2022-07-23
Allarmi preventivi: «Carta a rischio»
La campagna elettorale non è ancora iniziata, eppure già si sprecano gli avvertimenti antifascisti. E gli appelli per difendere la Costituzione, calpestata proprio dalla sinistra.Il clima si fa rovente. E più dell’anticiclone africano, fa paura certo antifascismo nostrano. Un segnale inequivocabile arriva dal salotto mediatico di Twitter, dove il primo «trend topic», cioè l’argomento più discusso, si intitola «No ai fascisti d’Italia», storpiatura dei «Fratelli d’Italia» meloniani. Nel frattempo, sul Fatto Quotidiano fanno notare senza giri di parole che «si voterà 100 anni dopo la marcia su Roma. La nostra Capitale potrebbe ritrovarsi a patire quel medesimo marciume». Su Repubblica, intellettualoni come Tito Boeri dipingono una Lega che vanterebbe «legami documentati» con i «nostalgici del nazismo». Se questo è il primo giorno di campagna elettorale, che il cielo ci aiuti. Ma stavolta, perlomeno, fateci il piacere di lasciar fuori dallo spartito propagandistico la povera Costituzione. «Meloni, Salvini e Berlusconi potranno fare della Costituzione ciò che gli pare […] peggio dei fascisti ci sono solo i fessi», scrive preoccupato Mattia Feltri sulla Stampa. E nel frattempo la giornalista del Corriere Monica Guerzoni racconta del panico della sinistra parlamentare, pronta a riparare all’estero in caso di vittoria del centrodestra: «Se crolla la diga tosco-emiliana, avranno i numeri per cambiare la Costituzione». Curioso come solo oggi, a Camere sciolte, ci ricordiamo che esiste una Costituzione. Ai primi fuochi elettorali, qualcuno estrae da un cassetto polveroso la Legge fondamentale, o quel che ne resta, strapazzata come un vecchio giornale adoperato per incartare il pesce. Con la Costituzione a far da tovaglia, abbiamo apparecchiato lockdown a pioggia, ingoiato le certificazioni per uscire di casa, digerito pacchi interi di dpcm, trangugiato le sacre tavole del Cts e il coprifuoco per sei mesi, le mascherine all’aperto, le crociate contro chi si baciava sul pontile di Forte dei Marmi, il divieto di lavorare per i non vaccinati, i decreti blindati in Parlamento, e le fiducie a raffica. Chi si azzardava a porsi domande, come Massimo Cacciari e diversi giuristi, è stato sbeffeggiato e vilipeso. E oggi qualcuno davvero vorrebbe sventolarla in campagna elettorale? Dannarsi l’anima al pensiero che domani il centrodestra possa cambiare la Costituzione in solitaria è una presa per i fondelli. Nel 2001 la famosa riforma del Titolo quinto passò a colpi di maggioranza, con quattro voti di scarto: nessuno ebbe da ridire, perché in carica c’era un governo di centrosinistra guidato da Giuliano Amato, oggi guardiano della Costituzione. Allo stesso modo, la riforma del Senato del 2016, approvata senza il consenso dell’opposizione e poi bocciata al referendum, porta la firma del segretario del Pd, che all’epoca si chiamava Matteo Renzi. Più volte sono state votate riforme costituzionali con piccoli scarti di voti, basti pensare alla «devolution» targata Calderoli del 2005. La differenza è che le forzature operate dal centrodestra sono condannate dal concepimento, quelle del centrosinistra applaudite come sacrosante. E se Giorgia Meloni, sull’onda di un plebiscito mai visto, tagliuzzasse la Costituzione trasformando la Repubblica in sultanato? Chi fa pensieri del genere non rischia la camicia nera, ma la camicia di forza. E anche in questa ipotesi dell’irrealtà, la nostra disgraziata democrazia mantiene i suoi strumenti di difesa. Oltre al già citato Amato (che la faccia da camerata proprio non ce l’ha), oltre a una magistratura certamente non vicina al centrodestra nei suoi gangli vitali, a vigilare su tutto resta un presidente della Repubblica come Sergio Mattarella. Che in questi anni ha dimostrato di non essere esattamente un pericoloso reazionario. Se al centrodestra è bene raccomandare di non dare la vittoria per scontata (ricordate Verona, come ha scritto ieri Mario Giordano), al Pd e al fronte pro Draghi consiglieremmo di evitare, almeno stavolta, di trincerarsi dietro all’emergenza democratica dei «fascisti al potere». Non è dignitoso. Sarebbe più proficuo parlare di programmi, tasse, benzina, gas, lavoro, inflazione, Ucraina. Prendendo in prestito lo svarione «peronista» di Supermario, verrebbe da dire che questo sì, «lo vogliono gli italiani».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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