2025-07-20
Alla fine dietro al Russiagate c’era Obama
Documenti dell’intelligence americana mettono in dubbio le modalità attraverso cui fu dichiarata l’interferenza di Mosca nelle elezioni Usa che incoronarono Trump: una prima valutazione le escludeva, ma dopo una riunione dei dem il report cambiò. Che il cosiddetto Russiagate si sia fondamentalmente risolto in una bolla di sapone, non è più una novità. Continuano però a emergere «dettagli» che chiamano direttamente in causa le responsabilità dell’amministrazione di Barack Obama in questa controversa vicenda. È in tal senso che, l’altro ieri, la direttrice dell’Intelligence nazionale americana, Tulsi Gabbard, ha pubblicato alcuni documenti che, secondo il suo stesso ufficio, hanno «rivelato prove schiaccianti che dimostrano come, dopo la vittoria del presidente Trump alle elezioni del 2016 contro Hillary Clinton, il presidente Obama e i membri del suo gabinetto per la sicurezza nazionale abbiano fabbricato e politicizzato informazioni di intelligence per gettare le basi di quello che in sostanza è stato un colpo di Stato durato anni contro il presidente Trump». «Le informazioni che pubblichiamo oggi mostrano chiaramente che nel 2016 si è verificato un complotto sovversivo, commesso da funzionari ai massimi livelli del nostro governo», ha dichiarato la stessa Gabbard, che ha anche annunciato di aver consegnato al Dipartimento di Giustizia i documenti appena pubblicati: segno che potrebbero prima o poi essere aperte delle indagini penali o addirittura avviate delle incriminazioni. Ma che cosa emerge da questi incartamenti? Il 12 settembre 2016, una valutazione della comunità d’intelligence statunitense sostenne che «gli avversari stranieri non hanno e probabilmente non avranno le capacità per eseguire con successo attacchi informatici diffusi e non rilevati» alle infrastrutture elettorali. Era invece il 7 dicembre 2016 - un mese dopo, cioè, la vittoria elettorale di Donald Trump - quando l’ufficio dell’allora direttore dell’Intelligence nazionale, James Clapper, dichiarò: «Gli avversari stranieri non hanno utilizzato attacchi informatici contro le infrastrutture elettorali per alterare l’esito delle elezioni presidenziali statunitensi». «Non abbiamo prove di manipolazione informatica delle infrastrutture elettorali con l’intento di alterare i risultati», aggiunse.Il giorno dopo, la comunità d’intelligence discusse la bozza di un briefing presidenziale, in cui si sosteneva che «gli attori russi e criminali non hanno influenzato i recenti risultati delle elezioni statunitensi conducendo attività informatiche dannose contro le infrastrutture elettorali». Tuttavia, nello stesso giorno, l’Fbi, all’epoca guidato da James Comey, si oppose e quella bozza fu cassata. Si arrivò così al 9 dicembre, quando ebbe luogo una riunione alla Casa Bianca, a cui parteciparono tra gli altri: lo stesso Clapper, l’allora direttore della Cia, John Brennan, l’allora segretario di Stato, John Kerry, l’allora vicesegretario di Stato per gli affari europei, Victoria Nuland, l’allora vicedirettore dell’Fbi, Andrew McCabe, e l’allora vice consigliere per la sicurezza nazionale, Avril Haines (che sarebbe diventata direttrice dell’Intelligence nazionale con l’amministrazione Biden).Dopo il meeting, Clapper ordinò, «su richiesta del presidente», una nuova analisi dell’intelligence sulle interferenze russe. Il 6 gennaio 2017 fu quindi pubblicato un documento che, ha riferito la Gabbard, «contraddiceva direttamente le valutazioni della comunità di intelligence effettuate nei sei mesi precedenti». In particolare, la nuova analisi sosteneva che Mosca aveva interferito nelle elezioni americane del 2016, con l’obiettivo di aiutare Trump. Secondo la Gabbard, per arrivare a questa svolta, fu utilizzato anche il Dossier dell’ex spia britannica, Christopher Steele: un documento, già all’epoca considerato di dubbio valore, che si scoprì poi essere stato finanziato dalla campagna della Clinton.A inizio luglio, l’attuale direttore della Cia, John Ratcliffe, ha messo in rilievo varie criticità dell’analisi d’intelligence, pubblicata nel 2017: dalla «tempistica estremamente ridotta» per preparare il documento all’eccessivo coinvolgimento dei capi delle varie agenzie, che avrebbero «influenzato» gli analisti. Ha anche sostenuto che, nonostante fosse stato avvertito da un funzionario della sua scarsa attendibilità, Brennan spinse affinché il dossier di Steele fosse inserito nella valutazione d’intelligence: quel documento fu infatti alla fine incluso negli allegati dell’analisi finale. Inoltre, la scorsa settimana, Fox News, citando fonti del Dipartimento di Giustizia, ha riferito che lo stesso Brennan e Comey sarebbero attualmente sotto indagine penale per false dichiarazioni pronunciate davanti al Congresso.Certo, va senz’altro detto che un rapporto bipartisan del Senato, risalente al 2020, confermò l’analisi d’intelligence del 2017. Va però altrettanto riconosciuto che le recenti revisioni di Ratcliffe e della Gabbard gettano una luce inquietante sul processo decisionale e operativo che portò a quell’analisi. Senza trascurare che, durante la controversa indagine Crossfire Hurricane tra il 2016 e il 2017, l’Fbi fece ricorso al dossier di Steele per ottenere dei mandati di sorveglianza ai danni di un consigliere di Trump, Carter Page. Infine, nel 2019, il procuratore speciale, Robert Mueller, stabilì, sì, che Mosca aveva interferito nelle elezioni americane del 2016 usando i social network e diffondendo documenti trafugati. Ammise però, al contempo, di non aver rinvenuto prove di un coordinamento tra la campagna di Trump e il Cremlino. Insomma, i vertici dell’amministrazione Obama qualche spiegazione, forse, dovrebbero cominciare a darla.
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)