
Gli organizzatori della corsa di Trieste, linciati per non aver invitato corridori africani sottopagati, hanno dovuto fare retromarcia. A Lucca provano a tenere duro: «Basta mercimoni sulla pelle degli atleti». Ma i dem s'intromettono: «Non si deve discriminare».Per affrontare una maratona è necessaria parecchia resistenza, e purtroppo gli organizzatori del Trieste running festival, dopo un focoso sprint iniziale, si sono bruciati. Nei giorni scorsi avevano annunciato un'iniziativa sacrosanta: niente inviti a pagamento ai corridori africani sfruttati dai manager. Solo che il Friuli Venezia Giulia è una regione a guida leghista, e l'attuale psicosi antirazzista prevede che - appena uno tira in ballo gli africani - piovano accuse di discriminazione e intolleranza. Già: chi voleva difendere gli atleti sottopagati e sfruttati è stato trattato da pericoloso fanatico sostenitore dell'apartheid. Morale: gli organizzatori triestini hanno dovuto chinare il capo: «Dopo avere lanciato una provocazione che ha colto nel segno, richiamando grande attenzione su un tema etico fondamentale, contrariamente a quanto comunicato ieri, inviteremo anche atleti africani», ha detto il patron del Festival, Fabio Carini. Va capito: la sinistra italiana compatta lo ha linciato a mezzo stampa, e persino il Movimento 5 stelle ha dato una mano. È intervenuta la Federazione italiana di atletica leggera, c'è stato persino chi si è inventato interrogazioni parlamentari. Una bella maratona di stupidità, insomma, che ha ottenuto gli effetti sperati: a Trieste i «top runner» africani ci saranno, se poi verranno sottopagati peggio per loro. Nel frattempo, però, un altro caso analogo è esploso in Toscana. Stiamo parlando della Lucca Half Marathon, che si terrà il 5 maggio. Anche in questo caso gli organizzatori hanno deciso di non invitare i corridori a pagamento del Continente nero. Moreno Pagnini, presidente della manifestazione sportiva, al Tirreno ha rilasciato dichiarazioni battagliere: «Macché razzismo gli africani non sono esclusi, nessuno impedisce loro di iscriversi, ma non saremo noi ad invitarli. Ma lo sapete quanto finisce in tasca a uno di questi ragazzi, lo sanno i politici che strumentalizzano tutto? Ogni 1.000 euro di ingaggio, solo 200 vanno ai corridori. Non ci renderemo responsabili di un mercimonio, non li ingaggeremo». Alla Verità, Pagnini precisa ulteriormente il suo pensiero: «Gli atleti africani vengono offerti alle competizioni dai loro manager. Noi rispondiamo che non abbiamo soldi. I fondi che abbiamo preferiamo utilizzarli per rendere più bella la nostra competizione. Certo, invitare gli atleti africani vuol dire che in gara si hanno tempi molto bassi, magari ci scappa pure un record nazionale o europeo, e allora si finisce sui giornali». Ma il prezzo di tutto questo è, appunto, il mercimonio degli atleti. Niente razzismo, quindi, anzi l'esatto contrario. Sia a Trieste che a Lucca, infatti, nessuno ha mai chiuso le porte ai corridori in virtù del colore della pelle o della nazionalità. Alla competizione toscana, per esempio, parteciperà un atleta del Kenya: «Si è iscritto, e avrà il suo pettorale». Il punto sono i corridori professionisti o semiprofessionisti gestiti da agenzie specializzate che garantiscono prestazioni di alto livello e ingaggi molto, troppo bassi. «Noi non precludiamo nulla a nessuno», ribadisce Pagnini. «Credo che ci sia stata strumentalizzazione, anche sul caso di Trieste». Per altro, non è nemmeno la prima volta che a Lucca non vengono ingaggiati top runner. È accaduto anche lo scorso anno, ma il baccano mediatico non fu minimamente paragonabile a quello esploso a Trieste e dintorni. I motivi sono abbastanza chiari: Lucca è una città governata dal Pd, il Comune patrocina l'evento e i giornali non possono accusare la regione rossa di alimentare un clima di intolleranza e razzismo. Riguardo ai territori amministrati dalla Lega, invece, tirare in ballo razzismo e apartheid è uno sport molto diffuso. Tuttavia, com'era facile prevedere, il putiferio creato dai triestini è ricaduto sulla mezza maratona toscana. La Federazione d'atletica ha deciso di indagare anche sull'evento lucchese: «Non siamo mai stati informati di ciò che denunciano da Lucca, da oggi la Fidal sa e si comporterà di conseguenza», ha detto il presidente nazionale della Federazione, Alfio Giomi. Ma, soprattutto, è intervenuto sulla questione Alessandro Tambellini, sindaco lucchese del Pd: «È nel diritto degli organizzatori decidere come impiegare le risorse, ma senza alcun tipo di discriminazione. Che infatti non c'è e non c'è mai stata», ha detto. «La scelta di non dare ingaggi in denaro è generale: chi vuole compra il pettorale e corre». Peccato che, in questo modo, si svuoti di senso tutto il discorso sullo sfruttamento: non pagare gli africani serve a dare un segnale ai manager disonesti. Non pagare nessuno, invece, vanifica ogni sforzo. Per l'ennesima volta, gli antirazzisti di professione sono riusciti a danneggiare una battaglia di civiltà, costringendo gli organizzatori della corsa toscana a moderare parecchio i toni. In ogni caso, una certezza c'è: se Trieste e Lucca non avessero alzato la voce, oggi dello sfruttamento degli atleti africani nessuno parlerebbe. Grazie agli organizzatori di queste competizioni, anche la Fidal ha deciso di intervenire, e chissà che la situazione non migliori. Questo è il paradosso: chi davvero combatte discriminazione e affari sporchi viene accusato di razzismo dai buonisti di professione. La cui specialità è parlare a vanvera e non combinare nulla di concreto.
Matteo Ricci (Ansa)
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(Getty Images)
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