2019-03-13
Ai domiciliari i gran capi di Blutec azienda simbolo del Jobs act di Renzi
Dopo la chiusura dello stabilimento Fiat di Termini Imerese nel 2011, la società che voleva fare batterie per veicoli elettrici aprì i cancelli tre anni fa. Spariti 16 dei 21 milioni per il rilancio. Arrestati presidente e ad.Roberto Ginatta e Cosimo Di Cursi, numero uno e due della Blutec, sono agli arresti domiciliari con l'accusa di malversazione ai danni dello Stato. Avrebbero distratto 16 milioni di euro, parte dei 21 milioni di euro ricevuti da Invitalia per il rilancio dello stabilimento ex Fiat di Termini Imerese. Epilogo di decenni di cassaintegrazione e finto lavoro. Eppure anche l'ultimo tentativo di rilancio d cosiddetto polo industriale siciliano è stato il bluff che nessuno ha avuto il coraggio di chiamare con il giusto nome. D'altronde i dubbi furono travolti dal solito storytelling di Matteo Renzi: «Dopo Terni, Piombino, Gela, Trieste, Reggio Calabria, Electrolux, Alitalia, oggi accordo su Termini Imerese. Domani Taranto. Anche questo è Jobs act«. Così l'ex premier, il 23 dicembre 2014, salutava l'accordo che scongiurava il licenziamento dei 1.100 dipendenti dello stabilimento siciliano fermato da Fiat nel 2011.Il primo gennaio 2015 lo stabilimento passa alla newco Blutec, società del gruppo Metec per la produzione di componenti per auto, con il sostegno di finanziamenti erogati da Invitalia. Sembrava dovesse esserci una rinascita per lo stabilimento. Vengono riassunti 90 operai, già in cassa integrazione, per una preparazione dei lavori futuri. Si sarebbe dovuto tornare a produrre auto ma di nuovo tipo, ibride ed elettriche. Nel progetto di rilancio presentato lo scorso novembre da Blutec, era prevista con scalini temporali l'occupazione di 694 lavoratori entro il 2020, con un'attività diversa e che prevedeva l'elettrificazione della Doblò e del Ducato, e l'assemblaggio delle batterie Samsung. Proprio pochi giorni fa, il 5 marzo, l'azienda aveva presentato gli aggiornamenti del suo piano industriale che prevedeva commesse anche per Garage Italia, la Xev e la Jiayuang, mentre la produzione delle batterie per il Ducato avrebbe dovuto riassorbire interamente la forza lavoro attualmente fuori dalle attività produttive entro la fine del 2019. Doblò, Ducato e Garage Italia sono nomi che non devono stupire. La famiglia Ginatta d'altronde è legata agli Agnelli. Soprattutto ad Andrea. Innanzitutto, la Metec è connessa a doppio filo con gli Agnelli non soltanto perché ha come cliente principale la società controllata dalla famiglia, la Fiat appunto. C'è un altro legame, meno evidente, che unisce Roberto Ginatta e Andrea Agnelli: i due sono soci in affari e partecipano al 50-50 una società con base a Torino, la Investimenti industriali spa. In particolare, la quota del rampollo di casa Agnelli, che è anche presidente della Juventus, è detenuta attraverso la finanziaria Lamse, partecipata anche dalla sorella Anna. L'azienda si occupa di boutique finanziarie e si vociferava che volesse riprendersi il Sestriere storicamente appartenuto alla famiglia torinese. Non solo: Mario, il figlio di Roberto Ginatta, è stato socio di Lapo Elkann ed è finito sui giornali prima per possesso di animali esotici e poi perché il suo nome è stato accostato a un'inchiesta su squillo di lusso. I legami con gli Agnelli non hanno però portato nulla di concreto a Termini Imerese. Ieri mattina sono arrivati i finanzieri del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Palermo a mettere i sigilli allo stabilimento: ai dipendenti che avrebbero dovuto produrre componenti per auto elettriche non è rimasto che protestare e un gruppo è riuscito a forzare i cancelli entrando all'interno dello stabilimento per riunirsi in assemblea con i segretari di Fim Fiom e Uilm. Secondo l'ordinanza del gip, l'ipotesi di reato per il presidente del consiglio di amministrazione e l'amministratore delegato della Blutec è malversazione a danno dello Stato. L'intero complesso aziendale e beni per oltre 16,5 milioni di euro sono stati posti sotto sequestro. Sergio Marchionne, numero uno di Fca dopo e Fiat prima, aveva chiuso per un semplice motivo: era troppo costoso fabbricare lì. Marchionne aveva esposto i motivi della sua decisione: la gestione era antieconomica, a causa di un indotto poco sviluppato e degli alti costi fissi, soprattutto quelli legati al trasporto. Una sentenza che nessuno riuscirà a superare. Salvo iniettare contributi a pioggia. Come è capitato sotto la regia del Mise e pure di Luca Lotti, che conosce bene la famiglia Ginatta. D'altronde il ministero dello sviluppo economico alla fine del 2014 si prese meno di cinque giorni per esaminare un piano industriale sul quale sono precipitati ben oltre 200 milioni di euro. D'altronde era proprio questa l'idea di Jobs act di Renzi. Un tweet, un annuncio e poi via a inaugurare altre promesse.