2020-10-01
Allarme del Copasir. Ora il nuovo pericolo sono i dazi europei sulle tlc del Dragone
Valdis Dombrovskis (Hayoung Jeon - Pool / Getty Images)
La Commissione sta indagando sui cavi importati. Il Parlamento: «Può accadere anche per il 5G». Rischiamo penalità da Usa e Ue.Il Copasir lo attendeva da un anno. In ballo la vendita della Borsa da parte dei londinesi.Lo speciale contiene due articoli.I temi della rete unica e del 5G sono tecnicamente molto complessi. Paralleli, ma diversi. Politicamente parlando, sono molto semplici. Chi arriva prima nella corsa della tecnologia di quinta generazione (che nel caso italiano significa anche portare avanti una rete all'altezza) vince. E si porta a casa il bottino dei dati globali. Stati Uniti e Cina sono in gara. L'Unione europea guarda da lontano. Tecnicamente parlando Huawei è avanti almeno di due anni rispetto alla controparte americana. Ma Washington non intende mollare. E si muove per colmare il gap e per limitare il soft power cinese.Tanto che la posizione Ue rispetto anche solo al 2019 sta cambiando. Lo dimostra l'avvio della procedura anti dumping a seguito della denuncia dei produttori di cavi europei, Prysmian in testa. La Commissione europea ha così avviato un'inchiesta sulle importazioni di cavi in fibra ottica. Le autorità si concentreranno dal periodo che va dal 1 luglio 2019 al 30 giugno 2020 e verranno coinvolti a campione una serie di produttori e di importatori che se ne sono avvalsi. L'associazione Europacable stessa ha fornito dettagli su quelli che dovrebbero essere i numeri di un mercato distorto da concorrenza sleale. Europacable, infatti, sostiene che nel 2019 sono stati installati circa 1,2 milioni di chilometri di cavi, di cui il 15-20% proveniente dalla Cina. Sempre stando alla denuncia a utilizzare almeno in parte tali fornitori in Italia sarebbero Open fiber, Valtellina e Retelit (che a sua volta si rifornisce da Valtellina e che contrariamente da quanto abbiamo scritto ieri non ha mai dato incarico peritale direttamente al premier). Il tema delicato resta quanto uso di tecnologia cinese si fa nella rete pubblica destinata a essere colonna portante della rete unica italiana. La struttura della nostra rete e quindi l'uso della tecnologia cinese adottata nel nostro Paese. Maggiore è la dipendenza, maggiore il rischio che i futuri dazi europei ci mettano in crisi e in ginocchio. Sempre a seguito dell'articolo di ieri, Open fiber ha comunicato la volontà di precisare diversi dettagli e smentire «le ricostruzioni». «Le forniture di cavi in fibra ottica riconducibili ai soggetti coinvolti nell'inchiesta della Commissione su una presunta operazione di dumping da parte di esportatori cinesi, sono infatti assai limitate», spiega l'azienda guidata da Franco Bassanini. In particolare, Open fiber ha sottoscritto contratti di fornitura di cavi in fibra ottica con 9 aziende: 5 sono italiane (per il 59% del totale), due spagnole, una coreana, una olandese, una statunitense». La spagnola Cablescom, che continua ad essere l'interlocutore commerciale di Open fiber è stata acquisita nel 2016 dal gruppo cinese Hengtong. Open fiber dal 2016 a oggi «ha acquisito una quota relativamente bassa del totale dei cavi da Cablescom, di cui meno della metà è di provenienza Hengtong e i livelli di sconto di Cablescom», prosegue la nota, «tra l'altro, sono in linea con quelli praticati da altri operatori del settore». L'azienda infine ribadendo l'eccellenza di tutte le proprie certificazioni smentisce di aver avuto rapporti commerciali «con Fiberhome, Yangtze Optical, Hengtong Group, Shenzen Tefa Information». La nota, che aiuta a fare chiarezza tuttavia non sembra smentire l'utilizzo di tecnologia cinese, pur volendo delimitarne gli aspetti quantitativi. Non possiamo però non rilevare che nella stessa replica non si fa alcun accenno a Huawei, al contrario elemento centrale per il futuro dei cavi Open fiber. Così come ribadiamo la portata politica delle scelte soprattutto se cadono nel perimetro del governo. Non solo per la questione dei cavi ma soprattutto per il 5G. Il riferimento non è a Open fiber, o meglio, lo può essere solo nel caso in cui indossi la veste di operatore. Il riferimento è al numero misterioso di contratti relativi a tecnologia 5G finiti sulla scrivania del comitato del golden power. Se infatti i cavi non devono passare al vaglio di Palazzo Chigi, tutto ciò che riguarda il 5G necessita di autorizzazione. Non sappiamo quanti Dpcm siano stati firmati in un anno e quanti siano pronti alla firma. Lo scorso inverno il Copasir ha reso pubblica la propria relazione sulla nuova tecnologia di tlc. La relazione avviata dall'attuale ministro Lorenzo Guerini fa un importantissimo accenno al rischio di interventi anti dumping Ue pure sul 5G e non solo sui cavi. In pratica, se l'allarme del Copasir - rinnovato in questi giorni, a quanto risulta alla Verità - coglie nel segno, il pericolo è che l'infrastruttura di tlc sia in bilico su due fronti. Penalizzazioni potenziali Usa e fuorigioco nel mercato Ue. Il paradosso è rischiare il cartellino rosso da Bruxelles su fibra e 5G. Perché non è un allarme campato per aria quello del Copasir, è qualcosa di molto concreto. Per questo - ribadiamo - sarebbe importante la massima trasparenza da parte del governo. Sapere quanta tecnologia cinese abbiamo in casa sarebbe utile al Parlamento per tirare le fila di scelte che sono più geopolitiche che industriali.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/allarme-del-copasir-ora-il-nuovo-pericolo-sono-i-dazi-europei-sulle-tlc-del-dragone-2647871769.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gualtieri-in-audizione-fa-il-doroteo-parla-quasi-tre-ore-e-non-dice-nulla" data-post-id="2647871769" data-published-at="1601493278" data-use-pagination="False"> Gualtieri in audizione fa il doroteo: parla quasi tre ore e non dice nulla