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2019-07-12
Alla fine ce l’hanno fatta a uccidere Lambert
Ansa
Ce l'hanno fatta, Vincent Lambert è morto, è stato fatto morire. Tribunali che amministrano norme nemiche degli uomini e medici che hanno cancellato dalla loro coscienza il giuramento di Ippocrate hanno condannato un uomo a una fine crudele. A nulla sono valsi, quindi, gli sforzi di Jean e Viviane, i suoi genitori, che hanno condotto una battaglia legale per impedire che al figlio fossero interrotte cure e alimentazione. Niente da fare: dal 2 luglio Lambert non era più alimentato e gli erano state sospese le cure. La legge ha consentito che in questi dieci giorni gli venissero solamente bagnate le labbra. A Cristo in croce appoggiarono una spugna imbevuta nel fiele, a Lambert un tampone con qualche goccia d'acqua. In fondo i carnefici francesi sono stati più magnanimi dei centurioni romani.
Adesso tutti scrivono che Lambert era un «simbolo della lotta contro l'eutanasia». Sbagliato. Vincent Lambert non è mai stato un simbolo, una rivendicazione, un «caso» da sollevare e agitare davanti all'opinione pubblica. Era un uomo, una persona di 42 anni che 11 anni fa era rimasto coinvolto in un grave incidente stradale ed era costretto su una sedia a rotelle. Come moltissime altre vittime di sciagure, sentiva, pensava e aveva bisogno di aiuto. Dipendeva in tutto dagli altri perché era un paziente cronico. Non era in coma e non era un malato terminale, benché fosse ricoverato in un reparto di cure palliative. Non era sottoposto a nessuna forma di accanimento terapeutico. Non aveva la Sla come Luca Coscioni e Piergiorgio Welby, loro sì trasformati in bandiere pro eutanasia. Non sopravviveva in stato vegetativo permanente come Eluana Englaro. Non era intubato, respirava autonomamente, la notte dormiva e di giorno restava sveglio, reagiva agli stimoli esterni. Non che le persone prima citate meritassero la «morte dolce», sia chiaro. Ma per questo l'abominio che è stato perpetrato contro di lui nell'ospedale di Reims è ancora più orrendo.
Nella Francia di Emmanuel Macron, per meritare la morte basta essere un disabile, un povero cristo non autosufficiente, addirittura ricoverato in una struttura medica d'avanguardia, un policlinico universitario dotato di un reparto specialistico sia per la cura di queste infermità sia per le terapie palliative, cioè quelle che ultimamente venivano somministrate a Lambert. Cibo, acqua e gli altri supporti vitali sono considerati terapie. Il paziente, se vuole, può sospenderli. Potrebbe succedere anche in Italia dopo l'approvazione della legge sul biotestamento avvenuta nel 2017, presentata da un deputato del Movimento 5 stelle e votata da un asse trasversale con la sinistra del Pd e di Liberi e uguali riuniti in una maggioranza innaturale con i grillini della scorsa legislatura.
Questa vicenda segna una svolta perché contro Vincent Lambert si è scatenato un accanimento senza precedenti. O meglio, un precedente nella storia c'è, ed è quello dei nazisti che nei campi di concentramento trattarono i disabili come le altre minoranze da sterminare in nome della purezza della razza tedesca. «Chi non è sano e degno di corpo e di spirito, non ha diritto di perpetuare le sue sofferenze»: è scritto nel Mein Kampf, autore Adolf Hitler. Accadde così prima ai bambini, poi agli adulti; prima cavie da laboratorio, poi prove generali per l'Olocausto degli ebrei. Dopo violenze e torture, le persone disabili vennero deportate nei campi e uccise nelle camere a gas: i medici tedeschi ritenevano che la morte fosse «subitanea e meno dolorosa». Che gente di cuore.
Quali colpe avevano i disabili tedeschi per subire violenze, torture, esperimenti disumani, e finire con una «morte dolce» che fu soltanto l'inizio dell'aberrante genocidio nazista? E quali colpe aveva Vincent Lambert? Quella di essere un disabile, un tetraplegico, un cerebroleso post-traumatico. Di avere gravi problemi motori e neurologici, che imponevano l'obbligo di assisterlo in centri medici con strutture adeguate. Quanti milioni di persone nel mondo vivono nella condizione di non essere autosufficienti, di essere costretti a una dipendenza cronica? Nemmeno l'essere ricoverati in strutture all'avanguardia della medicina e della ricerca è più garanzia di ottenere una cura.
La ragion di Stato che ha ucciso Vincent Lambert in una Francia che s'impanca a maestra di convivenza civile è un'ignominia ammantata di un falso umanitarismo che è una vera forma di eugenetica. In nome di una vita dignitosa, all'infermiere francese è stata inflitta una morte vergognosa e crudele sotto stretto controllo medico. In questo, Lambert ha subito la stessa sorte di Charlie Gard e di Alfie Evans, i bambini consegnati alla morte nonostante il ricovero in cliniche di altissima specializzazione. Non è la medicina a condannare un paziente: sono gli uomini. I parlamentari che approvano le leggi, i magistrati chiamati a farle applicare, i medici che prendono decisioni contrarie all'etica, i familiari spesso incapaci di reggere il dramma di una malattia inguaribile e di guardare negli occhi una persona che non si muove ma respira, palpita, vuole vivere e si lamenta. La madre l'ha testimoniato più volte: Vincent gemeva. Perché l'agonia è stata lentissima e dolorosa. E la sedazione cui era stato sottoposto non era nemmeno così profonda in quanto, secondo i medici, un'anestesia più pesante avrebbe potuto provocare attacchi epilettici. L'ultima, atroce beffa per Vincent Lambert.
Stefano Filippi
Esplode la rabbia dei genitori: «È stato un delitto dello Stato»
La vita di Vincent Lambert è finita. Lo hanno annunciato in una lettera ieri mattina i suoi genitori, Pierre e Viviane Lambert. «Vincent è morto ucciso dalla ragion di Stato e da un medico che ha rinunciato al suo giuramento di Ippocrate», ha scritto l'anziana coppia. «È il tempo del lutto e della contemplazione ma è anche il momento della meditazione su questo crimine di Stato». Parole forti che dimostrano, una volta di più, la dignità di una madre e di un padre, che si sono battuti fino in fondo per salvare il proprio figlio. Una dignità che si era vista già da martedì scorso, quando il primario dell'ospedale Chu di Reims, Vincent Sanchez, aveva stabilito la fine dell'idratazione e dell'alimentazione dell'ex infermiere psichiatrico.
Dopo la diffusione della notizia della sua scomparsa, ha preso la parola François Lambert, uno dei nipoti di Vincent, da sempre contrario al mantenimento in vita dello zio. Il giovane ha dichiarato che «dopo tutti questi anni di sofferenza, la sua morte è un sollievo. Non è una cosa triste, rimette in ordine le cose». Il nipote del tetraplegico francese spirato ieri ha auspicato che la vicenda resti privata: «I funerali saranno un momento forte e intimo».
Sul fronte politico, il socialista Alain Claeys - firmatario nel 2006 insieme a Jean Leonetti della legge francese sul fine vita - ha sottolineato che l'assenza di direttive anticipate «ha costituito tutta la tragica storia di Vincent Lambert». Marlene Schiappa - segretaria di Stato per le Pari opportunità - ha dichiarato ai microfoni di Franceinfo che «un'evoluzione della legge non è all'ordine del giorno». Nel frattempo il procuratore capo di Reims, Matthieu Bourrette, ha reso noto di aver aperto un'inchiesta, precisando però di non aver aperto un procedimento a carico del dottor Sanchez, contro il quale i genitori e alcuni membri della famiglia Lambert, hanno presentato una causa lo scorso venerdì.
Tra le reazioni, c'è stata anche quella della Conferenza episcopale francese ha preso posizione. Rispondendo al quotidiano cattolico La Croix, il portavoce Thierry Magnin ha usato parole dure: «Attraverso la strumentalizzazione dello strazio di una famiglia, è stata alimentata solo confusione, perché si è considerato il caso di Vincent Lambert come un caso di fine vita. Invece non era in fin di vita». Sempre in ambito ecclesiastico, la Santa Sede ha preso posizione in tre momenti diversi nella giornata di ieri. Il direttore ad interim della Sala Stampa Vaticana - Alessandro Gisotti - ha sottolineato quanto detto dal Santo Padre su questa vicenda: «Dio è l'unico padrone della vita dall'inizio alla fine naturale ed è nostro dovere custodirla sempre e non cedere alla cultura dello scarto. Abbiamo accolto con dolore la notizia della morte di Vincent Lambert» ha continuato il portavoce vaticano, aggiungendo: «Preghiamo affinché il Signore lo accolga nella sua casa ed esprimiamo vicinanza ai suoi cari e a quanti, fino all'ultimo, si sono impegnati ad assisterlo con amore e dedizione». Nel pomeriggio anche papa Francesco ha fatto sentire la propria voce, per mezzo di un tweet sull'account Pontifex. «Dio Padre accolga tra le sue braccia Vincent Lambert. Non costruiamo una civiltà che elimina le persone la cui vita riteniamo non sia più degna di essere vissuta: ogni vita ha valore, sempre». L'Osservatore Romano ha denunciato come la negazione di cibo e acqua significhi abbandonare la persona vulnerabile «in nome di un inaccettabile giudizio di valore sulla qualità della sua esistenza. La logica dello scarto, che impietosamente si accanisce sui deboli e sugli indifesi, non ha come misura solo la dignità della vita, ma anche la dignità della morte».
Verso la fine del pomeriggio di ieri, la salma di Vincent Lambert ha lasciato l'ospedale di Reims in direzione di Parigi dove sarà sottoposto, nella giornata di oggi, ad una autopsia disposta dal giudice Bourrette.
Matteo Ghisalberti
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Riduci
Il tetraplegico francese ha cessato di vivere ieri, dopo un'agonia lentissima e dolorosa imposta dall'eugenetica che lo ha privato di cibo e acqua. Nel Paese di Emmanuel Macron per essere soppresso in una struttura medica d'avanguardia basta non essere autosufficiente.La Procura ha aperto un'inchiesta. Il Papa: «Ogni vita ha valore, sempre».Lo speciale contiene due articoliCe l'hanno fatta, Vincent Lambert è morto, è stato fatto morire. Tribunali che amministrano norme nemiche degli uomini e medici che hanno cancellato dalla loro coscienza il giuramento di Ippocrate hanno condannato un uomo a una fine crudele. A nulla sono valsi, quindi, gli sforzi di Jean e Viviane, i suoi genitori, che hanno condotto una battaglia legale per impedire che al figlio fossero interrotte cure e alimentazione. Niente da fare: dal 2 luglio Lambert non era più alimentato e gli erano state sospese le cure. La legge ha consentito che in questi dieci giorni gli venissero solamente bagnate le labbra. A Cristo in croce appoggiarono una spugna imbevuta nel fiele, a Lambert un tampone con qualche goccia d'acqua. In fondo i carnefici francesi sono stati più magnanimi dei centurioni romani.Adesso tutti scrivono che Lambert era un «simbolo della lotta contro l'eutanasia». Sbagliato. Vincent Lambert non è mai stato un simbolo, una rivendicazione, un «caso» da sollevare e agitare davanti all'opinione pubblica. Era un uomo, una persona di 42 anni che 11 anni fa era rimasto coinvolto in un grave incidente stradale ed era costretto su una sedia a rotelle. Come moltissime altre vittime di sciagure, sentiva, pensava e aveva bisogno di aiuto. Dipendeva in tutto dagli altri perché era un paziente cronico. Non era in coma e non era un malato terminale, benché fosse ricoverato in un reparto di cure palliative. Non era sottoposto a nessuna forma di accanimento terapeutico. Non aveva la Sla come Luca Coscioni e Piergiorgio Welby, loro sì trasformati in bandiere pro eutanasia. Non sopravviveva in stato vegetativo permanente come Eluana Englaro. Non era intubato, respirava autonomamente, la notte dormiva e di giorno restava sveglio, reagiva agli stimoli esterni. Non che le persone prima citate meritassero la «morte dolce», sia chiaro. Ma per questo l'abominio che è stato perpetrato contro di lui nell'ospedale di Reims è ancora più orrendo.Nella Francia di Emmanuel Macron, per meritare la morte basta essere un disabile, un povero cristo non autosufficiente, addirittura ricoverato in una struttura medica d'avanguardia, un policlinico universitario dotato di un reparto specialistico sia per la cura di queste infermità sia per le terapie palliative, cioè quelle che ultimamente venivano somministrate a Lambert. Cibo, acqua e gli altri supporti vitali sono considerati terapie. Il paziente, se vuole, può sospenderli. Potrebbe succedere anche in Italia dopo l'approvazione della legge sul biotestamento avvenuta nel 2017, presentata da un deputato del Movimento 5 stelle e votata da un asse trasversale con la sinistra del Pd e di Liberi e uguali riuniti in una maggioranza innaturale con i grillini della scorsa legislatura. Questa vicenda segna una svolta perché contro Vincent Lambert si è scatenato un accanimento senza precedenti. O meglio, un precedente nella storia c'è, ed è quello dei nazisti che nei campi di concentramento trattarono i disabili come le altre minoranze da sterminare in nome della purezza della razza tedesca. «Chi non è sano e degno di corpo e di spirito, non ha diritto di perpetuare le sue sofferenze»: è scritto nel Mein Kampf, autore Adolf Hitler. Accadde così prima ai bambini, poi agli adulti; prima cavie da laboratorio, poi prove generali per l'Olocausto degli ebrei. Dopo violenze e torture, le persone disabili vennero deportate nei campi e uccise nelle camere a gas: i medici tedeschi ritenevano che la morte fosse «subitanea e meno dolorosa». Che gente di cuore. Quali colpe avevano i disabili tedeschi per subire violenze, torture, esperimenti disumani, e finire con una «morte dolce» che fu soltanto l'inizio dell'aberrante genocidio nazista? E quali colpe aveva Vincent Lambert? Quella di essere un disabile, un tetraplegico, un cerebroleso post-traumatico. Di avere gravi problemi motori e neurologici, che imponevano l'obbligo di assisterlo in centri medici con strutture adeguate. Quanti milioni di persone nel mondo vivono nella condizione di non essere autosufficienti, di essere costretti a una dipendenza cronica? Nemmeno l'essere ricoverati in strutture all'avanguardia della medicina e della ricerca è più garanzia di ottenere una cura. La ragion di Stato che ha ucciso Vincent Lambert in una Francia che s'impanca a maestra di convivenza civile è un'ignominia ammantata di un falso umanitarismo che è una vera forma di eugenetica. In nome di una vita dignitosa, all'infermiere francese è stata inflitta una morte vergognosa e crudele sotto stretto controllo medico. In questo, Lambert ha subito la stessa sorte di Charlie Gard e di Alfie Evans, i bambini consegnati alla morte nonostante il ricovero in cliniche di altissima specializzazione. Non è la medicina a condannare un paziente: sono gli uomini. I parlamentari che approvano le leggi, i magistrati chiamati a farle applicare, i medici che prendono decisioni contrarie all'etica, i familiari spesso incapaci di reggere il dramma di una malattia inguaribile e di guardare negli occhi una persona che non si muove ma respira, palpita, vuole vivere e si lamenta. La madre l'ha testimoniato più volte: Vincent gemeva. Perché l'agonia è stata lentissima e dolorosa. E la sedazione cui era stato sottoposto non era nemmeno così profonda in quanto, secondo i medici, un'anestesia più pesante avrebbe potuto provocare attacchi epilettici. L'ultima, atroce beffa per Vincent Lambert.Stefano Filippi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/alla-fine-ce-lhanno-fatta-a-uccidere-lambert-2639165225.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="esplode-la-rabbia-dei-genitori-e-stato-un-delitto-dello-stato" data-post-id="2639165225" data-published-at="1765489712" data-use-pagination="False"> Esplode la rabbia dei genitori: «È stato un delitto dello Stato» La vita di Vincent Lambert è finita. Lo hanno annunciato in una lettera ieri mattina i suoi genitori, Pierre e Viviane Lambert. «Vincent è morto ucciso dalla ragion di Stato e da un medico che ha rinunciato al suo giuramento di Ippocrate», ha scritto l'anziana coppia. «È il tempo del lutto e della contemplazione ma è anche il momento della meditazione su questo crimine di Stato». Parole forti che dimostrano, una volta di più, la dignità di una madre e di un padre, che si sono battuti fino in fondo per salvare il proprio figlio. Una dignità che si era vista già da martedì scorso, quando il primario dell'ospedale Chu di Reims, Vincent Sanchez, aveva stabilito la fine dell'idratazione e dell'alimentazione dell'ex infermiere psichiatrico. Dopo la diffusione della notizia della sua scomparsa, ha preso la parola François Lambert, uno dei nipoti di Vincent, da sempre contrario al mantenimento in vita dello zio. Il giovane ha dichiarato che «dopo tutti questi anni di sofferenza, la sua morte è un sollievo. Non è una cosa triste, rimette in ordine le cose». Il nipote del tetraplegico francese spirato ieri ha auspicato che la vicenda resti privata: «I funerali saranno un momento forte e intimo». Sul fronte politico, il socialista Alain Claeys - firmatario nel 2006 insieme a Jean Leonetti della legge francese sul fine vita - ha sottolineato che l'assenza di direttive anticipate «ha costituito tutta la tragica storia di Vincent Lambert». Marlene Schiappa - segretaria di Stato per le Pari opportunità - ha dichiarato ai microfoni di Franceinfo che «un'evoluzione della legge non è all'ordine del giorno». Nel frattempo il procuratore capo di Reims, Matthieu Bourrette, ha reso noto di aver aperto un'inchiesta, precisando però di non aver aperto un procedimento a carico del dottor Sanchez, contro il quale i genitori e alcuni membri della famiglia Lambert, hanno presentato una causa lo scorso venerdì. Tra le reazioni, c'è stata anche quella della Conferenza episcopale francese ha preso posizione. Rispondendo al quotidiano cattolico La Croix, il portavoce Thierry Magnin ha usato parole dure: «Attraverso la strumentalizzazione dello strazio di una famiglia, è stata alimentata solo confusione, perché si è considerato il caso di Vincent Lambert come un caso di fine vita. Invece non era in fin di vita». Sempre in ambito ecclesiastico, la Santa Sede ha preso posizione in tre momenti diversi nella giornata di ieri. Il direttore ad interim della Sala Stampa Vaticana - Alessandro Gisotti - ha sottolineato quanto detto dal Santo Padre su questa vicenda: «Dio è l'unico padrone della vita dall'inizio alla fine naturale ed è nostro dovere custodirla sempre e non cedere alla cultura dello scarto. Abbiamo accolto con dolore la notizia della morte di Vincent Lambert» ha continuato il portavoce vaticano, aggiungendo: «Preghiamo affinché il Signore lo accolga nella sua casa ed esprimiamo vicinanza ai suoi cari e a quanti, fino all'ultimo, si sono impegnati ad assisterlo con amore e dedizione». Nel pomeriggio anche papa Francesco ha fatto sentire la propria voce, per mezzo di un tweet sull'account Pontifex. «Dio Padre accolga tra le sue braccia Vincent Lambert. Non costruiamo una civiltà che elimina le persone la cui vita riteniamo non sia più degna di essere vissuta: ogni vita ha valore, sempre». L'Osservatore Romano ha denunciato come la negazione di cibo e acqua significhi abbandonare la persona vulnerabile «in nome di un inaccettabile giudizio di valore sulla qualità della sua esistenza. La logica dello scarto, che impietosamente si accanisce sui deboli e sugli indifesi, non ha come misura solo la dignità della vita, ma anche la dignità della morte». Verso la fine del pomeriggio di ieri, la salma di Vincent Lambert ha lasciato l'ospedale di Reims in direzione di Parigi dove sarà sottoposto, nella giornata di oggi, ad una autopsia disposta dal giudice Bourrette. Matteo Ghisalberti
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Riduci
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Riduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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