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2020-02-24
Così le adozioni internazionali sono
diventate impossibili
Ansa
Le adozioni internazionali sono drasticamente calate, siamo passati da 4.310 bambini accolti come figli da coppie italiane nel 2010, ad appena 1.205 nel 2019. Livelli minimi, segnale di quanto le famiglie siano scoraggiate e di come l'unica risposta delle istituzioni sia di pensare di allargare le adozioni al mondo Lgbt. Nel 2018, su 2.615 richieste di diventare genitori di minori stranieri, i decreti di idoneità riconosciuti sono stati 1.951 e 1.153 i bimbi adottati. Numeri piccoli, se pensiamo che le famiglie italiane senza figli sono più di 5 milioni e oltre 140 milioni i bambini abbandonati nel mondo, secondo i dati Unicef del 2016. Sempre in quell'anno, risultava che a livello mondiale le adozioni erano calate dal 2004 del 77%. Secondo la nostra Cai, Commissione adozioni internazionali, nel 95,3% dei casi la scelta di adottare nasce dall'infertilità, nel 2,4% dal desiderio di aiutare bambini in difficoltà, nello 0,6% dalla conoscenza del minore.
Tempi troppo lunghi per concludere l'iter (possono volerci fino a 3 anni), costi elevati e scarse possibilità di ottenere rimborsi delle spese sostenute scoraggiano sempre più coppie dal rivolgersi fuori Italia, per trovare il figlio che non riescono ad avere o per dare accoglienza a un bimbo abbandonato. Mancanza di supporto economico e sociale alla famiglia che adotta, oltre a cambiamenti culturali, politici, religiosi possono spiegare una flessione così marcata di richieste ai 55 enti italiani autorizzati a operare all'estero. Il calo delle pratiche, infatti, è stato costante negli anni.
Sul fronte costi, l'associazione no profit Servizio polifunzionale per l'adozione internazionale (Spai), segnala le spese che si devono sostenere quando il figlio viene cercato in Paesi come Colombia (servono poco più di 10.000 euro), Bolivia (13.000 euro), Federazione Russa (circa 16.000 euro). Il sito di Bambarco Onlus, i «Bambini dell'Arcobaleno», informa che ci vogliono 18.000 euro per adottare un bimbo in Cina. Tempi previsti, circa 30 mesi, non si possono avere più di 55 anni, bisogna dimostrare di avere un reddito annuo superiore ai 10.000 dollari per ogni componente famigliare, proprietà immobiliari per almeno 80.000 dollari, possedere perlomeno un diploma di scuola superiore e un indice di massa corporea inferiore a 40. Oltre al secondo grado di obesità, niente bimbi dalla terra del coronavirus. L'associazione Nova chiede 15.800 euro per potersi portare a casa un bimbo dichiarato adottabile ad Haiti, 8.800 euro se lo si cerca India, 7.250 euro in Perù.
Sono sempre «voce extra» le spese di viaggio, soggiorno, le visite mediche richieste e un'infinità di altri fuori programma che appesantiscono il budget a disposizione di una coppia, desiderosa di fare del bene. I costi di una procedura di adozione internazionale sono oneri deducibili al 50%. «A partire dal 2008, ogni coppia che aveva un reddito entro i 70.000 euro annui poteva ottenere un rimborso direttamente dalla Cai», precisa Michele Torri, responsabile adozioni internazionali di Amici dei Bambini (Ai.bi), organizzazione non governativa costituita da un movimento di famiglie adottive e affidatarie. «Dal 2013, però, questo rimborso è rimasto congelato e solo dal 2018 il meccanismo ha ripreso a funzionare. L'informazione pubblicata sul sito della Commissione riporta che sono state presentate per gli anni 2013/2017 più di 6.000 istanze e a luglio 2019, ultimo aggiornamento pubblicato, ne erano state liquidate solo circa 2.500».
Nel 2018, il principale Paese di provenienza dei minorenni adottati è stata la Federazione Russa (200 bambini), seguita da Colombia (169), Ungheria (135), Bielorussia (112), India (110). «Il costo totale di una adozione in Bielorussia, comprensivo di viaggi, soggiorno, vitto e spese accessorie quali traduzioni, legalizzazioni e altro, si aggira intorno ai 18.000 euro», fa sapere Manuela Mura, psicologa di Aipa adozioni internazionali. «I tempi variano a seconda della situazione giuridica dei minori e degli accordi vigenti tra i due Paesi. Attualmente si fa riferimento all'accordo bilaterale firmato il 30 novembre del 2017 con il governo Gentiloni. Risultano adottabili i minori residenti in istituto e che siano iscritti da almeno un anno nella banca dati. Quest'anno ci ritroviamo con una trentina di pratiche bloccate, italiani da mesi in attesa di avere i bambini promessi. Le motivazioni addotte sono state le più disparate, pensiamo che in realtà vogliano ridefinire le clausole dell'accordo bilaterale. La Bielorussia si aspetta una nostra delegazione politica». Michele Torri ricorda «gli anni di paralisi che ha vissuto la Cai dal 2014 al 2017, fino alla nomina dell'attuale vicepresidente, Laura Laera. La Commissione è importantissima perché è il motore diplomatico dell'adozione internazionale per la promozione di nuovi accordi bilaterali, il mantenimento e lo sviluppo positivo delle relazioni con i Paesi stranieri. Abbiamo perso tempo prezioso», evidenzia Torri, riferendosi alle polemiche e disservizi che hanno reso ancor più difficile un cammino complesso. «Nel novembre 2011 cadde il governo Berlusconi e si insediò il governo Monti e da allora c'è stato un progressivo disinteresse» per le adozioni all'estero, denunciava lo scorso novembre sulla Nuova Bussola quotidiana Carlo Giovanardi, che della Cai fu presidente dal 2008 al 2011, ricordando il «disastro sotto la gestione di Silvia Della Monica, ex membro del Pd alla Commissione giustizia del Senato, che per due anni è stata contemporaneamente vicepresidente e, con una delega di Matteo Renzi, presidente». Giovanardi, condannando il taglio di oltre 2 milioni di euro al Fondo adozioni per i prossimi tre anni, attribuisce il forte calo delle richieste di bimbi provenienti dall'estero anche alla diffusione della pratica dell'utero in affitto: «I bambini se li vanno a comprare all'estero con 100, 200, 300.000 euro e i committenti li vogliono perfetti, sennò non li portano a casa». Mentre chi adotta, lo fa con autentico altruismo affrontando nuove problematiche.
Si sta modificando, infatti, la tipologia di bambini che hanno bisogno di essere adottati. Pochi sono quelli piccolissimi, «in media hanno 6 anni», precisava Paola Crestani, presidente del Centro italiano aiuti all'infanzia (Ciai), aggiungendo che in molti di questi minori «problemi di salute di varia entità, tra cui sempre più spesso traumi o abusi hanno lasciato problematiche psicologiche importanti». Accertare la consapevolezza dei genitori che possono intraprendere un percorso non facile, diventa quasi più importante della verifica della disponibilità a far arrivare in casa un bimbo straniero. «Le coppie si ritrovano ad affrontare un colloquio in tribunale senza avere dimestichezza con temi complicati come quello dell'abbandono dei minori, dei traumi del maltrattamento e dell'abuso», spiega Michele Torri. «Se alcune persone hanno energia per proseguire e mantengono un elevato livello di motivazione, molte altre abbandonano. E questi abbandoni non sono cosa da poco, per molti bambini si perde l'opportunità di essere accolti e poter tornare a essere figli».
«Negli orfanotrofi della Nigeria si fanno affari vaccinando i piccoli»
Lo scorso anno, annunciando #Vaccineswork, una delle campagne mondiali promosse «per sottolineare la forza e la sicurezza dei vaccini», realizzata in collaborazione con la Bill & Melinda Gates foundation, il responsabile Unicef per le vaccinazioni, Robin Nandy, ricordava che nel 2018 vennero salvati «circa 3 milioni di bambini. Tre milioni di futuri dottori, insegnanti, artisti, leader di comunità, madri e padri che oggi sopravvivono grazie a milioni di operatori e volontari in prima linea. I nostri operatori hanno percorso centinaia di miglia per raggiungere aree remote, attraverso giungle e superando mari per arrivare ad ogni bambino». Tre anni fa, la cifra dei bambini morti nel mondo per malattie prevenibili era di 1,5 milioni; l'anno successivo, secondo il rapporto Supply division 2018, l'Unicef aiutò minori procurando 2,36 miliardi di dosi di vaccini per sconfiggere malattie, soprattutto morbillo, difterite, tetano e papilloma virus. Interventi preziosi, sebbene secondo l'Oms sia di 200 miliardi di dollari l'anno il valore del mercato illegale dei farmaci non conformi alle norme o falsi. In alcune Regioni dell'Africa i farmaci contraffatti rappresenterebbero dal 30% al 60% del mercato interno. Medicinali scaduti o inefficaci, oltre a vaccini distribuiti senza criterio. I bambini che finiscono vaccinati più volte, senza controllo, magari perché risultino «adottabili» sono, infatti, un altro aspetto drammatico, come denuncia Emmanuele Di Leo, presidente dell'organizzazione Steadfast onlus.
Da sette anni siete presenti in Nigeria, aiutando la popolazione locale. Nei prossimi mesi parte il progetto adozioni in collaborazione con Ai.bi. Qual è la situazione dei bambini negli orfanatrofi?
«È molto precaria per mancanza di alloggi, nutrizione, cure. In assenza di genitori capaci di accudire i figli, il governo mette i bambini in orfanotrofio, ma tanti minori, che vivono in aree sperdute, non sono censiti e risultano anche maggiormente indifesi. Organizzazioni diverse, che si aggiudicano fondi per fare prevenzione sanitaria, vaccinano infatti bambini più volte, per la stessa malattia. Una situazione inaudita, aggravata dalla mancanza di un archivio dati».
Non c'è un controllo delle vaccinazioni che vengono effettuate?
«Funziona nelle grandi città, non nei villaggi nelle foreste dove vive una porzione importante della popolazione. L'assenza di educazione e di organizzazione fa sì che quelle aree diventino territori di caccia per chi vuole fare business. È facile immaginare che cosa può succedere quando enti internazionali vengono finanziati per campagne di vaccinazione. Non esistono cartelle cliniche dei piccoli pazienti, non avvengono censimenti, figuriamoci se i bambini possono essere schedati in appositi data base. Oggi arriva un'organizzazione a effettuare il vaccino contro la poliomielite? Domani ne verrà un'altra per lo stesso motivo e il bambino che è stato vaccinato ieri, subisce il medesimo trattamento. Una situazione inaudita, mentre alla base di qualsiasi azione umanitaria, specialmente nella prevenzione sanitaria, deve esserci una struttura organizzata».
Il cinismo delle case farmaceutiche e di alcune Ong è terrificante.
«Ci sono organizzazioni che fanno i propri interessi o sono al servizio di ideologie che ben poco hanno a che fare con le questioni umanitarie. C'è chi utilizza la scusa della prevenzione per trovare facili guadagni, come c'è chi solca i mari, sicuramente salvando vite, ma principalmente per trasmettere un chiaro disegno politico-economico. Questa è l'era dell'immagine, dove la sostanza viene fagocitata da chi sa fare buoni slogan. Però ci sono Ong che nel silenzio, senza telecamere, offrono un aiuto concreto per contrastare carestie, malattie e povertà, cercando di organizzare, educare interi territori».
Quanti bambini risultano abbandonati o adottabili in Nigeria?
«Conosciamo molto bene il territorio nigeriano, specialmente lo Stato di Enugu, dove abbiamo una delle nostre sedi, ma non esistono studi o ricerche che includano i bambini non censiti. Neanche grandi organismi come Onu o Unicef si sono attivati per realizzare uno report mondiale che possa rispondere a questa domanda. L'unica fonte attendibile e più recente è la relazione dell'Unicef del 2012, secondo la quale tra i bambini censiti in Nigeria, nazione che ha più di 200 milioni di abitanti, quelli dichiarati abbandonati o orfani sono 11,5 milioni».
Gli italiani adottano ancora bambini africani? Ne arrivavano molti dall'Etiopia prima che da Addis Abeba arrivasse il no alle coppie straniere, perché orfani e abbandonati vanno «difesi e tutelati da abusi all'estero».
«Siamo molto solidali, il nostro è il secondo Paese di accoglienza dopo gli Stati Uniti. Nel triennio 2017-2019 abbiamo adottato dall'Africa 246 bimbi, una percentuale che è stata del 25,5 % rispetto ad altre nazioni».
Nel 2014 avete realizzato la prima Marcia per la vita in Nigeria, con l'intento di sensibilizzare l'opinione pubblica e la classe politica. Problemi come sfruttamento, eutanasia, maternità surrogata, mutilazione genitale, quanto sono ancora lontani dall'essere compresi dalla popolazione?
«La povertà rimane molto forte, l'aborto è condannato, nel Paese più che l'eutanasia si pratica l'abbandono terapeutico. Purtroppo lo sfruttamento procreativo, il cosiddetto utero in affitto sta sostituendo il business della prostituzione, diventare madri surrogate in giro per il mondo rende molto di più alle donne nigeriane. Dobbiamo lavorare perché non diventi cultura».
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Burocrazia e costi (fino a 18.000 euro) scoraggiano le famiglie che vorrebbero accogliere bimbi stranieri. Chi ha i soldi sceglie l'utero in affitto, la politica invece si preoccupa di affidi Lgbt.Il presidente di Steadfast onlus: «Le Ong approfittano degli scarsi controlli per somministrare più volte lo stesso trattamento medico. E nel Paese la maternità surrogata adesso frutta di più della prostituzione».Lo speciale contiene due articoliLe adozioni internazionali sono drasticamente calate, siamo passati da 4.310 bambini accolti come figli da coppie italiane nel 2010, ad appena 1.205 nel 2019. Livelli minimi, segnale di quanto le famiglie siano scoraggiate e di come l'unica risposta delle istituzioni sia di pensare di allargare le adozioni al mondo Lgbt. Nel 2018, su 2.615 richieste di diventare genitori di minori stranieri, i decreti di idoneità riconosciuti sono stati 1.951 e 1.153 i bimbi adottati. Numeri piccoli, se pensiamo che le famiglie italiane senza figli sono più di 5 milioni e oltre 140 milioni i bambini abbandonati nel mondo, secondo i dati Unicef del 2016. Sempre in quell'anno, risultava che a livello mondiale le adozioni erano calate dal 2004 del 77%. Secondo la nostra Cai, Commissione adozioni internazionali, nel 95,3% dei casi la scelta di adottare nasce dall'infertilità, nel 2,4% dal desiderio di aiutare bambini in difficoltà, nello 0,6% dalla conoscenza del minore. Tempi troppo lunghi per concludere l'iter (possono volerci fino a 3 anni), costi elevati e scarse possibilità di ottenere rimborsi delle spese sostenute scoraggiano sempre più coppie dal rivolgersi fuori Italia, per trovare il figlio che non riescono ad avere o per dare accoglienza a un bimbo abbandonato. Mancanza di supporto economico e sociale alla famiglia che adotta, oltre a cambiamenti culturali, politici, religiosi possono spiegare una flessione così marcata di richieste ai 55 enti italiani autorizzati a operare all'estero. Il calo delle pratiche, infatti, è stato costante negli anni. Sul fronte costi, l'associazione no profit Servizio polifunzionale per l'adozione internazionale (Spai), segnala le spese che si devono sostenere quando il figlio viene cercato in Paesi come Colombia (servono poco più di 10.000 euro), Bolivia (13.000 euro), Federazione Russa (circa 16.000 euro). Il sito di Bambarco Onlus, i «Bambini dell'Arcobaleno», informa che ci vogliono 18.000 euro per adottare un bimbo in Cina. Tempi previsti, circa 30 mesi, non si possono avere più di 55 anni, bisogna dimostrare di avere un reddito annuo superiore ai 10.000 dollari per ogni componente famigliare, proprietà immobiliari per almeno 80.000 dollari, possedere perlomeno un diploma di scuola superiore e un indice di massa corporea inferiore a 40. Oltre al secondo grado di obesità, niente bimbi dalla terra del coronavirus. L'associazione Nova chiede 15.800 euro per potersi portare a casa un bimbo dichiarato adottabile ad Haiti, 8.800 euro se lo si cerca India, 7.250 euro in Perù. Sono sempre «voce extra» le spese di viaggio, soggiorno, le visite mediche richieste e un'infinità di altri fuori programma che appesantiscono il budget a disposizione di una coppia, desiderosa di fare del bene. I costi di una procedura di adozione internazionale sono oneri deducibili al 50%. «A partire dal 2008, ogni coppia che aveva un reddito entro i 70.000 euro annui poteva ottenere un rimborso direttamente dalla Cai», precisa Michele Torri, responsabile adozioni internazionali di Amici dei Bambini (Ai.bi), organizzazione non governativa costituita da un movimento di famiglie adottive e affidatarie. «Dal 2013, però, questo rimborso è rimasto congelato e solo dal 2018 il meccanismo ha ripreso a funzionare. L'informazione pubblicata sul sito della Commissione riporta che sono state presentate per gli anni 2013/2017 più di 6.000 istanze e a luglio 2019, ultimo aggiornamento pubblicato, ne erano state liquidate solo circa 2.500».Nel 2018, il principale Paese di provenienza dei minorenni adottati è stata la Federazione Russa (200 bambini), seguita da Colombia (169), Ungheria (135), Bielorussia (112), India (110). «Il costo totale di una adozione in Bielorussia, comprensivo di viaggi, soggiorno, vitto e spese accessorie quali traduzioni, legalizzazioni e altro, si aggira intorno ai 18.000 euro», fa sapere Manuela Mura, psicologa di Aipa adozioni internazionali. «I tempi variano a seconda della situazione giuridica dei minori e degli accordi vigenti tra i due Paesi. Attualmente si fa riferimento all'accordo bilaterale firmato il 30 novembre del 2017 con il governo Gentiloni. Risultano adottabili i minori residenti in istituto e che siano iscritti da almeno un anno nella banca dati. Quest'anno ci ritroviamo con una trentina di pratiche bloccate, italiani da mesi in attesa di avere i bambini promessi. Le motivazioni addotte sono state le più disparate, pensiamo che in realtà vogliano ridefinire le clausole dell'accordo bilaterale. La Bielorussia si aspetta una nostra delegazione politica». Michele Torri ricorda «gli anni di paralisi che ha vissuto la Cai dal 2014 al 2017, fino alla nomina dell'attuale vicepresidente, Laura Laera. La Commissione è importantissima perché è il motore diplomatico dell'adozione internazionale per la promozione di nuovi accordi bilaterali, il mantenimento e lo sviluppo positivo delle relazioni con i Paesi stranieri. Abbiamo perso tempo prezioso», evidenzia Torri, riferendosi alle polemiche e disservizi che hanno reso ancor più difficile un cammino complesso. «Nel novembre 2011 cadde il governo Berlusconi e si insediò il governo Monti e da allora c'è stato un progressivo disinteresse» per le adozioni all'estero, denunciava lo scorso novembre sulla Nuova Bussola quotidiana Carlo Giovanardi, che della Cai fu presidente dal 2008 al 2011, ricordando il «disastro sotto la gestione di Silvia Della Monica, ex membro del Pd alla Commissione giustizia del Senato, che per due anni è stata contemporaneamente vicepresidente e, con una delega di Matteo Renzi, presidente». Giovanardi, condannando il taglio di oltre 2 milioni di euro al Fondo adozioni per i prossimi tre anni, attribuisce il forte calo delle richieste di bimbi provenienti dall'estero anche alla diffusione della pratica dell'utero in affitto: «I bambini se li vanno a comprare all'estero con 100, 200, 300.000 euro e i committenti li vogliono perfetti, sennò non li portano a casa». Mentre chi adotta, lo fa con autentico altruismo affrontando nuove problematiche. Si sta modificando, infatti, la tipologia di bambini che hanno bisogno di essere adottati. Pochi sono quelli piccolissimi, «in media hanno 6 anni», precisava Paola Crestani, presidente del Centro italiano aiuti all'infanzia (Ciai), aggiungendo che in molti di questi minori «problemi di salute di varia entità, tra cui sempre più spesso traumi o abusi hanno lasciato problematiche psicologiche importanti». Accertare la consapevolezza dei genitori che possono intraprendere un percorso non facile, diventa quasi più importante della verifica della disponibilità a far arrivare in casa un bimbo straniero. «Le coppie si ritrovano ad affrontare un colloquio in tribunale senza avere dimestichezza con temi complicati come quello dell'abbandono dei minori, dei traumi del maltrattamento e dell'abuso», spiega Michele Torri. «Se alcune persone hanno energia per proseguire e mantengono un elevato livello di motivazione, molte altre abbandonano. 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Tre milioni di futuri dottori, insegnanti, artisti, leader di comunità, madri e padri che oggi sopravvivono grazie a milioni di operatori e volontari in prima linea. I nostri operatori hanno percorso centinaia di miglia per raggiungere aree remote, attraverso giungle e superando mari per arrivare ad ogni bambino». Tre anni fa, la cifra dei bambini morti nel mondo per malattie prevenibili era di 1,5 milioni; l'anno successivo, secondo il rapporto Supply division 2018, l'Unicef aiutò minori procurando 2,36 miliardi di dosi di vaccini per sconfiggere malattie, soprattutto morbillo, difterite, tetano e papilloma virus. Interventi preziosi, sebbene secondo l'Oms sia di 200 miliardi di dollari l'anno il valore del mercato illegale dei farmaci non conformi alle norme o falsi. In alcune Regioni dell'Africa i farmaci contraffatti rappresenterebbero dal 30% al 60% del mercato interno. Medicinali scaduti o inefficaci, oltre a vaccini distribuiti senza criterio. I bambini che finiscono vaccinati più volte, senza controllo, magari perché risultino «adottabili» sono, infatti, un altro aspetto drammatico, come denuncia Emmanuele Di Leo, presidente dell'organizzazione Steadfast onlus. Da sette anni siete presenti in Nigeria, aiutando la popolazione locale. Nei prossimi mesi parte il progetto adozioni in collaborazione con Ai.bi. Qual è la situazione dei bambini negli orfanatrofi? «È molto precaria per mancanza di alloggi, nutrizione, cure. In assenza di genitori capaci di accudire i figli, il governo mette i bambini in orfanotrofio, ma tanti minori, che vivono in aree sperdute, non sono censiti e risultano anche maggiormente indifesi. Organizzazioni diverse, che si aggiudicano fondi per fare prevenzione sanitaria, vaccinano infatti bambini più volte, per la stessa malattia. Una situazione inaudita, aggravata dalla mancanza di un archivio dati». Non c'è un controllo delle vaccinazioni che vengono effettuate? «Funziona nelle grandi città, non nei villaggi nelle foreste dove vive una porzione importante della popolazione. L'assenza di educazione e di organizzazione fa sì che quelle aree diventino territori di caccia per chi vuole fare business. È facile immaginare che cosa può succedere quando enti internazionali vengono finanziati per campagne di vaccinazione. Non esistono cartelle cliniche dei piccoli pazienti, non avvengono censimenti, figuriamoci se i bambini possono essere schedati in appositi data base. Oggi arriva un'organizzazione a effettuare il vaccino contro la poliomielite? Domani ne verrà un'altra per lo stesso motivo e il bambino che è stato vaccinato ieri, subisce il medesimo trattamento. Una situazione inaudita, mentre alla base di qualsiasi azione umanitaria, specialmente nella prevenzione sanitaria, deve esserci una struttura organizzata». Il cinismo delle case farmaceutiche e di alcune Ong è terrificante. «Ci sono organizzazioni che fanno i propri interessi o sono al servizio di ideologie che ben poco hanno a che fare con le questioni umanitarie. C'è chi utilizza la scusa della prevenzione per trovare facili guadagni, come c'è chi solca i mari, sicuramente salvando vite, ma principalmente per trasmettere un chiaro disegno politico-economico. Questa è l'era dell'immagine, dove la sostanza viene fagocitata da chi sa fare buoni slogan. Però ci sono Ong che nel silenzio, senza telecamere, offrono un aiuto concreto per contrastare carestie, malattie e povertà, cercando di organizzare, educare interi territori». Quanti bambini risultano abbandonati o adottabili in Nigeria? «Conosciamo molto bene il territorio nigeriano, specialmente lo Stato di Enugu, dove abbiamo una delle nostre sedi, ma non esistono studi o ricerche che includano i bambini non censiti. Neanche grandi organismi come Onu o Unicef si sono attivati per realizzare uno report mondiale che possa rispondere a questa domanda. L'unica fonte attendibile e più recente è la relazione dell'Unicef del 2012, secondo la quale tra i bambini censiti in Nigeria, nazione che ha più di 200 milioni di abitanti, quelli dichiarati abbandonati o orfani sono 11,5 milioni». Gli italiani adottano ancora bambini africani? Ne arrivavano molti dall'Etiopia prima che da Addis Abeba arrivasse il no alle coppie straniere, perché orfani e abbandonati vanno «difesi e tutelati da abusi all'estero». «Siamo molto solidali, il nostro è il secondo Paese di accoglienza dopo gli Stati Uniti. Nel triennio 2017-2019 abbiamo adottato dall'Africa 246 bimbi, una percentuale che è stata del 25,5 % rispetto ad altre nazioni». Nel 2014 avete realizzato la prima Marcia per la vita in Nigeria, con l'intento di sensibilizzare l'opinione pubblica e la classe politica. Problemi come sfruttamento, eutanasia, maternità surrogata, mutilazione genitale, quanto sono ancora lontani dall'essere compresi dalla popolazione? «La povertà rimane molto forte, l'aborto è condannato, nel Paese più che l'eutanasia si pratica l'abbandono terapeutico. Purtroppo lo sfruttamento procreativo, il cosiddetto utero in affitto sta sostituendo il business della prostituzione, diventare madri surrogate in giro per il mondo rende molto di più alle donne nigeriane. Dobbiamo lavorare perché non diventi cultura».
Il direttore di Limes, Lucio Caracciolo (Imagoeconomica)
«A tutto c’è un Limes». E i professoroni se ne sono andati sbattendo la porta, accompagnati dal generale con le stellette e dall’eco della marcetta militare mediatica tutta grancassa e tromboni, a sottolineare come fosse democratica e dixie la ritirata strategica da quel covo di «putiniani sfegatati». La vicenda con al centro la guerra in Ucraina merita un approfondimento perché è paradigmatica di una polarizzazione che non lascia scampo a chi semplicemente intende approfondire i fatti. Nell’era del pensiero igienista, ogni contatto con il nemico e ogni lettura (anche critica) dei testi che egli produce sono considerati contaminanti.
Già la narrazione lascia perplessi e l’uscita dei martiri da un consiglio scientifico che vede nelle sue file Enrico Letta, Romano Prodi, Andrea Riccardi, Angelo Panebianco, Federico Fubini (atlantisti di ferro più che compagni di merende dello zar) indebolisce le ragioni dei transfughi. Se poi si aggiunge che in cima al comitato dei saggi della rivista campeggia il nome di Rosario Aitala - il giudice della Corte penale internazionale che due anni fa firmò un mandato di cattura per Vladimir Putin - ecco che le motivazioni del commando in doppiopetto si scaricano in fretta come le batterie dell’auto full electric guidata da Ursula von der Leyen.
Eppure Federico Argentieri (studioso di affari europei), Franz Gustincich (giornalista e fotografo), Giorgio Arfaras (economista) e Vincenzo Camporini (ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica) hanno preso la porta e hanno salutato Lucio Caracciolo con parole stizzite per «incompatibilità con la linea politica». Avvertivano una «nube tossica» aleggiare su Limes. Evidentemente non sopportavano che ogni dieci analisi filo-occidentali ce ne fossero un paio dedicate alle ragioni russe. Un’accusa pretestuosa al mensile di geopolitica più importante d’Italia e a uno storico direttore che in 30 anni si è guadagnato prestigio e indipendenza pur rimanendo nell’alveo del grande fiume navigabile (e spesso limaccioso) della sinistra culturale.
«Io quelli che se ne sono andati non li ho mai visti. Chi ci accusa di essere filorusso non ha mai sfogliato la rivista», ha dichiarato il giornalista Mirko Mussetti a Radio Cusano Campus. Dietro le rumorose dimissioni ci sarebbero cause tutt’altro che culturali, forse di opportunità. Arfaras è marito della giornalista russa naturalizzata italiana Anna Zafesova, studiosa del putinismo, firma della Stampa e voce di Radio Radicale. Il generale Camporini ha solidi interessi politici: già candidato di + Europa, è passato con Carlo Calenda e ha tentato invano la scalata all’Europarlamento. Oggi è responsabile della difesa dell’eurolirica Azione. La tempistica della fibrillazione è sospetta e chiama in causa anche le strategie editoriali. Limes fa parte del gruppo Gedi messo in vendita (in blocco o come spezzatino) da John Elkann; la rivista è solida, quindi obiettivo di qualcuno che potrebbe avere interesse a destabilizzarne la catena di comando.
Ieri Caracciolo ha replicato ai transfughi sottolineando che «la notizia è largamente sopravvalutata». Lo è anche in chiave numerica, visto che i consiglieri (fra scientifici e redazionali) sono un esercito: 106, ben più dei giornalisti che lavorano. Parlando con Il Fatto Quotidiano, il direttore ha aggiunto: «Noi siamo una rivista di geopolitica. Occorre analizzare i conflitti e ascoltare tutte le voci, anche le più lontane. Non possiamo metterci da una parte contro l’altra ma essere aperti a punti di vista diversi. Pubblicare non significa condividere il punto di vista dell’uno o dell’altro».
Argentieri lo ha messo sulla graticola con un paio di motivazioni surreali: avrebbe sbagliato a prevedere l’invasione russa nel febbraio 2022 («Non la faranno mai») e continua a colorare la Crimea come territorio russo sulle mappe, firmate dalla formidabile Laura Canali. Caracciolo non si scompone: «Avevo detto che se Putin avesse invaso l’Ucraina avrebbe fatto una follia. Pensavo che non l’avrebbe fatta, ho sbagliato, mi succede. Non capisco perché a distanza di tempo questo debba provocare le dimissioni». Capitolo cartina: «Chiunque sbarchi a Sebastopoli si accorge che si trova in Russia e non in Ucraina; per dichiarazione dello stesso Zelensky gli ucraini non sono in grado di recuperare quei territori».
Gli analisti lavorano sullo stato di fatto, non sui desiderata dei «Volenterosi» guidati da Bruxelles, ai quali i media italiani hanno srotolato i tradizionali tappetini. E ancora convinti come Napoleone e Hitler che la Russia vada sconfitta sul campo. Se Limes non ha creduto che Putin si curava con il sangue di bue; che uno degli eserciti più potenti del mondo combatteva con le pale; che Mosca era ridotta a usare i microchip delle lavatrici per far volare i missili, il problema non è suo ma di chi si è appiattito sulla retorica dopo aver studiato la Storia sui «Classici Audacia» a fumetti. Nel febbraio del 2024 Limes titolava: «Stiamo perdendo la guerra». Aveva ragione, notizia ruvidamente fattuale. La disinformazione da nube tossica aleggia altrove.
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Il nuovo numero di Polizia Moderna con Annalisa Bucchieri, Cristina Di Lucente assistente Capo coordinatore. Mauro Valeri ispettore, Cristiano Morabito Sovrintendente capo tecnico coordinatore.
Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni ed Elly Schlein (Ansa)
E ieri questo enorme divario si è fatto sentire ancor più forte in Aula. Il campo largo, ormai pieno di buche e pozzanghere, si è sfasciato anche sulla politica estera. In vista del Consiglio europeo il presidente del Consiglio ha tenuto le sue comunicazioni. La maggioranza si è presentata compatta con una risoluzione unica. Le opposizioni avevano cinque testi. Più che un campo largo, un campo sparso.
Divisi su tutti i dossier internazionali. Le distanze tra M5s e Pd sono abissali. Il dato politico è lampante: Avs, Più Europa, Azione, Italia viva, Pd, M5s sono sempre più come l’armata Brancaleone. Ognun per sé, nessun per tutti.
In tema di Ucraina, Pd e M5s sono spaccati sugli aiuti a Kiev. La Schlein vuole che continuino, mentre Conte ne chiede la sospensione. E poi ancora il Pd (area riformista) spinge per l’utilizzo degli asset russi congelati (210 miliardi) in aiuto a Kiev, il M5s dice no e anzi chiede di sospendere le sanzioni contro Putin. Schlein e Conte litigano anche su Trump. Il M5s spinge per il «piano Trump» per la pace in Ucraina. La risposta di Schlein? «La pace per Kiev non sia delegata a una telefonata Trump-Putin».
Ma risultano divisi anche Avs, Italia viva e Azione. Il partito di Calenda è il più filo ucraino e chiede che Ue e Italia restino al fianco del popolo ucraino per una pace giusta. Avs si accoda al M5s e propone lo stop agli aiuti militari per Zelensky. Ogni sostegno economico, politico e militare all’Ucraina, anche con l’utilizzo degli asset russi, è invece la posizione di Più Europa, condivisa con Italia viva e Azione.
Poi il Medio Oriente. Nella risoluzione Pd c’è la richiesta di riconoscere lo Stato di Palestina e sospendere il memorandum tra Italia e Israele. M5s e Avs accusano di genocidio il governo israeliano ignorando l’antisemitismo dilagante.
Terzo tema, il piano di riarmo europeo. Il Pd dice no al potenziamento degli eserciti nazionali e sì al piano della difesa comune europea. Avs e M5s bocciano la difesa comune europea. Italia viva e Azione appoggiano la linea europea sul riarmo.
Infine, che il campo largo sia solo un’illusione lo dimostra anche il caso di Alessandra Moretti finita nell’inchiesta Qatargate. Il Parlamento europeo vota a favore della revoca dell’immunità all’europarlamentare del Pd. Grazie al M5s che dà in pasto la compagna dem al temutissimo sistema giudiziario belga.
L’alleanza tra Pd e M5s è un vero bluff e l’intervento di Giuseppe Conte ad Atreju lo ha sottoscritto. «Non siamo alleati con nessuno». Tradotto: capotavola è dove mi siedo io. Altro che campo largo, abbiamo capito che lui giocherà da solo. E lo stesso farà la Schlein. Ad Atreju, come anche ieri in aula, Conte si è ripreso la scena. Ha lanciato la sfida al Pd ormai malconcio, privo di una direzione politica e incapace di imporsi come baricentro dell’opposizione.
Ieri abbiamo definitivamente capito che il campo largo non esiste. Conte non ci sta ad essere comandato da una segretaria del Pd ancora politicamente acerba, comunicativamente incapace e schiacciata dalle correnti del suo stesso partito. I sondaggi dicono che perfino molti elettori del Pd lo preferirebbero come candidato premier e lui ci crede. Il campo largo per lui è una gabbia dalla quale uscire.
Anche se in maniera piuttosto discutibile, è comunque stato per due volte premier. E tanto gli basta per sentirsi ancora il leader. In politica estera parte molto avvantaggiato rispetto alla Schlein che non conosce nessuno. Ha già un rapporto privilegiato con l’amministrazione Trump e con le cancellerie europee, che la Schlein isolazionista non sa neppure dove si trovino.
La realtà racconta di un centrodestra compatto e di una sinistra che si logora giorno dopo giorno in una guerra intestina per la leadership dell’opposizione. Una sinistra che si interroga su chi comandi, con «alleati» che si smentiscono continuamente. Nel centrodestra è tutto chiaro, da sempre: se si vince, il leader del partito che prende più voti fa il premier. Nel centrosinistra, invece, è un caos, come al solito.
Tutti balleranno da soli, come stanno già facendo, un valzer che ricorda l’ultimo ballo sul Titanic.
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Con Elena Tessari, grande "donna del vino", raccontiamo una storia di eccellenza italiana. Con qualche consiglio per il Natale che arriva.