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2019-07-12
Alla fine ce l’hanno fatta a uccidere Lambert
Ansa
Ce l'hanno fatta, Vincent Lambert è morto, è stato fatto morire. Tribunali che amministrano norme nemiche degli uomini e medici che hanno cancellato dalla loro coscienza il giuramento di Ippocrate hanno condannato un uomo a una fine crudele. A nulla sono valsi, quindi, gli sforzi di Jean e Viviane, i suoi genitori, che hanno condotto una battaglia legale per impedire che al figlio fossero interrotte cure e alimentazione. Niente da fare: dal 2 luglio Lambert non era più alimentato e gli erano state sospese le cure. La legge ha consentito che in questi dieci giorni gli venissero solamente bagnate le labbra. A Cristo in croce appoggiarono una spugna imbevuta nel fiele, a Lambert un tampone con qualche goccia d'acqua. In fondo i carnefici francesi sono stati più magnanimi dei centurioni romani.
Adesso tutti scrivono che Lambert era un «simbolo della lotta contro l'eutanasia». Sbagliato. Vincent Lambert non è mai stato un simbolo, una rivendicazione, un «caso» da sollevare e agitare davanti all'opinione pubblica. Era un uomo, una persona di 42 anni che 11 anni fa era rimasto coinvolto in un grave incidente stradale ed era costretto su una sedia a rotelle. Come moltissime altre vittime di sciagure, sentiva, pensava e aveva bisogno di aiuto. Dipendeva in tutto dagli altri perché era un paziente cronico. Non era in coma e non era un malato terminale, benché fosse ricoverato in un reparto di cure palliative. Non era sottoposto a nessuna forma di accanimento terapeutico. Non aveva la Sla come Luca Coscioni e Piergiorgio Welby, loro sì trasformati in bandiere pro eutanasia. Non sopravviveva in stato vegetativo permanente come Eluana Englaro. Non era intubato, respirava autonomamente, la notte dormiva e di giorno restava sveglio, reagiva agli stimoli esterni. Non che le persone prima citate meritassero la «morte dolce», sia chiaro. Ma per questo l'abominio che è stato perpetrato contro di lui nell'ospedale di Reims è ancora più orrendo.
Nella Francia di Emmanuel Macron, per meritare la morte basta essere un disabile, un povero cristo non autosufficiente, addirittura ricoverato in una struttura medica d'avanguardia, un policlinico universitario dotato di un reparto specialistico sia per la cura di queste infermità sia per le terapie palliative, cioè quelle che ultimamente venivano somministrate a Lambert. Cibo, acqua e gli altri supporti vitali sono considerati terapie. Il paziente, se vuole, può sospenderli. Potrebbe succedere anche in Italia dopo l'approvazione della legge sul biotestamento avvenuta nel 2017, presentata da un deputato del Movimento 5 stelle e votata da un asse trasversale con la sinistra del Pd e di Liberi e uguali riuniti in una maggioranza innaturale con i grillini della scorsa legislatura.
Questa vicenda segna una svolta perché contro Vincent Lambert si è scatenato un accanimento senza precedenti. O meglio, un precedente nella storia c'è, ed è quello dei nazisti che nei campi di concentramento trattarono i disabili come le altre minoranze da sterminare in nome della purezza della razza tedesca. «Chi non è sano e degno di corpo e di spirito, non ha diritto di perpetuare le sue sofferenze»: è scritto nel Mein Kampf, autore Adolf Hitler. Accadde così prima ai bambini, poi agli adulti; prima cavie da laboratorio, poi prove generali per l'Olocausto degli ebrei. Dopo violenze e torture, le persone disabili vennero deportate nei campi e uccise nelle camere a gas: i medici tedeschi ritenevano che la morte fosse «subitanea e meno dolorosa». Che gente di cuore.
Quali colpe avevano i disabili tedeschi per subire violenze, torture, esperimenti disumani, e finire con una «morte dolce» che fu soltanto l'inizio dell'aberrante genocidio nazista? E quali colpe aveva Vincent Lambert? Quella di essere un disabile, un tetraplegico, un cerebroleso post-traumatico. Di avere gravi problemi motori e neurologici, che imponevano l'obbligo di assisterlo in centri medici con strutture adeguate. Quanti milioni di persone nel mondo vivono nella condizione di non essere autosufficienti, di essere costretti a una dipendenza cronica? Nemmeno l'essere ricoverati in strutture all'avanguardia della medicina e della ricerca è più garanzia di ottenere una cura.
La ragion di Stato che ha ucciso Vincent Lambert in una Francia che s'impanca a maestra di convivenza civile è un'ignominia ammantata di un falso umanitarismo che è una vera forma di eugenetica. In nome di una vita dignitosa, all'infermiere francese è stata inflitta una morte vergognosa e crudele sotto stretto controllo medico. In questo, Lambert ha subito la stessa sorte di Charlie Gard e di Alfie Evans, i bambini consegnati alla morte nonostante il ricovero in cliniche di altissima specializzazione. Non è la medicina a condannare un paziente: sono gli uomini. I parlamentari che approvano le leggi, i magistrati chiamati a farle applicare, i medici che prendono decisioni contrarie all'etica, i familiari spesso incapaci di reggere il dramma di una malattia inguaribile e di guardare negli occhi una persona che non si muove ma respira, palpita, vuole vivere e si lamenta. La madre l'ha testimoniato più volte: Vincent gemeva. Perché l'agonia è stata lentissima e dolorosa. E la sedazione cui era stato sottoposto non era nemmeno così profonda in quanto, secondo i medici, un'anestesia più pesante avrebbe potuto provocare attacchi epilettici. L'ultima, atroce beffa per Vincent Lambert.
Stefano Filippi
Esplode la rabbia dei genitori: «È stato un delitto dello Stato»
La vita di Vincent Lambert è finita. Lo hanno annunciato in una lettera ieri mattina i suoi genitori, Pierre e Viviane Lambert. «Vincent è morto ucciso dalla ragion di Stato e da un medico che ha rinunciato al suo giuramento di Ippocrate», ha scritto l'anziana coppia. «È il tempo del lutto e della contemplazione ma è anche il momento della meditazione su questo crimine di Stato». Parole forti che dimostrano, una volta di più, la dignità di una madre e di un padre, che si sono battuti fino in fondo per salvare il proprio figlio. Una dignità che si era vista già da martedì scorso, quando il primario dell'ospedale Chu di Reims, Vincent Sanchez, aveva stabilito la fine dell'idratazione e dell'alimentazione dell'ex infermiere psichiatrico.
Dopo la diffusione della notizia della sua scomparsa, ha preso la parola François Lambert, uno dei nipoti di Vincent, da sempre contrario al mantenimento in vita dello zio. Il giovane ha dichiarato che «dopo tutti questi anni di sofferenza, la sua morte è un sollievo. Non è una cosa triste, rimette in ordine le cose». Il nipote del tetraplegico francese spirato ieri ha auspicato che la vicenda resti privata: «I funerali saranno un momento forte e intimo».
Sul fronte politico, il socialista Alain Claeys - firmatario nel 2006 insieme a Jean Leonetti della legge francese sul fine vita - ha sottolineato che l'assenza di direttive anticipate «ha costituito tutta la tragica storia di Vincent Lambert». Marlene Schiappa - segretaria di Stato per le Pari opportunità - ha dichiarato ai microfoni di Franceinfo che «un'evoluzione della legge non è all'ordine del giorno». Nel frattempo il procuratore capo di Reims, Matthieu Bourrette, ha reso noto di aver aperto un'inchiesta, precisando però di non aver aperto un procedimento a carico del dottor Sanchez, contro il quale i genitori e alcuni membri della famiglia Lambert, hanno presentato una causa lo scorso venerdì.
Tra le reazioni, c'è stata anche quella della Conferenza episcopale francese ha preso posizione. Rispondendo al quotidiano cattolico La Croix, il portavoce Thierry Magnin ha usato parole dure: «Attraverso la strumentalizzazione dello strazio di una famiglia, è stata alimentata solo confusione, perché si è considerato il caso di Vincent Lambert come un caso di fine vita. Invece non era in fin di vita». Sempre in ambito ecclesiastico, la Santa Sede ha preso posizione in tre momenti diversi nella giornata di ieri. Il direttore ad interim della Sala Stampa Vaticana - Alessandro Gisotti - ha sottolineato quanto detto dal Santo Padre su questa vicenda: «Dio è l'unico padrone della vita dall'inizio alla fine naturale ed è nostro dovere custodirla sempre e non cedere alla cultura dello scarto. Abbiamo accolto con dolore la notizia della morte di Vincent Lambert» ha continuato il portavoce vaticano, aggiungendo: «Preghiamo affinché il Signore lo accolga nella sua casa ed esprimiamo vicinanza ai suoi cari e a quanti, fino all'ultimo, si sono impegnati ad assisterlo con amore e dedizione». Nel pomeriggio anche papa Francesco ha fatto sentire la propria voce, per mezzo di un tweet sull'account Pontifex. «Dio Padre accolga tra le sue braccia Vincent Lambert. Non costruiamo una civiltà che elimina le persone la cui vita riteniamo non sia più degna di essere vissuta: ogni vita ha valore, sempre». L'Osservatore Romano ha denunciato come la negazione di cibo e acqua significhi abbandonare la persona vulnerabile «in nome di un inaccettabile giudizio di valore sulla qualità della sua esistenza. La logica dello scarto, che impietosamente si accanisce sui deboli e sugli indifesi, non ha come misura solo la dignità della vita, ma anche la dignità della morte».
Verso la fine del pomeriggio di ieri, la salma di Vincent Lambert ha lasciato l'ospedale di Reims in direzione di Parigi dove sarà sottoposto, nella giornata di oggi, ad una autopsia disposta dal giudice Bourrette.
Matteo Ghisalberti
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Il tetraplegico francese ha cessato di vivere ieri, dopo un'agonia lentissima e dolorosa imposta dall'eugenetica che lo ha privato di cibo e acqua. Nel Paese di Emmanuel Macron per essere soppresso in una struttura medica d'avanguardia basta non essere autosufficiente.La Procura ha aperto un'inchiesta. Il Papa: «Ogni vita ha valore, sempre».Lo speciale contiene due articoliCe l'hanno fatta, Vincent Lambert è morto, è stato fatto morire. Tribunali che amministrano norme nemiche degli uomini e medici che hanno cancellato dalla loro coscienza il giuramento di Ippocrate hanno condannato un uomo a una fine crudele. A nulla sono valsi, quindi, gli sforzi di Jean e Viviane, i suoi genitori, che hanno condotto una battaglia legale per impedire che al figlio fossero interrotte cure e alimentazione. Niente da fare: dal 2 luglio Lambert non era più alimentato e gli erano state sospese le cure. La legge ha consentito che in questi dieci giorni gli venissero solamente bagnate le labbra. A Cristo in croce appoggiarono una spugna imbevuta nel fiele, a Lambert un tampone con qualche goccia d'acqua. In fondo i carnefici francesi sono stati più magnanimi dei centurioni romani.Adesso tutti scrivono che Lambert era un «simbolo della lotta contro l'eutanasia». Sbagliato. Vincent Lambert non è mai stato un simbolo, una rivendicazione, un «caso» da sollevare e agitare davanti all'opinione pubblica. Era un uomo, una persona di 42 anni che 11 anni fa era rimasto coinvolto in un grave incidente stradale ed era costretto su una sedia a rotelle. Come moltissime altre vittime di sciagure, sentiva, pensava e aveva bisogno di aiuto. Dipendeva in tutto dagli altri perché era un paziente cronico. Non era in coma e non era un malato terminale, benché fosse ricoverato in un reparto di cure palliative. Non era sottoposto a nessuna forma di accanimento terapeutico. Non aveva la Sla come Luca Coscioni e Piergiorgio Welby, loro sì trasformati in bandiere pro eutanasia. Non sopravviveva in stato vegetativo permanente come Eluana Englaro. Non era intubato, respirava autonomamente, la notte dormiva e di giorno restava sveglio, reagiva agli stimoli esterni. Non che le persone prima citate meritassero la «morte dolce», sia chiaro. Ma per questo l'abominio che è stato perpetrato contro di lui nell'ospedale di Reims è ancora più orrendo.Nella Francia di Emmanuel Macron, per meritare la morte basta essere un disabile, un povero cristo non autosufficiente, addirittura ricoverato in una struttura medica d'avanguardia, un policlinico universitario dotato di un reparto specialistico sia per la cura di queste infermità sia per le terapie palliative, cioè quelle che ultimamente venivano somministrate a Lambert. Cibo, acqua e gli altri supporti vitali sono considerati terapie. Il paziente, se vuole, può sospenderli. Potrebbe succedere anche in Italia dopo l'approvazione della legge sul biotestamento avvenuta nel 2017, presentata da un deputato del Movimento 5 stelle e votata da un asse trasversale con la sinistra del Pd e di Liberi e uguali riuniti in una maggioranza innaturale con i grillini della scorsa legislatura. Questa vicenda segna una svolta perché contro Vincent Lambert si è scatenato un accanimento senza precedenti. O meglio, un precedente nella storia c'è, ed è quello dei nazisti che nei campi di concentramento trattarono i disabili come le altre minoranze da sterminare in nome della purezza della razza tedesca. «Chi non è sano e degno di corpo e di spirito, non ha diritto di perpetuare le sue sofferenze»: è scritto nel Mein Kampf, autore Adolf Hitler. Accadde così prima ai bambini, poi agli adulti; prima cavie da laboratorio, poi prove generali per l'Olocausto degli ebrei. Dopo violenze e torture, le persone disabili vennero deportate nei campi e uccise nelle camere a gas: i medici tedeschi ritenevano che la morte fosse «subitanea e meno dolorosa». Che gente di cuore. Quali colpe avevano i disabili tedeschi per subire violenze, torture, esperimenti disumani, e finire con una «morte dolce» che fu soltanto l'inizio dell'aberrante genocidio nazista? E quali colpe aveva Vincent Lambert? Quella di essere un disabile, un tetraplegico, un cerebroleso post-traumatico. Di avere gravi problemi motori e neurologici, che imponevano l'obbligo di assisterlo in centri medici con strutture adeguate. Quanti milioni di persone nel mondo vivono nella condizione di non essere autosufficienti, di essere costretti a una dipendenza cronica? Nemmeno l'essere ricoverati in strutture all'avanguardia della medicina e della ricerca è più garanzia di ottenere una cura. La ragion di Stato che ha ucciso Vincent Lambert in una Francia che s'impanca a maestra di convivenza civile è un'ignominia ammantata di un falso umanitarismo che è una vera forma di eugenetica. In nome di una vita dignitosa, all'infermiere francese è stata inflitta una morte vergognosa e crudele sotto stretto controllo medico. In questo, Lambert ha subito la stessa sorte di Charlie Gard e di Alfie Evans, i bambini consegnati alla morte nonostante il ricovero in cliniche di altissima specializzazione. Non è la medicina a condannare un paziente: sono gli uomini. I parlamentari che approvano le leggi, i magistrati chiamati a farle applicare, i medici che prendono decisioni contrarie all'etica, i familiari spesso incapaci di reggere il dramma di una malattia inguaribile e di guardare negli occhi una persona che non si muove ma respira, palpita, vuole vivere e si lamenta. La madre l'ha testimoniato più volte: Vincent gemeva. Perché l'agonia è stata lentissima e dolorosa. E la sedazione cui era stato sottoposto non era nemmeno così profonda in quanto, secondo i medici, un'anestesia più pesante avrebbe potuto provocare attacchi epilettici. L'ultima, atroce beffa per Vincent Lambert.Stefano Filippi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/alla-fine-ce-lhanno-fatta-a-uccidere-lambert-2639165225.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="esplode-la-rabbia-dei-genitori-e-stato-un-delitto-dello-stato" data-post-id="2639165225" data-published-at="1765131599" data-use-pagination="False"> Esplode la rabbia dei genitori: «È stato un delitto dello Stato» La vita di Vincent Lambert è finita. Lo hanno annunciato in una lettera ieri mattina i suoi genitori, Pierre e Viviane Lambert. «Vincent è morto ucciso dalla ragion di Stato e da un medico che ha rinunciato al suo giuramento di Ippocrate», ha scritto l'anziana coppia. «È il tempo del lutto e della contemplazione ma è anche il momento della meditazione su questo crimine di Stato». Parole forti che dimostrano, una volta di più, la dignità di una madre e di un padre, che si sono battuti fino in fondo per salvare il proprio figlio. Una dignità che si era vista già da martedì scorso, quando il primario dell'ospedale Chu di Reims, Vincent Sanchez, aveva stabilito la fine dell'idratazione e dell'alimentazione dell'ex infermiere psichiatrico. Dopo la diffusione della notizia della sua scomparsa, ha preso la parola François Lambert, uno dei nipoti di Vincent, da sempre contrario al mantenimento in vita dello zio. Il giovane ha dichiarato che «dopo tutti questi anni di sofferenza, la sua morte è un sollievo. Non è una cosa triste, rimette in ordine le cose». Il nipote del tetraplegico francese spirato ieri ha auspicato che la vicenda resti privata: «I funerali saranno un momento forte e intimo». Sul fronte politico, il socialista Alain Claeys - firmatario nel 2006 insieme a Jean Leonetti della legge francese sul fine vita - ha sottolineato che l'assenza di direttive anticipate «ha costituito tutta la tragica storia di Vincent Lambert». Marlene Schiappa - segretaria di Stato per le Pari opportunità - ha dichiarato ai microfoni di Franceinfo che «un'evoluzione della legge non è all'ordine del giorno». Nel frattempo il procuratore capo di Reims, Matthieu Bourrette, ha reso noto di aver aperto un'inchiesta, precisando però di non aver aperto un procedimento a carico del dottor Sanchez, contro il quale i genitori e alcuni membri della famiglia Lambert, hanno presentato una causa lo scorso venerdì. Tra le reazioni, c'è stata anche quella della Conferenza episcopale francese ha preso posizione. Rispondendo al quotidiano cattolico La Croix, il portavoce Thierry Magnin ha usato parole dure: «Attraverso la strumentalizzazione dello strazio di una famiglia, è stata alimentata solo confusione, perché si è considerato il caso di Vincent Lambert come un caso di fine vita. Invece non era in fin di vita». Sempre in ambito ecclesiastico, la Santa Sede ha preso posizione in tre momenti diversi nella giornata di ieri. Il direttore ad interim della Sala Stampa Vaticana - Alessandro Gisotti - ha sottolineato quanto detto dal Santo Padre su questa vicenda: «Dio è l'unico padrone della vita dall'inizio alla fine naturale ed è nostro dovere custodirla sempre e non cedere alla cultura dello scarto. Abbiamo accolto con dolore la notizia della morte di Vincent Lambert» ha continuato il portavoce vaticano, aggiungendo: «Preghiamo affinché il Signore lo accolga nella sua casa ed esprimiamo vicinanza ai suoi cari e a quanti, fino all'ultimo, si sono impegnati ad assisterlo con amore e dedizione». Nel pomeriggio anche papa Francesco ha fatto sentire la propria voce, per mezzo di un tweet sull'account Pontifex. «Dio Padre accolga tra le sue braccia Vincent Lambert. Non costruiamo una civiltà che elimina le persone la cui vita riteniamo non sia più degna di essere vissuta: ogni vita ha valore, sempre». L'Osservatore Romano ha denunciato come la negazione di cibo e acqua significhi abbandonare la persona vulnerabile «in nome di un inaccettabile giudizio di valore sulla qualità della sua esistenza. La logica dello scarto, che impietosamente si accanisce sui deboli e sugli indifesi, non ha come misura solo la dignità della vita, ma anche la dignità della morte». Verso la fine del pomeriggio di ieri, la salma di Vincent Lambert ha lasciato l'ospedale di Reims in direzione di Parigi dove sarà sottoposto, nella giornata di oggi, ad una autopsia disposta dal giudice Bourrette. Matteo Ghisalberti
Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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Kennedy Jr (Ansa)
D’ora in avanti, le donne che risultano negative al test per l’epatite B potranno decidere, consultando il proprio medico, se vaccinare o no alla nascita il proprio bambino. I membri che hanno votato a favore delle nuove raccomandazioni hanno sostenuto che il rischio di contrarre il virus è basso, e che i vaccini dovrebbero essere personalizzati.
Il gruppo di lavoro dell’Acip, rinnovato dallo scorso giugno dal segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. ha suggerito di attendere almeno i 2 mesi di età per la prima dose. La vaccinazione continuerà a essere somministrata ai neonati di madri che risultano positive, o il cui stato di salute è sconosciuto. Il direttore facente funzioni dei Cdc, Jim O’Neill, ora dovrà decidere se adottare o meno queste raccomandazioni.
La commissione ha inoltre votato a favore della consultazione dei genitori con gli operatori sanitari, per sottoporre i figli a test sulla ricerca degli anticorpi contro l’epatite B prima di decidere se sia necessario somministrare altre dosi del vaccino. Attualmente, dopo la prima i bambini ricevono la seconda a 1-2 mesi di età e la terza tra i 6 e i 18 mesi.
Kennedy ha già limitato l’accesso ai vaccini contro il Covid-19 e raccomandato che i neonati vengano vaccinati separatamente contro la varicella. Susan Kressly, presidente dell’American academy of pediatrics, ha affermato che il cambiamento apportato dall’Acip renderà i bambini americani meno sicuri. «Esorto i genitori a parlare con il pediatra e a vaccinarsi contro l’epatite B alla nascita, indipendentemente dallo stato di salute della madre», è stato il suo appello.
Il presidente Donald Trump, invece, ha commentato soddisfatto l’esito della votazione. Con un post su Truth, venerdì sera aveva definito «un’ottima decisione porre fine alla raccomandazione sul vaccino contro l’epatite B per i neonati, la stragrande maggioranza dei quali non corre alcun rischio di contrarre una malattia che si trasmette principalmente per via sessuale o tramite aghi infetti. Il calendario vaccinale infantile americano richiedeva da tempo 72 “iniezioni” per bambini perfettamente sani, molto più di qualsiasi altro Paese al mondo e molto più del necessario. In effetti, è ridicolo! Molti genitori e scienziati hanno messo in dubbio, così come me, l’efficacia di questo “programma”».
Trump ha poi annunciato di avere appena firmato «un memorandum presidenziale che ordina al dipartimento della Salute e dei Servizi Umani di “accelerare” una valutazione completa dei calendari vaccinali di altri Paesi del mondo e di allineare meglio quello statunitense, in modo che sia finalmente radicato nel Gold Standard della scienza e del buon senso», ha concluso il presidente.
Prima del voto, questa settimana dodici ex dirigenti della Fda avevano contestato sul The New England journal of medicine la proposta di revisione delle approvazioni dei vaccini da parte dell’agenzia, sostenendo che i cambiamenti minacciano gli standard basati sulle prove, indeboliscono le pratiche di immunobridging (strategia scientifica e normativa che confronta i marcatori della risposta immunitaria indotti da un vaccino in diverse situazioni per stimare l’efficacia del vaccino) e rischiano di erodere la fiducia del pubblico.
A proposito della nota interna di Vinay Prasad, direttore della divisione vaccini della Food and drug administration (Fda), che dieci giorni ha sostenuto che «non meno di 10» dei 96 decessi infantili segnalati tra il 2021 e il 2024 al Vaers, il sistema federale di segnalazione degli eventi avversi da vaccino, erano «correlati» alle somministrazioni di dosi contro il Covid, i dodici si affannano a criticarla. «Prove sostanziali dimostrano che la vaccinazione può ridurre il rischio di malattie gravi e di ospedalizzazione in molti bambini e adolescenti», dichiarano. Dati che non risultano confermati da nessuno studio o revisione paritaria.
Sul continuo attacco alle scelte operate nel campo delle vaccinazioni dalla nuova amministrazione americana interviene il professor Francesco Cetta, ordinario di Chirurgia e docente di Intelligenza artificiale umanizzata presso lo Iassp (Istituto di alti studi strategici e politici). «Trump non è contro la scienza, come urla ad alta voce la sinistra nostrana», commenta. «Al contrario, pragmaticamente, per i problemi che non conosce, ha insediato nuove commissioni indipendenti di esperti, in grado di acclarare in tempi brevi, per quanto possibile, la verità su due argomenti particolarmente sensibili come le vaccinazioni e gli effetti dei cambiamenti climatici. E su che cosa si può fare in concreto per controllarli. Con quali costi e benefici per la comunità».
Il professore aggiunge: «Bisogna evitare le terapie a tappeto, indistintamente uguali per tutti, ma adattare ad ogni malato il suo trattamento come un “abito su misura”. In particolare, per alcune categorie come i bambini e le donne in gravidanza, bisogna valutare con attenzione vantaggi e svantaggi della somministrazione di ogni farmaco, incluso i vaccini, che determinano una perturbazione delle difese immunitarie individuali».
Considerazioni che dovrebbero essere fatte anche dal nostro ministero della Salute e dalle varie associazioni mediche che non ammettono revisioni dei metodi vaccinali.
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Giorgia Meloni (Imagoeconomica)
L’attuale governo sta mostrando la consapevolezza di dover sostenere, con una politica estera molto attiva sul piano globale, il modello economico italiano basato sull’export che è messo a rischio - gestibile, ma comunque problematico per parecchi settori sul piano dei margini finanziari - dai dazi statunitensi, dalla crisi autoinflitta per irrealismo ambientalista ed eccessi burocratici dell’Ue, dai costi eccessivi dell’energia e, in generale, dal cambio di mondo in atto senza dimenticare la crisi demografica. Vedremo dopo le soluzioni interne, ma qui va sottolineato che l’Italia non può trasformare il proprio modello economico dipendente dall’export senza perdere ricchezza. La consapevolezza di questo punto è provata dalla riforma del ministero degli Esteri: accanto alla Direzione politica, verrà creata nel prossimo gennaio una Direzione economica con la missione di sostenere l’internazionalizzazione e l’export delle imprese italiane in tutto il mondo. Non è una novità totale, ma mostra una concentrazione di risorse e capacità geoeconomiche e geopolitiche finalmente adeguate alla missione di un’Italia globale, per inciso titolo del mio libro pubblicato nell’autunno 2023 (Rubbettino editore). Con quale meccanismo di moltiplicazione del potere negoziale italiano? Tradizionalmente, via la duplice convergenza con Ue e Stati Uniti pur sempre più complicata, ma con più autonomia per siglare partenariati bilaterali strategici di cooperazione economica-industriale (i trattati doganali sono competenza dell’Ue, condizione necessaria per un mercato unico europeo essenziale per l’Italia) a livello mondiale.
E con un metodo al momento solo italiano: partenariati bilaterali con reciproco vantaggio, cioè non asimmetrici. Con priorità l’Africa (al momento, 14 nazioni) ed il progetto di «Via del cotone» (Imec) tra Indo-Pacifico, Mediterraneo ed Atlantico settentrionale via penisola arabica. La nuova (in realtà vecchia perché elaborata dal Partito repubblicano nel 2000) dottrina di sicurezza nazionale statunitense è di ostacolo ad un Italia globale? No, perché, pur essendo divergente con l’Ue, non lo è con le singole nazioni europee, con qualche eccezione. Soprattutto, le chiama a un maggiore attivismo per la loro sicurezza, lasciando di fatto in cambio spazio geopolitico. Come potrà Roma usarlo? Aumentando i suoi bilaterali strategici e approfondendoli con Giappone, India, nazioni arabe sunnite, Asia centrale (rilevante l’accordo con la Mongolia se riuscisse) ecc. Quale nuovo sforzo? Necessariamente integrare una politica mercantilista con i requisiti di schieramento geopolitico. E con un riarmo non solo concentrato contro la minaccia russa, ma mirato a novità tecnologiche utili per scambiare strumenti di sicurezza con partner compatibili. Ovviamente è oggetto di studio, ma l’Italia ha il potenziale per farlo via progetti condivisi con America, europei e giapponesi nonché capacità proprie. Considerazione che ci porta a valutare la modernizzazione interna dell’Italia perché c’è una relazione stretta tra potenziale esterno e interno.
Obiettivi interni
La priorità è ridurre il costo del debito pubblico per aumentare lo spazio di bilancio utile per investimenti e detassazione stimolativi. Ciò implica la sostituzione del Pnrr, che finirà nel 2026, con un programma nazionale stimolativo (non condizionato dall’esterno) di dedebitazione: valorizzare e cedere dai 250 a 150 miliardi di patrimonio statale disponibile, forse di più (sui 600-700 teorici) in 15 anni. Se ben strutturata, tale operazione «patrimonio pubblico contro debito» potrà dare benefici anticipativi via aumento del voto di affidabilità del debito italiano riducendone il costo di servizio che oggi è di 80-90 miliardi anno. Già tale costo è stato un po’ ridotto dal giusto rigore della politica di bilancio per il 2026. Con il nuovo programma qui ipotizzato, da avviare nel 2027 per sua complessità, lo sarà molto di più dando all’Italia più risorse per spesa sociale, di investimenti competitivi e minori tasse.
Stimo dai 10 ai 18 miliardi anno di risparmio sul costo del debito e un aumento di investimenti esteri in Italia perché con voto di affidabilità (rating) crescente. Senza tale programma, l’Italia sarebbe condizionabile dalla concorrenza intraeuropea e senza i soldi sufficienti per la politica globale detta sopra. Ci sono tante altre priorità tecniche sia per invertire più decisamente il lento declino economico dell’Italia, causato da governi di sinistra e/o dissipativi, sia per rendere più globalmente competitiva l’economia italiana. Ma sono fattibili via un nuovo clima di cultura politica che crei fiducia ed ottimismo sul potenziale globale dell’Italia. Come? Più ordine interno, investimenti sulla qualificazione cognitiva di massa, sulla rivoluzione tecnologica, in sintesi su un’Italia futurizzante. L’obiettivo è attrarre più capitale e competenze dall’estero, comunicando credibilmente al mondo che l’Italia è terra di libertà, sicurezza, opportunità e progresso. Non può farlo solo la politica, ma ci vuole il contributo dei privati entro un concetto di «nazione attiva», aperta al mondo e non chiusa. Ritroviamo il vento, gli oceani.
www.carlopelanda.com
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Lando Norris (Getty Images)
Nell’ultimo GP stagionale di Abu Dhabi, Lando Norris si laurea campione del mondo per la prima volta grazie al terzo posto sul circuito di Yas Marina. Nonostante la vittoria in gara, Max Verstappen non riesce a difendere il titolo, interrompendo il suo ciclo di quattro mondiali consecutivi.
Lando Norris è campione del mondo. Dopo quattro anni di dominio incontrastato di Max Verstappen, il pilota britannico centra il titolo iridato al termine di una stagione in cui ha saputo coniugare costanza, precisione e lucidità nei momenti decisivi. La vittoria ad Abu Dhabi, conquistata con una gara solida e senza errori, suggella un percorso iniziato con un Mondiale che sembrava già scritto a favore dell’olandese.
La stagione ha visto Norris prendere il comando delle operazioni già nelle prime gare, approfittando di alcuni passaggi a vuoto di Verstappen e di una gestione impeccabile del suo team. Il britannico ha messo in mostra una costanza rara, evitando rischi inutili e capitalizzando ogni occasione: punti preziosi accumulati gara dopo gara che hanno costruito un vantaggio psicologico e tecnico difficile da colmare per chiunque, ma non per Verstappen, che nelle ultime gare ha tentato il tutto per tutto per costruirsi una chance di rimonta. Una rimonta sfumata per appena due punti, visto che il pilota della McLaren ha chiuso il Mondiale a quota 423 punti, davanti ai 421 del rivale della RedBull e che se avessero chiuso a pari punti il titolo sarebbe andato a Verstappen in virtù del numero di gran premi vinti in stagione: otto contro i sette di Norris. Inevitabile per l'olandese non pensare alla gara della scorsa settimana in Qatar, dove Norris ha recuperato proprio due punti sfruttando un errore di Kimi Antonelli all'inizio dell'ultimo giro.
La gara di Abu Dhabi ha rappresentato la sintesi perfetta della stagione di Norris: partenza accorta, gestione dei pit stop e mantenimento della concentrazione fino alla bandiera a scacchi. L’olandese, pur vincendo la corsa, non è riuscito a recuperare il distacco, confermando che i quattro anni di dominio sono stati interrotti da un talento giovane e capace di gestire la pressione del momento clou.
Alle spalle dei due contendenti, la stagione è stata amara per Ferrari e altri protagonisti attesi al vertice. Charles Leclerc e Lewis Hamilton non hanno mai realmente impensierito i leader della classifica, incapaci di inserirsi nella lotta per il titolo o di ottenere risultati significativi in gran parte del campionato. Una conferma, se ce ne fosse bisogno, delle difficoltà del Cavallino Rosso nel trovare una combinazione di macchina e strategia competitiva.
Il Mondiale 2025 si chiude quindi con un volto nuovo sul gradino più alto del podio e con alcune conferme sullo stato della Formula 1: Norris dimostra che la gestione mentale, l’attenzione ai dettagli e la capacità di evitare errori critici contano quanto la velocità pura. Verstappen, pur da vincitore di tante gare, dovrà riflettere sulle occasioni perdute, mentre la Ferrari è chiamata a ripensare, ancora una volta, strategie e sviluppo per la stagione successiva.
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