gli interventi di edilizia scolastica, fino al 31 dicembre 2020 i sindaci e i presidenti delle Province e delle Città metropolitane potranno operare con poteri commissariali; previste maggiori tutele per gli studenti con disabilità; cambia il concorso straordinario per l'ingresso nella scuola secondaria di primo e secondo grado: i docenti che hanno i requisiti per partecipare non sosterranno più una prova a crocette, ma una prova con quesiti a risposta aperta, sempre al computer; le graduatorie dei supplenti saranno aggiornate, ma anche provincializzate e digitalizzate.
In ogni caso, il via libera al decreto non frena le critiche dell'opposizione. Il leader della lega e del centrodestra, Matteo Salvini, durante la notte delle dichiarazioni di voto, scrive su Facebook: «Seconda maratona notturna dei deputati della Lega contro il decreto Scuola, impegnati in Aula da due giorni consecutivi per smascherare un governo imbarazzante e un ministro», aggiunge Salvini, «disastroso nella gestione della ripartenza delle scuole italiane». «Che la Azzolina sia ministro della scuola», aggiunge qualche ora dopo, in riferimento ai gabbiotti in plexiglass che il ministro vorrebbe introdurre per separare gli studenti in aula, «è un insulto per insegnanti, studenti, presidi e famiglie».
«La maggioranza», riflette la presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, «applaude se stessa in aula dopo l'approvazione del decreto Azzolina, ma la verità è un'altra: sul nuovo anno scolastico regna l'incertezza più assoluta e studenti, famiglie e docenti sono abbandonati a se stessi. Conte si riempie la bocca con le parole dialogo e confronto ma in parlamento la sua maggioranza ha bocciato tutte le proposte di FdI sulla stabilizzazione dei precari e dei docenti di sostegno, sulla tutela delle scuole paritarie», aggiunge la Meloni, «sull'edilizia scolastica e sulle misure necessarie per riaprire le scuole in sicurezza con l'adozione di precisi protocolli». «L'approvazione definitiva del decreto scuola», ragiona la vicepresidente dei senatori di Forza Italia, Licia Ronzulli, «segna la pagina più buia del sistema formativo italiano. Si tratta di un decreto che scontenta tutti: gli studenti e le loro famiglie che ancora non hanno capito come e quando si ritornerà a scuola, gli insegnanti, i presidi, il personale Ata e i sindacati, tutti arrogantemente ignorati dal governo e dalla maggioranza».
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Per tornare a scuola in sicurezza basta aumentare le classi reclutando più insegnanti: ma i loculi di plastica costano di meno. Il leghista Mario Pittoni: «L'anno prossimo avremo ben 27.000 contratti indeterminati in meno, i supplenti supereranno i 200.000».Decreto approvato tra le assenze. Matteo Salvini: «Azzolina disastrosa». Malumore del Pd per i parlamentari della maggioranza non presenti al voto di ieri.Lo speciale comprende due articoli. Peter Pan è un bambino che non vuole crescere e vive sull'Isola che non c'è insieme al gruppo dei Bimbi sperduti. Spesso si reca nel mondo reale per incontrare altri coetanei, come Wendy e i suoi fratelli, che decide di portare sull'isola. Ecco, il ministro dell'Istruzione, Lucia Azzolina, sembra un po' Peter Pan che a settembre, insieme al governo degli «sperduti», vuol riportare tutti i bimbi e ragazzi italiani in una scuola che non c'è. Facendoli crescere in un'isola di plexiglass. Purtroppo non è una favola. Ieri la Camera ha dato il via libera definitivo al decreto Scuola con 245 voti favorevoli, 122 contrari, nessun astenuto (ma molti assenti). «È un provvedimento nato in piena emergenza che consente di chiudere regolarmente l'anno scolastico», dice Azzolina. Ma passata l'estate cosa succederà? «Ora definiamo le linee guida per riportare gli studenti a scuola in presenza e in sicurezza». Insomma, un grande boh che lascia nell'incertezza tutti: famiglie, studenti, docenti, presidi. Nessuno ha ancora capito come e quando si potrà tornare a scuola. Dietro a plexiglass e visiere non si vedono gli investimenti. Il decreto fornisce solo una scarna cornice normativa per lo svolgimento degli esami di Stato finali di quest'anno e per la valutazione finale delle studentesse e degli studenti. In particolare, l'esame di Stato del primo ciclo coincide con la valutazione finale da parte del Consiglio di classe, che terrà conto anche di un elaborato consegnato e discusso online dagli alunni. Mentre per la maturità è prevista la sola prova orale in presenza. Alla scuola primaria, dal prossimo anno scolastico torneranno i giudizi descrittivi, al posto dei voti in decimi. Come funzioneranno? Non si sa. Una successiva ordinanza del ministero dell'Istruzione darà alle scuole indicazioni operative. Non solo. Per ripartire consentendo il necessario distanziamento sociale servono strutture adeguate che non ci sono. Ma sul fronte dell'edilizia scolastica l'unico provvedimento è quello di passare il cerino nelle mani dei sindaci che fino al 31 dicembre «potranno operare con poteri commissariali». Senza però garantire le risorse. Armiamoci e partite. «Il messaggio di questo decreto è chiaro: scordatevi risorse per nuovi spazi e stabilizzazione docenti, fondamentali per una didattica in sicurezza all'altezza della situazione», attacca il senatore Mario Pittoni, presidente della commissione Cultura e responsabile Istruzione della Lega. «Il prossimo anno scolastico partirà con zero assunzioni a tempo indeterminato. Anzi, 27.000 insegnati di ruolo in meno a seguito dei pensionamenti, che porteranno il totale dei supplenti oltre quota 200.000. Il contrario dell'impegno preso su nostra sollecitazione da esponenti della quasi totalità delle forze politiche di garantire tutti gli insegnanti titolari in cattedra il prossimo settembre, per affrontare la crisi pandemica, a partire dalla necessità di sdoppiare le classi per consentire i distanziamenti. Fa rabbia pensare che la soluzione per superare il precariato ci sarebbe e sta nella nostra proposta di assunzione da graduatorie, già utilizzata per le cosiddette Gae. Per il prossimo anno scolastico servirebbero non meno di 100.000 assunzioni. Così invece il risultato, se va bene, sarà arrivare l'anno dopo coprendo non più del 10-20% del necessario».Su precari e supplenti il decreto si limita a cambiare il concorso straordinario per l'ingresso nella scuola secondaria di I e II grado. I docenti non sosterranno più una prova a crocette, ma con quesiti a risposta aperta, sempre al computer. La prova sarà diversa per ciascuna classe. Il bando di concorso, già pubblicato a fine aprile, sarà modificato e le prove si svolgeranno appena le condizioni epidemiologiche lo consentiranno. Ai vincitori immessi in ruolo nel 2021/2022 che rientrano nella quota di posti destinati all'anno scolastico 2020/2021 sarà riconosciuta la decorrenza giuridica del contratto dal primo settembre. Quanto ai supplenti, l'uovo di Colombo di Azzolina è solo far diventare le graduatorie provinciali e digitali (come, per altro, era già previsto dal decreto Scuola di dicembre). Con il rischio di non arrivare in tempo per gli aggiornamenti. Saranno gli uffici territoriali del ministero a seguire il processo e assegnare le supplenze. A uscire dal cilindro del decreto c'è infine un Tavolo di confronto presieduto dallo stesso ministro Azzolina per avviare «con periodicità percorsi abilitanti» per diventare insegnanti. Percorsi che però sono stati già collaudati con successo nel 2013. Intanto, nessun concorso. Nessuna stabilizzazione per i precari della scuola. Zero. «La situazione della scuola italiana, e più in generale della cultura, è talmente drammatica che questi provvedimenti, che paiono poco meditati, rischiano di togliere speranze anche per il futuro», commenta l'avvocato Andrea Mascetti, presidente della commissione Arte e Cultura di Fondazione Cariplo. «Questo o un prossimo governo pensi piuttosto a defiscalizzare in modo serio o almeno dignitoso gli interventi per rilanciare un settore che potremmo definire spirituale prima ancora che socio economico».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/alle-assunzioni-preferiscono-il-plexiglass-2646161756.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="decreto-approvato-tra-le-assenze-salvini-azzolina-disastrosa" data-post-id="2646161756" data-published-at="1591468279" data-use-pagination="False"> Decreto approvato tra le assenze. Salvini: «Azzolina disastrosa» La lunga e incandescente maratona sul decreto Scuola si è conclusa ieri a mezzogiorno, con l'approvazione da parte della Camera dei deputati: il fiume di dichiarazioni di voto, espediente parlamentare di Lega e FdI per allungare i tempi della discussione di un provvedimento che, in mancanza di un via libera di Montecitorio entro ieri, sarebbe decaduto, era terminato alle 3 di notte. Il risultato finale della votazione, 245 voti favorevoli e 122 contrari, fa imbestialire il Pd: tantissime le assenze nella maggioranza, che quando si era trattato di votare la fiducia sullo stesso decreto aveva raggiunto quota 305. Nel dettaglio, gli assenti non in missione del M5s sono risultati 31; quelli del Pd 19; quelli di Iv nove e uno di Leu. Ben 36 gli assenti del gruppo misto. Per quel che riguarda l'opposizione, 35 gli assenti della lega, 70 quelli di Forza Italia, 21 di FdI. Tra i punti principali del decreto, la regolamentazione dell'esame di Stato di quest'anno, segnato dall'emergenza coronavirus: quello del primo ciclo coincide con la valutazione finale da parte del Consiglio di classe, che terrà conto anche di un elaborato consegnato e discusso online dagli studenti, mentre per il secondo ciclo è prevista la sola prova orale in presenza; alla scuola primaria, dal prossimo anno scolastico, vanno in soffitta i voti in decimi e tornano i giudizi descrittivi; per quel che riguarda gli interventi di edilizia scolastica, fino al 31 dicembre 2020 i sindaci e i presidenti delle Province e delle Città metropolitane potranno operare con poteri commissariali; previste maggiori tutele per gli studenti con disabilità; cambia il concorso straordinario per l'ingresso nella scuola secondaria di primo e secondo grado: i docenti che hanno i requisiti per partecipare non sosterranno più una prova a crocette, ma una prova con quesiti a risposta aperta, sempre al computer; le graduatorie dei supplenti saranno aggiornate, ma anche provincializzate e digitalizzate. In ogni caso, il via libera al decreto non frena le critiche dell'opposizione. Il leader della lega e del centrodestra, Matteo Salvini, durante la notte delle dichiarazioni di voto, scrive su Facebook: «Seconda maratona notturna dei deputati della Lega contro il decreto Scuola, impegnati in Aula da due giorni consecutivi per smascherare un governo imbarazzante e un ministro», aggiunge Salvini, «disastroso nella gestione della ripartenza delle scuole italiane». «Che la Azzolina sia ministro della scuola», aggiunge qualche ora dopo, in riferimento ai gabbiotti in plexiglass che il ministro vorrebbe introdurre per separare gli studenti in aula, «è un insulto per insegnanti, studenti, presidi e famiglie». «La maggioranza», riflette la presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, «applaude se stessa in aula dopo l'approvazione del decreto Azzolina, ma la verità è un'altra: sul nuovo anno scolastico regna l'incertezza più assoluta e studenti, famiglie e docenti sono abbandonati a se stessi. Conte si riempie la bocca con le parole dialogo e confronto ma in parlamento la sua maggioranza ha bocciato tutte le proposte di FdI sulla stabilizzazione dei precari e dei docenti di sostegno, sulla tutela delle scuole paritarie», aggiunge la Meloni, «sull'edilizia scolastica e sulle misure necessarie per riaprire le scuole in sicurezza con l'adozione di precisi protocolli». «L'approvazione definitiva del decreto scuola», ragiona la vicepresidente dei senatori di Forza Italia, Licia Ronzulli, «segna la pagina più buia del sistema formativo italiano. Si tratta di un decreto che scontenta tutti: gli studenti e le loro famiglie che ancora non hanno capito come e quando si ritornerà a scuola, gli insegnanti, i presidi, il personale Ata e i sindacati, tutti arrogantemente ignorati dal governo e dalla maggioranza».
Dinanzi a tale insipienza strategica, i popoli non rimangono impassibili. Già alla vigilia del vertice dei 27, Politico aveva pubblicato i risultati di un sondaggio, secondo il quale sia in Francia sia in Germania sono aumentati quelli che vorrebbero «ridurre significativamente» il sostegno monetario all’Ucraina. I tedeschi che chiedono tagli drastici sono il 32%, percentuale cui va sommato il 14% di quanti si accontenterebbero di una qualsiasi stretta. Totale: 46%. I transalpini stufi di sborsare, invece, sono il 37% del totale. Per la Bild, l’opinione pubblica di Berlino è ancora più netta sull’opportunità di continuare a inviare armi al fronte: il 58% risponde di no. Infine, una rilevazione di Rtl e Ntv ha appurato che il 75% dei cittadini boccia l’operato del cancelliere Friedrich Merz, principale fautore della poi scongiurata «rapina» dei fondi di Mosca. Non è un caso che, stando almeno alle ricostruzioni del Consiglio Ue proposte da Repubblica, Emmanuel Macron e Giorgia Meloni abbiano motivato le proprie riserve sul piano con la difficoltà di far digerire ai Parlamenti nazionali, quindi agli elettori, una mozza così azzardata. Lo scollamento permanente dalla realtà che caratterizza l’operato della Commissione, a quanto pare, risponde alla filosofia esposta da Sergio Mattarella a proposito del riarmo a tappe forzate: è impopolare, ma è necessario.
La disputa sulle sovvenzioni a Zelensky - e speriamo siano a Zelensky, ovvero al bilancio del Paese aggredito, anziché ai cessi d’oro dei suoi oligarchi corrotti - ha comunque generato pure un’altra forma di divaricazione: quella tra i fatti e le rappresentazioni mediatiche.
I fatti sono questi: Ursula von der Leyen, spalleggiata da Merz, ha subìto l’ennesimo smacco; l’Unione ha ripiegato all’unanimità sugli eurobond, sebbene Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca siano state esentate dagli obblighi contributivi, perché abbandonare i lavori senza alcun accordo, oppure con un accordo a maggioranza qualificata, sarebbe stato drammatico; alla fine, l’Europa si è condannata all’ennesimo salasso. E la rappresentazione?
La Stampa ieri è partita per Plutone: titolava sulla «svolta» del debito comune, descritta addirittura come un «compromesso storico». Il corrispondente da Bruxelles, Marco Bresolin, in verità ha usato toni più sobri, sottolineando la «grande delusione» di chi avrebbe voluto «punire la Russia» e riconoscendo il successo del premier belga, Bart De Wever, ostile all’impiego degli asset; mentre l’inviato, Francesco Malfetano, dava atto alla Meloni di aver pianificato «la sua mossa più efficace». Sul Corriere, il fiasco di Merz si è trasformato in una «vittoria a metà». Repubblica ha borbottato per la «trappola» tesa dal cancelliere e a Ursula. Ma Andrea Bonanni, in un editoriale, ha lodato l’esito «non scontato» del Consiglio. L’Europa, ha scritto, «era chiamata a sostituirsi a Washington per consentire a Kiev di continuare la resistenza contro l’attacco russo. Lo ha fatto. Doveva trovare i soldi. Li ha trovati ricorrendo ancora una volta a un prestito comune, come fece al tempo dell’emergenza Covid». Un trionfo. Le memorie del regimetto pandemico avranno giocato un ruolo, nel convincere le firme di largo Fochetti che, «stavolta», l’Ue abbia «battuto un colpo».
Un colpo dev’essere venuto ai leader continentali. Costoro, compiuto il giro di boa, forse si convinceranno a smetterla di sabotare le trattative. Prova ne sia la sveglia di Macron, che ha avvisato gli omologhi: se fallisce la mediazione Usa, tocca agli europei aprire un canale con Vladimir Putin. Tutto sommato, avere gli asset in ostaggio può servire a scongiurare l’incubo dell’Ue: sparire di scena.
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Volodymyr Zelensky (Ansa)
La soluzione del prestito dunque salva capra e cavoli, ovvero gli interessi di chi ritiene giusto dover alimentare con aiuti e armi la resistenza di Kiev e anche quelli di quanti temevano la reazione russa all’uso dei fondi. Una mediazione soddisfacente per tutti, dunque? Non esattamente, visto che la soluzione escogitata non è affatto gratis. Già: mentre i vertici della Ue si fanno i complimenti per aver raggiunto un’intesa, a non congratularsi dovrebbero essere i cittadini europei, perché l’accordo raggiunto non è gratis, ma graverà ancora una volta sulle tasche dei contribuenti. Lasciate perdere per un momento come e quando l’Ucraina sarà in grado di restituire il prestito che le verrà concesso. Se Kiev fosse un comune cittadino nessuna banca la finanzierebbe, perché agli occhi di qualsiasi istituto di credito non offrirebbe alcuna garanzia di restituzione del mutuo concesso. Per molti anni gli ucraini non saranno in grado di restituire ciò che ricevono. Dunque, i soldi che la Ue si prepara a erogare rischiano di essere a fondo perduto, cioè di non ritornare mai nelle tasche dei legittimi proprietari, cioè noi, perché il prestito non è garantito da Volodymyr Zelensky, in quanto il presidente ucraino non ha nulla da offrire in garanzia, ma dall’Europa, vale a dire da chi nel Vecchio continente paga le tasse.
Lasciate perdere che, con la corruzione che regna nel Paese, parte dei soldi che diamo a Kiev rischia di sparire nelle tasche di una serie di politici e burocrati avidi prima ancora di arrivare a destinazione. E cancelliamo pure dalla memoria le immagini dei cessi d’oro fatti installare dai collaboratori mano lesta del presidente ucraino: rubinetti, bidet, vasca e tutto il resto lo abbiamo pagato noi, con i nostri soldi. Il grande reset della realtà, per come si è fin qui palesata, tuttavia non può cancellare quello che ci aspetta.
Il prestito della Ue, come ogni finanziamento, non è gratis: quando voi fate il mutuo per la casa, oltre a rimborsare mese dopo mese parte del capitale, pagate gli interessi. Ma in questo caso il tasso non sarà a carico di chi riceve i soldi, come sempre capita, ma - udite, udite - di chi li garantisce, ovvero noi. Politico, sito indipendente, ha calcolato che ogni anno la Ue sarà costretta a sborsare circa 3 miliardi di interessi, non proprio noccioline. Chi pagherà? È ovvio: non sarà lo Spirito Santo, ma ancora noi. Dividendo la cifra per il numero di abitanti all’interno della Ue si capisce che ogni cittadino dovrà mettere mano al portafogli per 220 euro, neonati e minorenni inclusi. Se poi l’aliquota la si vuol applicare sopra una certa soglia di età, si arriva a 300.
Ecco, la pace sia con voi la pagheremo cara e probabilmente pagheremo cari anche i 90 miliardi concessi all’Ucraina, perché quasi certamente Kiev non li restituirà mai e toccherà a noi, intesi come Ue, farcene carico. Piccola noticina: com’è che, quando servivano soldi per rilanciare l’economia e i salari, Bruxelles era contraria e adesso, se c’è da far debito per sostenere l’Ucraina, invece è favorevole? Il mistero delle scelte Ue continua. Ma soprattutto, si capisce che alla base di ogni decisione, a differenza di ciò che ci hanno raccontato per anni, non ci sono motivazioni economiche, ma solo politiche.
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Kirill Budanov (Ansa)
Sicuramente nei potenziali colloqui è prevista la partecipazione americana, ma potrebbero aggiungersi anche gli europei, visto che si trovano sul suolo americano. Il presidente ucraino, nell’annunciare questa opportunità, ha dichiarato che Washington «ha proposto il seguente formato: Ucraina, America, Russia e, dato che ci sono rappresentanti dell’Europa, probabilmente anche l’Europa». E in tal caso a prendere parte sarebbero i consiglieri per la sicurezza nazionale. Pare però che la decisione finale spetti a Zelensky: sarà l’Ucraina a stabilire la configurazione della riunione in base all’esito dell’incontro di venerdì tra i negoziatori americani, la delegazione ucraina e quella europea. E per questo il presidente ucraino, che si mostra già scettico, ha comunicato che ne parlerà con Rustem Umerov. D’altronde, Zelensky ha spiegato che deve ancora essere aggiornato sui risultati raggiunti a Miami: «Il nostro team si metterà in contatto con me: mi comunicheranno l’esito del primo blocco di dialogo e poi capiremo cosa fare». Poco dopo ha riferito che la proposta americana potrebbe essere accettata qualora faciliti lo scambio di prigionieri e sia il preludio di un incontro «tra i leader». Ha poi avvertito che Washington deve chiarire «se c’è una via diplomatica», altrimenti, in caso contrario «ci sarà una pressione totale» su Mosca.
Ma prima dell’eventuale trilaterale o quadrilaterale, ieri l’inviato americano, Steve Witkoff, il genero di Donald Trump, Jared Kushner, e il segretario di Stato americano, Marco Rubio, la cui presenza però, quando siamo andati in stampa, non era ancora confermata, si sono incontrati a Miami con la delegazione russa guidata da Kirill Dmitriev. L’inviato del presidente russo, Vladimir Putin, prima dei colloqui, ha condiviso su X un video girato durante la precedente missione in Florida, scrivendo: «In viaggio per Miami. Mentre i guerrafondai continuano a fare gli straordinari per indebolire il piano di pace degli Stati Uniti per l’Ucraina, mi sono ricordato di questo video della mia precedente visita. La luce che irrompe attraverso le nuvole temporalesche». Più tardi, mentre era in viaggio verso la Florida, ha aggiunto che la Russia è «pronta a collaborare con gli Stati Uniti nell’Artico».
Ma oltre agli interessi già noti in quell’area, Mosca avrebbe altri obiettivi. In una versione che stride con la visione della Casa Bianca, sei fonti vicine all’intelligence americana hanno infatti rivelato a Reuters che la Russia mira a conquistare tutta l’Ucraina e i Paesi dell’ex Unione sovietica. Il membro democratico della Commissione intelligence della Camera, Mike Quigley, interpellato dall’agenzia britannica, ha dichiarato: «Le informazioni di intelligence hanno sempre indicato che Putin vuole di più. Gli europei ne sono convinti. I polacchi ne sono assolutamente convinti. I baltici pensano di essere i primi». Che tra i target russi ci siano gli Stati baltici ne è certo anche il capo del servizio segreto militare ucraino, Kirill Budanov. In un’intervista rilasciata a LB.ua. ha annunciato che «il piano originale» di Mosca prevedeva «di iniziare le operazioni» di conquista «nel 2030», ma «ora i piani sono stati modificati e rivisti per anticipare la tempistica al 2027».
Guardando invece al presente, l’apertura dello zar russo a un cessate il fuoco in Ucraina qualora si tenessero le elezioni non è stata apprezzata dal leader di Kiev. Zelensky ha detto che «non spetta a Putin decidere quando e in quale forma si terranno le elezioni in Ucraina». Tuttavia, ha già comunicato che il ministero degli Esteri è al lavoro per organizzare il voto all’estero. Immediata è stata la risposta del Cremlino, con il suo portavoce Dmitry Peskov che ha bollato Zelensky come «confuso» e «contradditorio» dato che ha già chiesto il sostegno americano proprio per garantire che le eventuali elezioni si svolgano in sicurezza.
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Ansa
Il terreno era stato preparato a colpi di retorica. Gli slogan degli attivisti: «Il governo Meloni cerca di piegare questa città, medaglia d’oro per la resistenza». Torino «è partigiana e si è sempre schierata». E ancora: «In piazza ci sono giovani, famiglie e persone che si riconoscono in un progetto collettivo». Parole. Poi arrivano i fatti. Quando il corteo imbocca corso Regina Margherita, qualcosa cambia. All’angolo con via Vanchiglia il corteo, con un passaggio secco, muta pelle. Spuntano i caschi, le sciarpe salgono sul volto. Il manuale della piazza antagonista, quello che dimostra che gli scontri non sono un incidente di percorso ma il percorso, viene applicato alla lettera. Nel corteo c’è anche la pasionaria No Tav Nicoletta Dosio. Rivendica una storia che parte dal 1999 e assicura che quella «resistenza» continuerà. Richiama la presenza dei «nuovi vecchi partigiani», citando Prosperina «Lisetta» Vallet, la cui gigantografia in bianco e nero posta sul furgone di apertura del corteo era stata rimossa dallo stabile di Askatasuna, «perché anche le immagini fanno paura ai fascismi». Gli organizzatori rivendicano al microfono 10.000 presenze (circa 3.000 sono quelle stimate dalla questura). Dagli altoparlanti parte un messaggio di solidarietà del fumettista Zerocalcare: «Non immagino Torino senza Askatasuna e spero che questo non accadrà mai». Ma ci sono anche volti istituzionali. Il segretario della Cgil Piemonte, Giorgio Airaudo, tra i garanti del patto saltato con il Comune sull’edificio di corso Regina Margherita 47, quello occupato da Askatasuna, dice di pensare «che il Comune deve riprendere quella strada, che è una strada di dialogo». Parla di «mediazione sociale». Pochi minuti dopo è il caos. Seguito dalle lacrime di coccodrillo. «Desideriamo condannare con fermezza gli episodi di violenza che si sono verificati durante il corteo di oggi, esprimendo solidarietà e vicinanza alle forze dell’ordine coinvolte nei disordini, chiamate ad operare in un contesto molto complesso e delicato, ai commercianti e a tutte le cittadine e i cittadini che hanno vissuto disagi, peraltro a pochi giorni dal Natale», dice il sindaco di Torino Stefano Lo Russo (nella cui giunta c’è un assessore di Alleanza dei Verdi e Sinistra, Jacopo Rosatelli, che ha preso parte al corteo). Ormai viene bollato come un «infame» dai manifestanti ai quali nei mesi scorsi aveva strizzato l’occhio. Dopo gli scontri, quando è tornata la calma, un gruppetto di attivisti ha proiettato sui palazzo di piazza Vittorio Veneto le scritte «Sbirri di m.... Aska libero». Poi: «Meloni dimissioni». E infine: «Sindaco Lo Russo servo infame». A riportare la questione sul binario è il segretario del sindacato di polizia Coisp Domenico Pianese: «A Torino siamo di fronte alla pretesa di imporre l’illegalità come metodo politico e di dichiarare guerra allo Stato». Mentre la sinistra, quella che aveva tollerato il patto con gli attivisti del centro sociale, e i sindacati restano in silenzio. Dai vertici del centrodestra, invece, la condanna è dura. Matteo Salvini: «Da una parte donne e uomini in divisa, che difendono la legalità, dall’altra i soliti violenti, figli di papà frustrati e falliti, che hanno mandato sette (poi diventati nove, ndr) agenti all’ospedale. Lo sgombero di Askatasuna è solo l’inizio, ruspe sui centri sociali covi di delinquenti». Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, punta il dito: «La sinistra dovrebbe vergognarsi. Ha dimostrato ancora una volta di non avere senso delle istituzioni, sfilando al corteo con chi oltraggia ogni giorno lo Stato e i suoi rappresentanti». Per Antonio Tajani «è la dimostrazione» che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (che in serata ha telefonato al capo della polizia Vittorio Pisani per informarsi sulle condizioni degli agenti feriti a Torino) «ha fatto bene». Poi ha aggiunto: «Se il centro sociale diventa il luogo dove si organizzano gli attacchi alle forze dell’ordine è giusto che il governo abbia preso una decisione ferma, non c’è libertà senza legalità». Perfino il leader di Azione Carlo Calenda usa toni pesanti: «Askatasuna è un gruppo violento e intollerante che è stato per troppo tempo tollerato. Vanno sciolti e perseguiti se compiono reati».
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