2023-09-01
L’Onu combina un guaio in Africa «Missioni di pace? Assist ai golpisti»
La rivista «Foreign Policy» spiega che aver affidato il peacekeeping alle autocrazie locali, anziché favorirne la democratizzazione, ha fomentato i signori della guerra. Proprio come il nigerino Tchiani, un ex casco blu.Dopo la nomina del generale Nguema a capo del nuovo governo in Gabon, in Camerun Biya sostituisce i vertici della sicurezza. E in Ruanda Paul Kagame avvia il repulisti nell’esercito.Lo speciale contiene due articoli.E se il caos in Africa fosse il frutto bacato delle nostre buone intenzioni? Il prodotto deviato dei tentativi di sedare i conflitti locali, affidando il ruolo di pacieri ad autocrati senza scrupoli e signori della guerra?Ovviamente, nel Sahel bisogna registrare il fallimento storico dei francesi. La regione è una polveriera e una scintilla basta a infiammare le rivolte contro i rappresentanti di Parigi, contro le vestigia dello sfruttamento neocoloniale. Poi ci sono le mire dei cinesi e gli interventi destabilizzatori dei russi, che si erano appoggiati alla Wagner e adesso, liquidato Evgenij Prigozhin e preteso il giuramento di fedeltà dai mercenari, potranno centralizzare definitivamente i movimenti delle milizie. A innescare i colpi di Stato che si stanno susseguendo in Africa occidentale e centrale, però, non è soltanto il risiko geopolitico delle grandi potenze. Dietro i disordini, si celano le conseguenze non intenzionali delle imprese di peacekeeping dell’Onu. Le quali, paradossalmente, alimentano il disordine, armando e rafforzando gli eserciti delle nazioni ben poco democratiche e ben poco liberali dell’area.A sostenerlo è l’autorevole rivista Foreign Policy, secondo la quale «il peacekeeping dell’Onu fomenta accidentalmente i colpi di Stato in Africa». Stando all’analisi di Jamie Levin e Nathan Allen, della Saint Francis Xavier University in Canada, dopo la fine della Guerra fredda, le nazioni occidentali hanno premuto per trasferire la responsabilità delle missioni nelle zone calde agli «eserciti di Paesi non democratici o debolmente democratici». E ciò, anziché favorire la democratizzazione delle loro istituzioni, ha spesso prodotto effetti deteriori, «consolidando il potere autocratico e contribuendo alla propensione ai golpe nelle democrazie fragili, come il Niger». In sostanza, per disimpegnarci dai delicati teatri bellici del Terzo mondo, abbiamo dato quasi carta bianca alle organizzazioni militari di Stati autoritari e instabili. Esse hanno gestito situazioni esplosive, risparmiandoci il lavoro sporco. Eppure, ciò non ha spinto i governi africani all’integrazione con i nostri valori politici, almeno nella prospettiva di ricevere generosi finanziamenti (nel biennio 2021-2022, l’Onu ha stanziato circa 6 miliardi e 400.000 dollari). I gruppi armati, anzi, ne hanno approfittato per aumentare la loro influenza, magari per appropriarsi degli equipaggiamenti forniti dalle Nazioni Unite e per coltivare ambizioni di egemonia. La strategia della parte più ricca del globo, dunque, ha propiziato le condizioni per l’ascesa di leader in divisa, capaci di sfidare e rovesciare i governanti, a loro volta più o meno dispotici. È accaduto al Niger, che - guarda un po’ - figura al quinto posto nella classifica dei 10 Stati con il maggior numero di soldati impegnati nelle missioni di pace, sotto l’egida dell’Onu: parliamo di 874 membri effettivi dispiegati sul campo, mentre il Paese è coinvolto nell’operazione messa in piedi per tenere sotto controllo il Mali. E non sarà un caso - fanno notare gli autori dell’articolo su Foreign Policy - se il generale Abdourahamane Tchiani, che ha destituito il presidente, Mohamed Bazoum, è stato arruolato con i caschi blu per una serie di incarichi in Costa d’Avorio, Congo e Sudan. Allora, non dev’essere fortuita nemmeno la strana correlazione tra la quantità di personale impiegato nella «seconda generazione del peacekeeping» e la deposizione manu militari dei legittimi vertici politici: nella suddetta top ten, insieme al Niger, compaiono infatti il Ciad (primo in assoluto, con 1.427 unità schierate), la Guinea (668 uomini) e il Burkina Faso (661). Indovinate? In tutti e tre i Paesi si sono verificati colpi di Stato, tra il 2021 e il gennaio 2022. Per Levin e Allen, il peso specifico delle autocrazie africane limita la capacità dell’Onu di reagire sia alle violazioni dei diritti umani, perpetrate in quantità nelle aree turbolente, sia ai capovolgimenti politici ottenuti con la violenza. Gli studiosi citano Antonio Guterres, segretario generale dell’organismo sovranazionale, poiché egli, pur esprimendo «profonda preoccupazione» per gli eventi in Niger, non ha agito bloccando gli aiuti o invocando sanzioni. Naturalmente, non tutti i mali della regione subsahariana sono da ascrivere al peacekeeping. Questo facilita «l’intervento dell’esercito nella politica», cioè «amplifica il rischio di golpe», ma non può esserne la sola causa. Foreign Policy suggerisce di istituire meccanismi più rigidi di controllo e contromisure tempestive in caso di conclamate irregolarità. O forse è ora che l’Occidente la smetta di vergognarsi del passato imperialista e torni a esercitare un ruolo attivo nei settori geopolitici strategici del Mediterraneo. In nome della cooperazione e non della sopraffazione, certo. Ma possibilmente prima che, con le loro mosse, Ankara, Pechino e Mosca ci facciano cacciare a pedate dall’Africa.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/africa-onu-crisi-2664738258.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ribollono-pure-camerun-e-ruanda" data-post-id="2664738258" data-published-at="1693555136" data-use-pagination="False"> Ribollono pure Camerun e Ruanda Il nuovo uomo forte del Gabon si chiama Brice Oligui Nguema, è un generale e fino a tre giorni fa era il comandante in capo della Guardia repubblicana. Oligui Nguema è stato nominato «presidente della transizione» dai soldati golpisti, con un comunicato stampa letto dalla televisione Gabon 24. Nguema ha dichiarato: «Ali Bongo non avrebbe dovuto candidarsi per un terzo mandato, tutti ne parlavano ma nessuno si è assunto la responsabilità e così l’esercito ha deciso di voltare pagina». Il colpo di Stato è stato condannato dalle Nazioni Unite, dall’Unione Africana e dalla Francia, che aveva stretti e storici legami con la famiglia Bongo. Questo golpe è diverso da quello arrivato in Niger, avvenuto in un periodo di calma, perché in Gabon da tempo ormai cova il risentimento popolare nei confronti della famiglia Bongo, che ha governato il Paese per quasi 56 anni. C’è malcontento su moltissime questioni, ad esempio, sul costo della vita. Rabbia che sta aumentando in queste ore, dopo che i militari hanno pubblicato sui social network un video nel quale si vedono valigie e borse nella casa della famiglia del presidente deposto piene di franchi Cfa, dollari ed euro. Agli osservatori più attenti non è certamente sfuggito che il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), all’epoca presieduto da Adolfo Urso, nella sua relazione sull’attività svolta dal primo gennaio 2021 al 9 febbraio 2022, i disastri in corso nel Sahel e in Africa li aveva previsti tutti. Infatti, nel documento si legge: «Occorre poi considerare che in questa regione si registra il nuovo protagonismo di potenze non occidentali che stanno approfittando delle difficoltà della Francia, come dimostra il caso emblematico del Mali, Stato considerato centrale per la stabilizzazione del Sahel. Questo scenario problematico - a fronte di una situazione caratterizzata dalla presenza di gruppi jihadisti che operano travalicando le frontiere, anche sfruttando le crisi politiche presenti nei Paesi saheliani - potrebbe infatti provocare un effetto domino sugli Stati vicini con conseguenze anche sui flussi migratori e sui traffici illegali». Sempre nel 2022, l’intelligence italiana, nella sua relazione Politica dell’informazione per la sicurezza, scriveva: «Nell’anno in esame, l’iIntelligence nazionale ha monitorato tre principali macro-teatri di crisi: area saheliana, Corno d’Africa e regione dei Grandi Laghi. I tratti di vulnerabilità sono simili: pressione demografica, scadimento dei parametri economici, violenta conflittualità di varia natura, scontri legati all’uso delle risorse e una diffusa fragilità istituzionale che fa da moltiplicatore degli squilibri. Sempre più, poi, si evidenzia in tali quadranti una presenza straniera che fa uso strumentale delle criticità locali e che, non di rado, alimenta narrative antioccidentali». Ieri in Niger è stata un’altra giornata di passione, con la giunta golpista che ha ribadito l’abolizione di tutti gli accordi militari con la Francia, chiesto la partenza incondizionata delle truppe francesi dal Niger e ordinato a tutte le compagnie locali di interrompere immediatamente la fornitura di carburante, acqua, elettricità e cibo alle basi militari francesi, all’ambasciata francese a Niamey e a tutti i consolati francesi presenti nel Paese. Quale sarà la prossima nazione a finire nelle mani dei militari? Il Camerun si prepara al peggio, tanto che attraverso un nuovo decreto il presidente Paul Biya ha rimosso e sostituito i capi della sicurezza, compreso quello del delegato alla presidenza responsabile della Difesa, del personale dell’aeronautica, della marina e della polizia. Ma anche in Ruanda sta succedendo qualcosa: ieri Paul Kagame, presidente dal 2000, ha rimosso e sostituito alcuni ufficiali dell’esercito. Forse anche loro preparavano qualcosa di grosso.