2021-08-21
Afghanistan: anche Condi Rice all'attacco di Biden
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È tornata. E lo ha fatto per criticare il rocambolesco ritiro afghano di Joe Biden. Condoleezza Rice ha pubblicato martedì scorso sul Washington Post un editoriale in cui ha preso posizione sulla spinosa questione della caduta di Kabul. E ha preso principalmente di mira la versione dei fatti riportata dal presidente americano in carica: quella, cioè, che vedrebbe negli afghani i principali colpevoli del disastro. Una versione che non ha affatto convinto la Rice, la quale – sin dal titolo – è subito stata chiara: "Il popolo afghano non ha scelto i talebani. Hanno combattuto e sono morti insieme a noi". "Ognuno di noi che ha ricoperto posizioni di autorità in quegli anni ha commesso degli errori, non perché non ci abbiamo provato o siamo stati incuranti delle sfide. Ma gli Stati Uniti non potevano permettersi di ignorare lo Stato canaglia che ha ospitato coloro che ci hanno attaccato l'11 settembre. Verrà il momento di valutare dove abbiamo fallito e cosa abbiamo ottenuto", ha scritto la Rice, che – ricordiamolo – fu consigliere per la sicurezza nazionale dal 2001 al 2005 e segretario di Stato dal 2005 al 2009. Poi, l'affondo contro Biden. "Sulla scia della caduta di Kabul […] sta emergendo una narrazione corrosiva e profondamente ingiusta: dare la colpa agli afghani per come tutto è finito. Le forze di sicurezza afghane hanno fallito. Il governo afghano ha fallito. Il popolo afghano ha fallito". "No", ha scritto l'ex segretario di Stato, "non hanno scelto i talebani. Hanno combattuto e sono morti al nostro fianco, aiutandoci a degradare al-Qaeda. Lavorando con gli afghani e i nostri alleati, abbiamo guadagnato tempo per costruire una presenza antiterrorismo in tutto il mondo e un apparato antiterrorismo a casa che ci ha tenuti al sicuro". "Non sorprende che le forze di sicurezza afghane abbiano perso la voglia di combattere, quando i talebani hanno avvertito che gli Stati Uniti li stavano abbandonando e che coloro che avessero resistito avrebbero visto le loro famiglie uccise", ha proseguito. Ed è qui che la Rice ha assunto una posizione probabilmente impopolare, ma proprio per questo intellettualmente onesta: secondo lei, bisognava restare. "Vent'anni", ha scritto, "potrebbero anche non essere stati sufficienti per consolidare le nostre conquiste contro il terrorismo e garantire la nostra stessa sicurezza. Noi - e loro - avevamo bisogno di più tempo". E' in questo senso, che l'ex segretario di Stato ha proposto una tesi discutibile ma al tempo stesso interessante. "Tecnicamente, la nostra guerra più lunga non è l'Afghanistan: è la Corea", ha sostenuto. "Quella guerra", ha proseguito, "non finì con una vittoria; finì con una situazione di stallo, un armistizio. La Corea del Sud non ha raggiunto la democrazia per decenni. Settant'anni dopo, abbiamo più di 28.000 soldati americani lì, riconoscendo che anche il sofisticato esercito sudcoreano non può dissuadere il Nord da solo". "Ecco cosa abbiamo ottenuto: un equilibrio stabile nella penisola coreana, un prezioso alleato sudcoreano e una forte presenza nell'Indo-Pacifico", ha chiosato. Ma le critiche a Biden non si sono fermate qui. "Nel frattempo", ha continuato, "l'amministrazione non può semplicemente affermare che la nostra credibilità è intatta, non lo è. La credibilità non è divisibile e Cina, Russia e Iran ci hanno studiato. Le immagini degli ultimi giorni mostreranno un'immagine dell'America in ritirata". Parole pesanti, che sconfessano – ancora una volta – la versione della Casa Bianca. Del resto, ancora venerdì scorso, il presidente americano ha ribadito in conferenza stampa che questa ritirata rocambolesca non danneggerà il prestigio internazionale dell'America: parole a cui probabilmente non crede neanche lui. Certo: si dirà che Condoleezza Rice abbia fatto parte di un'amministrazione – quella di George W. Bush – che ha spinto gli Stati Uniti in Afghanistan e commesso in loco rilevanti errori. Questo è senz'altro vero. Tuttavia anche Biden è stato per otto anni vicepresidente di Barack Obama e – per quanto non ne condividesse privatamente la linea sull'Afghanistan – si è alla fine allineato alla sua fallimentare strategia di "nation building". Con la "piccola" differenza che, nel suo editoriale, la Rice ha ammesso gli errori, mentre l'attuale presidente si è lasciato andare a un poco elegante scaricabarile sugli afghani e sulle amministrazione precedenti. Un atteggiamento che del leader ha ben poco.