2021-06-10
Gli affari di Paradiso. Si definiva «umile» ma gestiva 2 milioni grazie a una polizza
Secondo la Procura, l'uomo riceveva del denaro da Piero Amara. Giuseppe Calafiore: «Gli dava anche la sua carta di credito...».Luigi Di Maio sceglie il silenzio, mentre la stampa se la prende con Matteo Salvini.Lo speciale contiene due articoli.«Sono una persona umile, devo tutto a mia moglie». A chi lo incontrava negli ultimi mesi, Filippo Paradiso, il funzionario di polizia distaccato al Viminale arrestato martedì nell'inchiesta di Potenza, ricordava spesso le sue umili origini e raccontava anche che andava spesso a pregare «in monastero». Ora però poteva contare, stando a quanto hanno ricostruito gli investigatori, «su una polizza di gestione patrimoniale di oltre 2 milioni di euro». E non solo. Non è chiaro se già sapesse che l'inchiesta dello scorso anno sul procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo lo avrebbe travolto. Di sicuro da almeno un anno Paradiso era indagato a Roma per traffico di influenze, ma né il sottosegretario Carlo Sibilia né i 5 stelle avevano deciso di rimuoverlo dal suo incarico. Come si legge nelle 306 pagine di custodia cautelare, il suo stile di vita era al di sopra delle aspettative. A permettergli arrotondamenti considerati dagli investigatori «incompatibili con il profilo reddituale» sarebbe stato l'avvocato dell'Eni Piero Amara, il legale di Augusta che non disdegnava di mantenere confidenti e anche magistrati. A rivelare i pagamenti di Amara è Giuseppe Calafiore, suo sodale in diversi interrogatori. Il 21 maggio del 2018 spiegava ai magistrati come sempre Amara gli avesse dato dei soldi da dare a al procuratore di Siracusa Giancarlo Longo in relazione a una vicenda di cui si è occupato integralmente lui, la vicenda «Milano»: «Io ho fatto da spallone. Amara mi ha dato dei soldi in busta, io non li ho contati. Siamo in aprile 2015 o nell'estate del 2015. Ricordo che le banconote erano do 50 euro. Saranno state quattro o cinque mazzette». Il riferimento a Milano altro non è che all'inchiesta di Longo sul complotto Eni, poi rivelatosi farlocco e inventato da Amara. Calafiore è un testimone di tutti i pagamenti dell'avvocato di Augusta. Amara avrebbe utilizzato Paradiso per fare il relation man, per tenere i rapporti con le istituzioni. «Paradiso andava a cena con diversi membri del Csm. Lo utilizzava e lo pagava. […] gli dava anche la carta di credito a questo Paradiso». Secondo Calafiore, «lavorava cioè come applicato politico al ministero degli Interni e quindi lei si immagini uno che guadagna... sono forse 1.500 euro, 2.000 euro al mese... che vive a Roma, tutte le sere a cena con chiunque cioè come fa, è tecnicamente impossibile». Una volta «l'ha foraggiato davanti a me in studio e gli ha dato 2.100 euro». La stessa moglie di Paradiso, Lucia Giuliano, era retribuita da un consorzio, proiezione della società Tecnomec che fatturava a Eni e Ilva e i cui affari erano seguiti da un'altra società di Amara. Dalle verifiche sugli estratti conto dell'avvocato sedicente confratello della loggia Ungheria sono saltati fuori i pagamenti di biglietti aereo per Paradiso. Le carte di credito erano di Amara, i biglietti erano intestati a Paradiso. L'ammontare dei biglietti? Oltre 1.200 euro. Ma è in un secondo procedimento che Amara e Paradiso sono indagati per traffico illecito di influenze. L'avviso di conclusione delle indagini era stato emesso dalla Procura di Roma, così come la richiesta di rinvio a giudizio, trasmessa in Procura a Potenza e inoltrata il 26 febbraio al gip. In quel fascicolo viene ricostruita la relazione Amara-Paradiso, «sostanziatesi», scrivono gli investigatori, «mediante il pagamento di somme di denaro come prezzo della mediazione di Paradiso con pubblici ufficiali in servizio presso ambienti istituzionali». In particolare ai magistrati potentini interessano i «membri del Csm e i politici». Amara e Paradiso, secondo il gip, avrebbero agito «attraverso illeciti scambi di favori, pilotando addirittura la nomina di un procuratore della Repubblica per interesse personale [...]». Paradiso sembrerebbe un socio di Amara. I due, spiega ancora il gip, «hanno dimostrato di agire, comunicare e dare disposizioni in molteplici direzioni istituzionali di altissimo livello, in modo tentacolare». D'altra parte, quando nel 2013 uscì il libro scritto da Paradiso su concussione e corruzione, con la prefazione dell'ex procuratore generale di Roma Luigi Ciampoli, alla presentazione erano presenti «alti ufficiali, magistrati, alti prelati, gente importante». A dimostrazione che di contatti negli ambienti che contano il poliziotto ne aveva da spendere. E Amara questo lo sapeva bene, come evidenzia il gip nell'ordinanza d'arresto. Un passaggio, quello della relazione con Paradiso, che Amara di certo tenterà di spiegare al gip oggi durante il suo interrogatorio di garanzia. Sarà presente anche il procuratore Francesco Curcio, considerato ormai un «Nosferatu» dalle toghe pugliesi che finiscono indagate a Potenza, e che di certo non abboccherà ai soliti tentativi messi in campo da Amara di riempire pagine e pagine di verbali. Paradiso, sentito dai magistrati milanesi il 22 febbraio dell'anno scorso nell'inchiesta sulla loggia Ungheria, la vicinanza con Amara non l'aveva negata: «È nato un rapporto di buona amicizia e di frequentazione privata, anche con le famiglie». Ora a Potenza dovrà spiegare perché l'avvocato pagava i suoi viaggi aerei e come è finita nelle sue mani quella polizza da 2 milioni di euro.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/affari-paradiso-umile-2milioni-polizza-2653296224.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-neo-garantista-di-maio-resta-muto-sul-poliziotto-vicino-al-movimento" data-post-id="2653296224" data-published-at="1623275926" data-use-pagination="False"> Il neo garantista Di Maio resta muto sul poliziotto vicino al Movimento C'è sempre uno più puro che ti epura. Niente da fare, la fotografia di Pietro Nenni con la vecchia Kodak è ancora nitida, potente e contrastata mezzo secolo dopo. Sembra un Sebastiao Salgado, gente nuda che si arrampica da una miniera di fango. Come quella di Filippo Paradiso, il poliziotto arrestato per il caso Amara, che secondo la stampa mainstream doveva essere un vago «consulente di Elisabetta Casellati e Matteo Salvini» e che si ritrova invece compagno di merende di un think tank (tremano i polsi solo al pensiero) del Movimento 5 stelle. La reazione mediatica è struggente: nessun approfondimento, nessun passo indietro. Per la famosa legge del «cosa detta, capo ha», nelle redazioni progressiste con l'eskimo che ancora penzola dagli attaccapanni come uno scalpo Apache, si spera che Paradiso rimanga per sempre appiccicato ai due nomi di centrodestra. E al loro fianco porti maleodoranti effluvi dentro i social, moltiplichi l'effetto indignazione, conduca il popolo di Facebook e Twitter a completare la solita operazione di informazione democratica: humus più ventilatore. Il debunker con la molletta sul naso confermerà. Ma la realtà bussa e la faccenda Paradiso è più infernale. Il poliziotto al centro dell'ultimo verminaio giudiziario da piramide di Indiana Jones ha ammesso: «Sono sempre stato comandato presso varie segreterie di alcuni ministeri». Uno dei tanti sullo sfondo. Quindi Rocco Buttiglione ma anche Maurizio Martina, Nunzia Di Girolamo e Salvini ma anche il sottosegretario grillino Carlo Sibilia, ultimo incarico al Viminale. Il cotè pentastellato che non interessa a tv e giornali, però interessa a noi e ci introduce a un tema molto delicato: il neogarantismo del Movimento, che evidentemente passa dal silenzio. Alla notizia che Paradiso - quello dei dossier, quello arrestato, quello che tramava su Wickr per non farsi intercettare, quello della rete interna alle Procure di mezza Italia - era una star dell'associazione Parole Guerriere, cenacolo pentastellato, è calata la notte artica. Eppure lì erano di casa Roberto Fico, Luigi Di Maio, Paola Taverna, Alessandro Di Battista, Nicola Morra, vale a dire la spremuta ideologica del vaffa. I front line del gruppo rock, coloro che per molto meno avrebbero chiesto le dimissioni dell'intero Parlamento. Questa volta nessun sussurro, nessun distinguo, nessun comunicato. Poiché dal 29 maggio - lettera al Foglio, mea culpa sul caso del sindaco Simone Uggetti - il garantismo è entrato nel lessico grillino con più efficacia di una seconda dose di Astrazeneca, ecco che va tutto bene. «Alimentammo la gogna mediatica per motivi elettorali con modalità che furono grottesche e disdicevoli. Ho contribuito a esacerbare il clima, mi scuso». Così parlò Di Maio, scatenando la rissa a sinistra di San Vittore. Forte di quelle parole, oggi detta la linea. E nessun pentastellato sente il bisogno di spiegare come mai l'amico Paradiso era lì nella foto di famiglia. Non una presa di distanza, non una richiesta di chiarimenti. Non pretendiamo le modalità napoleoniche di Paola Taverna ai tempi d'oro («Il Parlamento dev'essere commissariato»), ma almeno un Whatsapp di rimprovero a Sibilia. O una spiegazione del senso di quegli incontri al vertice, fra una tartina e un prosecchino, in compagnia del poliziotto fidato di Piero Amara, quello dei falsi dossier contro l'Eni e della loggia Ungheria. Tutti da Giggino e da Dibba il sabato sera, che tenerezza. Tutto normale. È in silenzio anche Barbara Lezzi, l'ultima pasionaria, che dieci giorni fa rispose a Di Maio: «Un tempo eravamo coraggiosi, se lui è pentito io non lo sono». Così per qualche ora ti aspetti il tuono di Lisistrata contro quel Paradiso dell'ortodossia perduta. E invece è finito un mondo. Parole guerriere zero.
«Murdaugh: Morte in famiglia» (Disney+)
In Murdaugh: Morte in famiglia, Patricia Arquette guida il racconto di una saga reale di potere e tragedia. La serie Disney+ ricostruisce il crollo della famiglia che per generazioni ha dominato la giustizia nel Sud Carolina, fino all’omicidio e al processo mediatico.