
Il presidente di Unioncamere Veneto: «Le grandi aziende vanno all'estero, le partite Iva chiudono. Il governo non è all'altezza della sfida: non chiediamo soldi ma infrastrutture».Dalla poltrona di presidente di Unioncamere Veneto, il sessantunenne Mario Pozza (che guida anche la Camera di commercio di Treviso) rappresenta gli interessi di 560.000 imprese regionali. Un compito non politico ma di sostegno all'attività economica. Che negli ultimi mesi ha accentuato una flessione già in atto da qualche tempo. «Noi e l'Emilia Romagna ci alterniamo come seconda regione produttiva d'Italia dietro la Lombardia: quella è una potenza, fa più Pil dell'Austria», spiega. «Purtroppo ultimamente l'Emilia Romagna ci sta sorpassando».Indipendentemente dalla pandemia?«L'Emilia si trova sull'asse Roma-Milano e sfrutta tutte le infrastrutture, dalla ferrovia alla cablatura, mentre il Veneto paga il conto. Da Mestre a Bologna sono 150 chilometri e in treno ci vuole il doppio rispetto a chi parte da Milano e ne percorre oltre 200».Qual è il problema numero uno?«La burocrazia. E poi le difficoltà del credito. In Veneto non abbiamo più banche del territorio. Se Venetobanca si fosse chiamata Pugliabanca, probabilmente si sarebbe salvata visto quanto è successo alla Popolare di Bari».Che spiegazione si dà?«Quando togli a un territorio la possibilità di avere un centro finanziario, il territorio deve rivolgersi altrove e lo sviluppo è condizionato da interessi diversi». Lo Stato ce l'ha con il Veneto?«Penso che la politica ritenga di dover dare qualche segnale a questa parte del Paese che rivendica una sua autonomia. Ciò che è accaduto alla Popolare di Bari, da quanto ho letto sui giornali, non mi è sembrato tanto dissimile dalla Popolare di Vicenza o da Venetobanca. Il trattamento dovrebbe essere uguale per tutti».Ce l'ha con il Meridione?«Tutt'altro. Penso però che ci sia una sorta di strabismo governativo o istituzionale».Anche con i provvedimenti anti Covid il governo è stato strabico?«Dopo i 3 decreti, mi sembra manchino ancora una novantina di decreti attuativi. È inutile fare provvedimenti senza gli strumenti per renderli operativi. La cassa integrazione sappiamo come sta andando. L'accesso al credito è difficilissimo, mentre i miei colleghi in Germania e Svizzera compilando qualche foglio A4 hanno avuto in pochi giorni i soldi a fondo perduto. Tanti proclami, tanti decreti, ma nella sostanza c'è ben poco».È solo colpa della burocrazia oppure mancano i soldi?«Di soldi ce ne sono sicuramente pochi perché abbiamo uno Stato sovraindebitato. Ma la burocrazia è soffocante. Alimenta sé stessa perché senza norme chiare rende la vita impossibile». Giuseppe Conte ripete da mesi che la snellirà.«E che cosa aspetta? I prossimi stati generali?».Imprenditori e artigiani che cosa le chiedono?«Di non rendere loro la vita difficile. Al mattino tirata su la serranda la domanda è: oggi che carta ci vuole per lavorare? E se sbaglio carta cosa succede? Chi mi arriverà: l'Inps, la finanza o l'ispettorato del lavoro?».La prima domanda non è di avere aiuti economici?«Chiedono di non avere perennemente la spada di Damocle di uno Stato che arrivi ogni giorno a intralciarne l'attività. E chiedono una giustizia che funzioni. Carminati e gli altri sono fuori, ma tu non sai quando riuscirai a portare a termine una causa, e magari rischi di chiudere. Tutto questo non produce ricchezza ma costi. E la morte delle imprese. In Veneto ne abbiamo sempre meno».Non era la patria delle partite Iva?«Per la Chiesa eravamo la sacrestia d'Italia: potremmo dire che siamo stati anche la sacrestia delle piccole imprese. Purtroppo non è più così. C'è disaffezione, chi può vende sconsigliando al figlio di fare la vita che fa lui. Stiamo perdendo tantissimi mestieri che sarebbero importanti per l'economia». Per esempio?«Guardiamo all'edilizia. Ormai i muratori italiani sono quelli della mia generazione, hanno i capelli bianchi. Senza gente dell'Est Europa o magrebini i cantieri sarebbero deserti. E non parlo solo di manovali, ma anche di capisquadra. Lo stesso vale per idraulici o elettricisti. La scuola non orienta più ai lavori professionali». E spariscono i piccoli imprenditori e gli artigiani.«Questa è la drammatica realtà. L'Italia è il Paese delle piccole aziende, che sono quelle che pagano le tasse e i contributi qui perché non delocalizzano. Questi non vanno in Lussemburgo o nell'amata Olanda: hanno nome e cognome fuori dalla porta di casa. Questi non scappano, danno lavoro agli italiani e non solo agli italiani e purtroppo pagano il conto più alto».Il governo ha un pregiudizio negativo verso gli imprenditori?«Peggio: ci fanno concorrenza. Un disoccupato prende il reddito di cittadinanza e lavora in nero: qual è lo stimolo per un impiego vero? Almeno facessero fare loro un lavoro socialmente utile».E come mai la chiama concorrenza alle imprese?«Perché è un incentivo a stare a casa. Abbiamo difficoltà crescenti a trovare personale. Aggiungiamo gli interventi a pioggia denunciati da tutte le associazioni di categoria. Va bene aiutare le persone, ma l'Inps non è il pozzo di San Patrizio. Come pagheremo le pensioni se le imprese non pagano i contributi?».Il governo ha dato i bonus vacanze.«La stanno sbandierando come risposta a tutti i problemi. Ma l'albergatore, che è già in crisi, deve anticipare lo sconto e poi incassa il voucher dello Stato quando fa la dichiarazione dei redditi. E che redditi denuncia dopo avere chiuso tutto l'anno? Nel frattempo, l'albergatore ha già chiuso».E il bonus edilizia al 110%?«Forse lo prenderà un colosso come Salini. Quante piccole imprese hanno la capacità di andare in credito d'imposta? Gli artigiani con pochi dipendenti o una ditta individuale come ne beneficeranno? Se a Roma avessero sentito il parere di qualcuno che opera quotidianamente, forse avrebbero fatto meno sbagli». Che cosa rimprovera al governo?«I 5 stelle hanno poca esperienza di governo e probabilmente anche una scarsa storia imprenditoriale o professionale alle spalle. Il Pd ha un retaggio storico che conosciamo bene. Il combinato disposto è lo statalismo che stiamo sperimentando». Non vede un po' di ripartenza?«Ero a Roma l'altro giorno: quasi tutto chiuso. Uffici, bar, negozi, ristoranti. Alla stazione Termini c'erano più addetti alla sicurezza che viaggiatori. Adesso si sono inventati di vietare i bagagli a mano nelle cappelliere degli aerei: ma li studiano di notte questi provvedimenti? Ci vogliono misure responsabili ma senza esagerare per non ammazzare tutto. Non si rimette in moto un'azienda dalla mattina alla sera». Dicono che seguono i consigli delle task force.«Se avessero preso 4 artigiani, 4 industriali e 4 commercianti, avrebbero sicuramente dato la soluzione in modo più pragmatico e con meno costi. Poi magari si ascoltavano anche i professori o i grandi manager». Che dice degli Stati generali?«Cos'hanno prodotto? Finora noi delle Camere di commercio abbiamo dato gli unici soldi veri a fondo perduto alle imprese. Le aziende che godono del prestito di 30.000 euro garantito dallo Stato possono avere un contributo sugli interessi fino a 4.000 euro a fondo perduto. In 2 giorni a Treviso abbiamo bruciato una prima tranche di 400.000 euro, ora rifinanziata con un altro milione. Con due fogli A4 e in meno di 20 giorni gli imprenditori hanno i soldi in tasca. Come a Treviso è stato fatto in molte altre città».Le aziende veneto che cosa chiedono?«Dieci giorni fa con altre 11 categorie economiche abbiamo mandato una lettera al governatore Luca Zaia indicando le priorità».Perché Zaia?«Le risposte del governo non si sono rivelate all'altezza della sfida: scritto nero su bianco e firmato da tutti, da Confindustria e Coldiretti. Comunque, l'unica cosa che non abbiamo domandato sono soldi».E cos'altro?«Credito. Infrastrutture. Cablatura: dovevano finire entro il 2021, è stata spostata al 2023. Abbiamo aree che vedono la fibra ottica con il cannocchiale. A Treviso ci sono 100.000 imprese, una ogni 10 abitanti, e durante l'isolamento le comunicazioni sono passate dal Web, ogni giorno uno o due seminari con almeno 100 aziende partecipanti: se non dai la fibra a tutti ci mandi fuori mercato, e non per colpe nostre. E poi strade, collegamenti con l'estero, treni veloci, zero burocrazia, internazionalizzazione».Che significa?«Tutto è in mano all'Ice. Ma se il 90% delle imprese italiane ha meno di 20 dipendenti, come può l'Ice assistere tutti? In questi giorni sto lavorando con alcune ambasciate per proporre investimenti, ma ci sono certe figure dell'Ice che prenderei a schiaffoni e li butterei nel Piave. L'Ice va bene per il grande imprenditore, ma il piccolo ha bisogno di avere assistenza nel territorio, non a Roma o Milano».È più ottimista o pessimista?«Gli imprenditori sono sempre ottimisti. In Italia siamo fortunati perché abbiamo i corpi intermedi, le associazioni di categoria, il volontariato: se non ci fossero questi, avremmo non i gilet gialli ma quelli viola dalla rabbia che menerebbero dalla mattina alla sera». Quanto può reggere questa situazione? «Vedremo in autunno se i mercati e i consumi interni riprendono. E a quel punto aspettiamo i politici al varco».Cioè?«Guardino pure i sondaggi ma nel segreto dell'urna, come diceva don Camillo, Dio ti vede Stalin no. Se lo ricordino».
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