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2020-02-24
Così le adozioni internazionali sono
diventate impossibili
Ansa
Le adozioni internazionali sono drasticamente calate, siamo passati da 4.310 bambini accolti come figli da coppie italiane nel 2010, ad appena 1.205 nel 2019. Livelli minimi, segnale di quanto le famiglie siano scoraggiate e di come l'unica risposta delle istituzioni sia di pensare di allargare le adozioni al mondo Lgbt. Nel 2018, su 2.615 richieste di diventare genitori di minori stranieri, i decreti di idoneità riconosciuti sono stati 1.951 e 1.153 i bimbi adottati. Numeri piccoli, se pensiamo che le famiglie italiane senza figli sono più di 5 milioni e oltre 140 milioni i bambini abbandonati nel mondo, secondo i dati Unicef del 2016. Sempre in quell'anno, risultava che a livello mondiale le adozioni erano calate dal 2004 del 77%. Secondo la nostra Cai, Commissione adozioni internazionali, nel 95,3% dei casi la scelta di adottare nasce dall'infertilità, nel 2,4% dal desiderio di aiutare bambini in difficoltà, nello 0,6% dalla conoscenza del minore.
Tempi troppo lunghi per concludere l'iter (possono volerci fino a 3 anni), costi elevati e scarse possibilità di ottenere rimborsi delle spese sostenute scoraggiano sempre più coppie dal rivolgersi fuori Italia, per trovare il figlio che non riescono ad avere o per dare accoglienza a un bimbo abbandonato. Mancanza di supporto economico e sociale alla famiglia che adotta, oltre a cambiamenti culturali, politici, religiosi possono spiegare una flessione così marcata di richieste ai 55 enti italiani autorizzati a operare all'estero. Il calo delle pratiche, infatti, è stato costante negli anni.
Sul fronte costi, l'associazione no profit Servizio polifunzionale per l'adozione internazionale (Spai), segnala le spese che si devono sostenere quando il figlio viene cercato in Paesi come Colombia (servono poco più di 10.000 euro), Bolivia (13.000 euro), Federazione Russa (circa 16.000 euro). Il sito di Bambarco Onlus, i «Bambini dell'Arcobaleno», informa che ci vogliono 18.000 euro per adottare un bimbo in Cina. Tempi previsti, circa 30 mesi, non si possono avere più di 55 anni, bisogna dimostrare di avere un reddito annuo superiore ai 10.000 dollari per ogni componente famigliare, proprietà immobiliari per almeno 80.000 dollari, possedere perlomeno un diploma di scuola superiore e un indice di massa corporea inferiore a 40. Oltre al secondo grado di obesità, niente bimbi dalla terra del coronavirus. L'associazione Nova chiede 15.800 euro per potersi portare a casa un bimbo dichiarato adottabile ad Haiti, 8.800 euro se lo si cerca India, 7.250 euro in Perù.
Sono sempre «voce extra» le spese di viaggio, soggiorno, le visite mediche richieste e un'infinità di altri fuori programma che appesantiscono il budget a disposizione di una coppia, desiderosa di fare del bene. I costi di una procedura di adozione internazionale sono oneri deducibili al 50%. «A partire dal 2008, ogni coppia che aveva un reddito entro i 70.000 euro annui poteva ottenere un rimborso direttamente dalla Cai», precisa Michele Torri, responsabile adozioni internazionali di Amici dei Bambini (Ai.bi), organizzazione non governativa costituita da un movimento di famiglie adottive e affidatarie. «Dal 2013, però, questo rimborso è rimasto congelato e solo dal 2018 il meccanismo ha ripreso a funzionare. L'informazione pubblicata sul sito della Commissione riporta che sono state presentate per gli anni 2013/2017 più di 6.000 istanze e a luglio 2019, ultimo aggiornamento pubblicato, ne erano state liquidate solo circa 2.500».
Nel 2018, il principale Paese di provenienza dei minorenni adottati è stata la Federazione Russa (200 bambini), seguita da Colombia (169), Ungheria (135), Bielorussia (112), India (110). «Il costo totale di una adozione in Bielorussia, comprensivo di viaggi, soggiorno, vitto e spese accessorie quali traduzioni, legalizzazioni e altro, si aggira intorno ai 18.000 euro», fa sapere Manuela Mura, psicologa di Aipa adozioni internazionali. «I tempi variano a seconda della situazione giuridica dei minori e degli accordi vigenti tra i due Paesi. Attualmente si fa riferimento all'accordo bilaterale firmato il 30 novembre del 2017 con il governo Gentiloni. Risultano adottabili i minori residenti in istituto e che siano iscritti da almeno un anno nella banca dati. Quest'anno ci ritroviamo con una trentina di pratiche bloccate, italiani da mesi in attesa di avere i bambini promessi. Le motivazioni addotte sono state le più disparate, pensiamo che in realtà vogliano ridefinire le clausole dell'accordo bilaterale. La Bielorussia si aspetta una nostra delegazione politica». Michele Torri ricorda «gli anni di paralisi che ha vissuto la Cai dal 2014 al 2017, fino alla nomina dell'attuale vicepresidente, Laura Laera. La Commissione è importantissima perché è il motore diplomatico dell'adozione internazionale per la promozione di nuovi accordi bilaterali, il mantenimento e lo sviluppo positivo delle relazioni con i Paesi stranieri. Abbiamo perso tempo prezioso», evidenzia Torri, riferendosi alle polemiche e disservizi che hanno reso ancor più difficile un cammino complesso. «Nel novembre 2011 cadde il governo Berlusconi e si insediò il governo Monti e da allora c'è stato un progressivo disinteresse» per le adozioni all'estero, denunciava lo scorso novembre sulla Nuova Bussola quotidiana Carlo Giovanardi, che della Cai fu presidente dal 2008 al 2011, ricordando il «disastro sotto la gestione di Silvia Della Monica, ex membro del Pd alla Commissione giustizia del Senato, che per due anni è stata contemporaneamente vicepresidente e, con una delega di Matteo Renzi, presidente». Giovanardi, condannando il taglio di oltre 2 milioni di euro al Fondo adozioni per i prossimi tre anni, attribuisce il forte calo delle richieste di bimbi provenienti dall'estero anche alla diffusione della pratica dell'utero in affitto: «I bambini se li vanno a comprare all'estero con 100, 200, 300.000 euro e i committenti li vogliono perfetti, sennò non li portano a casa». Mentre chi adotta, lo fa con autentico altruismo affrontando nuove problematiche.
Si sta modificando, infatti, la tipologia di bambini che hanno bisogno di essere adottati. Pochi sono quelli piccolissimi, «in media hanno 6 anni», precisava Paola Crestani, presidente del Centro italiano aiuti all'infanzia (Ciai), aggiungendo che in molti di questi minori «problemi di salute di varia entità, tra cui sempre più spesso traumi o abusi hanno lasciato problematiche psicologiche importanti». Accertare la consapevolezza dei genitori che possono intraprendere un percorso non facile, diventa quasi più importante della verifica della disponibilità a far arrivare in casa un bimbo straniero. «Le coppie si ritrovano ad affrontare un colloquio in tribunale senza avere dimestichezza con temi complicati come quello dell'abbandono dei minori, dei traumi del maltrattamento e dell'abuso», spiega Michele Torri. «Se alcune persone hanno energia per proseguire e mantengono un elevato livello di motivazione, molte altre abbandonano. E questi abbandoni non sono cosa da poco, per molti bambini si perde l'opportunità di essere accolti e poter tornare a essere figli».
«Negli orfanotrofi della Nigeria si fanno affari vaccinando i piccoli»
Lo scorso anno, annunciando #Vaccineswork, una delle campagne mondiali promosse «per sottolineare la forza e la sicurezza dei vaccini», realizzata in collaborazione con la Bill & Melinda Gates foundation, il responsabile Unicef per le vaccinazioni, Robin Nandy, ricordava che nel 2018 vennero salvati «circa 3 milioni di bambini. Tre milioni di futuri dottori, insegnanti, artisti, leader di comunità, madri e padri che oggi sopravvivono grazie a milioni di operatori e volontari in prima linea. I nostri operatori hanno percorso centinaia di miglia per raggiungere aree remote, attraverso giungle e superando mari per arrivare ad ogni bambino». Tre anni fa, la cifra dei bambini morti nel mondo per malattie prevenibili era di 1,5 milioni; l'anno successivo, secondo il rapporto Supply division 2018, l'Unicef aiutò minori procurando 2,36 miliardi di dosi di vaccini per sconfiggere malattie, soprattutto morbillo, difterite, tetano e papilloma virus. Interventi preziosi, sebbene secondo l'Oms sia di 200 miliardi di dollari l'anno il valore del mercato illegale dei farmaci non conformi alle norme o falsi. In alcune Regioni dell'Africa i farmaci contraffatti rappresenterebbero dal 30% al 60% del mercato interno. Medicinali scaduti o inefficaci, oltre a vaccini distribuiti senza criterio. I bambini che finiscono vaccinati più volte, senza controllo, magari perché risultino «adottabili» sono, infatti, un altro aspetto drammatico, come denuncia Emmanuele Di Leo, presidente dell'organizzazione Steadfast onlus.
Da sette anni siete presenti in Nigeria, aiutando la popolazione locale. Nei prossimi mesi parte il progetto adozioni in collaborazione con Ai.bi. Qual è la situazione dei bambini negli orfanatrofi?
«È molto precaria per mancanza di alloggi, nutrizione, cure. In assenza di genitori capaci di accudire i figli, il governo mette i bambini in orfanotrofio, ma tanti minori, che vivono in aree sperdute, non sono censiti e risultano anche maggiormente indifesi. Organizzazioni diverse, che si aggiudicano fondi per fare prevenzione sanitaria, vaccinano infatti bambini più volte, per la stessa malattia. Una situazione inaudita, aggravata dalla mancanza di un archivio dati».
Non c'è un controllo delle vaccinazioni che vengono effettuate?
«Funziona nelle grandi città, non nei villaggi nelle foreste dove vive una porzione importante della popolazione. L'assenza di educazione e di organizzazione fa sì che quelle aree diventino territori di caccia per chi vuole fare business. È facile immaginare che cosa può succedere quando enti internazionali vengono finanziati per campagne di vaccinazione. Non esistono cartelle cliniche dei piccoli pazienti, non avvengono censimenti, figuriamoci se i bambini possono essere schedati in appositi data base. Oggi arriva un'organizzazione a effettuare il vaccino contro la poliomielite? Domani ne verrà un'altra per lo stesso motivo e il bambino che è stato vaccinato ieri, subisce il medesimo trattamento. Una situazione inaudita, mentre alla base di qualsiasi azione umanitaria, specialmente nella prevenzione sanitaria, deve esserci una struttura organizzata».
Il cinismo delle case farmaceutiche e di alcune Ong è terrificante.
«Ci sono organizzazioni che fanno i propri interessi o sono al servizio di ideologie che ben poco hanno a che fare con le questioni umanitarie. C'è chi utilizza la scusa della prevenzione per trovare facili guadagni, come c'è chi solca i mari, sicuramente salvando vite, ma principalmente per trasmettere un chiaro disegno politico-economico. Questa è l'era dell'immagine, dove la sostanza viene fagocitata da chi sa fare buoni slogan. Però ci sono Ong che nel silenzio, senza telecamere, offrono un aiuto concreto per contrastare carestie, malattie e povertà, cercando di organizzare, educare interi territori».
Quanti bambini risultano abbandonati o adottabili in Nigeria?
«Conosciamo molto bene il territorio nigeriano, specialmente lo Stato di Enugu, dove abbiamo una delle nostre sedi, ma non esistono studi o ricerche che includano i bambini non censiti. Neanche grandi organismi come Onu o Unicef si sono attivati per realizzare uno report mondiale che possa rispondere a questa domanda. L'unica fonte attendibile e più recente è la relazione dell'Unicef del 2012, secondo la quale tra i bambini censiti in Nigeria, nazione che ha più di 200 milioni di abitanti, quelli dichiarati abbandonati o orfani sono 11,5 milioni».
Gli italiani adottano ancora bambini africani? Ne arrivavano molti dall'Etiopia prima che da Addis Abeba arrivasse il no alle coppie straniere, perché orfani e abbandonati vanno «difesi e tutelati da abusi all'estero».
«Siamo molto solidali, il nostro è il secondo Paese di accoglienza dopo gli Stati Uniti. Nel triennio 2017-2019 abbiamo adottato dall'Africa 246 bimbi, una percentuale che è stata del 25,5 % rispetto ad altre nazioni».
Nel 2014 avete realizzato la prima Marcia per la vita in Nigeria, con l'intento di sensibilizzare l'opinione pubblica e la classe politica. Problemi come sfruttamento, eutanasia, maternità surrogata, mutilazione genitale, quanto sono ancora lontani dall'essere compresi dalla popolazione?
«La povertà rimane molto forte, l'aborto è condannato, nel Paese più che l'eutanasia si pratica l'abbandono terapeutico. Purtroppo lo sfruttamento procreativo, il cosiddetto utero in affitto sta sostituendo il business della prostituzione, diventare madri surrogate in giro per il mondo rende molto di più alle donne nigeriane. Dobbiamo lavorare perché non diventi cultura».
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Riduci
Burocrazia e costi (fino a 18.000 euro) scoraggiano le famiglie che vorrebbero accogliere bimbi stranieri. Chi ha i soldi sceglie l'utero in affitto, la politica invece si preoccupa di affidi Lgbt.Il presidente di Steadfast onlus: «Le Ong approfittano degli scarsi controlli per somministrare più volte lo stesso trattamento medico. E nel Paese la maternità surrogata adesso frutta di più della prostituzione».Lo speciale contiene due articoliLe adozioni internazionali sono drasticamente calate, siamo passati da 4.310 bambini accolti come figli da coppie italiane nel 2010, ad appena 1.205 nel 2019. Livelli minimi, segnale di quanto le famiglie siano scoraggiate e di come l'unica risposta delle istituzioni sia di pensare di allargare le adozioni al mondo Lgbt. Nel 2018, su 2.615 richieste di diventare genitori di minori stranieri, i decreti di idoneità riconosciuti sono stati 1.951 e 1.153 i bimbi adottati. Numeri piccoli, se pensiamo che le famiglie italiane senza figli sono più di 5 milioni e oltre 140 milioni i bambini abbandonati nel mondo, secondo i dati Unicef del 2016. Sempre in quell'anno, risultava che a livello mondiale le adozioni erano calate dal 2004 del 77%. Secondo la nostra Cai, Commissione adozioni internazionali, nel 95,3% dei casi la scelta di adottare nasce dall'infertilità, nel 2,4% dal desiderio di aiutare bambini in difficoltà, nello 0,6% dalla conoscenza del minore. Tempi troppo lunghi per concludere l'iter (possono volerci fino a 3 anni), costi elevati e scarse possibilità di ottenere rimborsi delle spese sostenute scoraggiano sempre più coppie dal rivolgersi fuori Italia, per trovare il figlio che non riescono ad avere o per dare accoglienza a un bimbo abbandonato. Mancanza di supporto economico e sociale alla famiglia che adotta, oltre a cambiamenti culturali, politici, religiosi possono spiegare una flessione così marcata di richieste ai 55 enti italiani autorizzati a operare all'estero. Il calo delle pratiche, infatti, è stato costante negli anni. Sul fronte costi, l'associazione no profit Servizio polifunzionale per l'adozione internazionale (Spai), segnala le spese che si devono sostenere quando il figlio viene cercato in Paesi come Colombia (servono poco più di 10.000 euro), Bolivia (13.000 euro), Federazione Russa (circa 16.000 euro). Il sito di Bambarco Onlus, i «Bambini dell'Arcobaleno», informa che ci vogliono 18.000 euro per adottare un bimbo in Cina. Tempi previsti, circa 30 mesi, non si possono avere più di 55 anni, bisogna dimostrare di avere un reddito annuo superiore ai 10.000 dollari per ogni componente famigliare, proprietà immobiliari per almeno 80.000 dollari, possedere perlomeno un diploma di scuola superiore e un indice di massa corporea inferiore a 40. Oltre al secondo grado di obesità, niente bimbi dalla terra del coronavirus. L'associazione Nova chiede 15.800 euro per potersi portare a casa un bimbo dichiarato adottabile ad Haiti, 8.800 euro se lo si cerca India, 7.250 euro in Perù. Sono sempre «voce extra» le spese di viaggio, soggiorno, le visite mediche richieste e un'infinità di altri fuori programma che appesantiscono il budget a disposizione di una coppia, desiderosa di fare del bene. I costi di una procedura di adozione internazionale sono oneri deducibili al 50%. «A partire dal 2008, ogni coppia che aveva un reddito entro i 70.000 euro annui poteva ottenere un rimborso direttamente dalla Cai», precisa Michele Torri, responsabile adozioni internazionali di Amici dei Bambini (Ai.bi), organizzazione non governativa costituita da un movimento di famiglie adottive e affidatarie. «Dal 2013, però, questo rimborso è rimasto congelato e solo dal 2018 il meccanismo ha ripreso a funzionare. L'informazione pubblicata sul sito della Commissione riporta che sono state presentate per gli anni 2013/2017 più di 6.000 istanze e a luglio 2019, ultimo aggiornamento pubblicato, ne erano state liquidate solo circa 2.500».Nel 2018, il principale Paese di provenienza dei minorenni adottati è stata la Federazione Russa (200 bambini), seguita da Colombia (169), Ungheria (135), Bielorussia (112), India (110). «Il costo totale di una adozione in Bielorussia, comprensivo di viaggi, soggiorno, vitto e spese accessorie quali traduzioni, legalizzazioni e altro, si aggira intorno ai 18.000 euro», fa sapere Manuela Mura, psicologa di Aipa adozioni internazionali. «I tempi variano a seconda della situazione giuridica dei minori e degli accordi vigenti tra i due Paesi. Attualmente si fa riferimento all'accordo bilaterale firmato il 30 novembre del 2017 con il governo Gentiloni. Risultano adottabili i minori residenti in istituto e che siano iscritti da almeno un anno nella banca dati. Quest'anno ci ritroviamo con una trentina di pratiche bloccate, italiani da mesi in attesa di avere i bambini promessi. Le motivazioni addotte sono state le più disparate, pensiamo che in realtà vogliano ridefinire le clausole dell'accordo bilaterale. La Bielorussia si aspetta una nostra delegazione politica». Michele Torri ricorda «gli anni di paralisi che ha vissuto la Cai dal 2014 al 2017, fino alla nomina dell'attuale vicepresidente, Laura Laera. La Commissione è importantissima perché è il motore diplomatico dell'adozione internazionale per la promozione di nuovi accordi bilaterali, il mantenimento e lo sviluppo positivo delle relazioni con i Paesi stranieri. Abbiamo perso tempo prezioso», evidenzia Torri, riferendosi alle polemiche e disservizi che hanno reso ancor più difficile un cammino complesso. «Nel novembre 2011 cadde il governo Berlusconi e si insediò il governo Monti e da allora c'è stato un progressivo disinteresse» per le adozioni all'estero, denunciava lo scorso novembre sulla Nuova Bussola quotidiana Carlo Giovanardi, che della Cai fu presidente dal 2008 al 2011, ricordando il «disastro sotto la gestione di Silvia Della Monica, ex membro del Pd alla Commissione giustizia del Senato, che per due anni è stata contemporaneamente vicepresidente e, con una delega di Matteo Renzi, presidente». Giovanardi, condannando il taglio di oltre 2 milioni di euro al Fondo adozioni per i prossimi tre anni, attribuisce il forte calo delle richieste di bimbi provenienti dall'estero anche alla diffusione della pratica dell'utero in affitto: «I bambini se li vanno a comprare all'estero con 100, 200, 300.000 euro e i committenti li vogliono perfetti, sennò non li portano a casa». Mentre chi adotta, lo fa con autentico altruismo affrontando nuove problematiche. Si sta modificando, infatti, la tipologia di bambini che hanno bisogno di essere adottati. Pochi sono quelli piccolissimi, «in media hanno 6 anni», precisava Paola Crestani, presidente del Centro italiano aiuti all'infanzia (Ciai), aggiungendo che in molti di questi minori «problemi di salute di varia entità, tra cui sempre più spesso traumi o abusi hanno lasciato problematiche psicologiche importanti». Accertare la consapevolezza dei genitori che possono intraprendere un percorso non facile, diventa quasi più importante della verifica della disponibilità a far arrivare in casa un bimbo straniero. «Le coppie si ritrovano ad affrontare un colloquio in tribunale senza avere dimestichezza con temi complicati come quello dell'abbandono dei minori, dei traumi del maltrattamento e dell'abuso», spiega Michele Torri. «Se alcune persone hanno energia per proseguire e mantengono un elevato livello di motivazione, molte altre abbandonano. 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Tre milioni di futuri dottori, insegnanti, artisti, leader di comunità, madri e padri che oggi sopravvivono grazie a milioni di operatori e volontari in prima linea. I nostri operatori hanno percorso centinaia di miglia per raggiungere aree remote, attraverso giungle e superando mari per arrivare ad ogni bambino». Tre anni fa, la cifra dei bambini morti nel mondo per malattie prevenibili era di 1,5 milioni; l'anno successivo, secondo il rapporto Supply division 2018, l'Unicef aiutò minori procurando 2,36 miliardi di dosi di vaccini per sconfiggere malattie, soprattutto morbillo, difterite, tetano e papilloma virus. Interventi preziosi, sebbene secondo l'Oms sia di 200 miliardi di dollari l'anno il valore del mercato illegale dei farmaci non conformi alle norme o falsi. In alcune Regioni dell'Africa i farmaci contraffatti rappresenterebbero dal 30% al 60% del mercato interno. Medicinali scaduti o inefficaci, oltre a vaccini distribuiti senza criterio. I bambini che finiscono vaccinati più volte, senza controllo, magari perché risultino «adottabili» sono, infatti, un altro aspetto drammatico, come denuncia Emmanuele Di Leo, presidente dell'organizzazione Steadfast onlus. Da sette anni siete presenti in Nigeria, aiutando la popolazione locale. Nei prossimi mesi parte il progetto adozioni in collaborazione con Ai.bi. Qual è la situazione dei bambini negli orfanatrofi? «È molto precaria per mancanza di alloggi, nutrizione, cure. In assenza di genitori capaci di accudire i figli, il governo mette i bambini in orfanotrofio, ma tanti minori, che vivono in aree sperdute, non sono censiti e risultano anche maggiormente indifesi. Organizzazioni diverse, che si aggiudicano fondi per fare prevenzione sanitaria, vaccinano infatti bambini più volte, per la stessa malattia. Una situazione inaudita, aggravata dalla mancanza di un archivio dati». Non c'è un controllo delle vaccinazioni che vengono effettuate? «Funziona nelle grandi città, non nei villaggi nelle foreste dove vive una porzione importante della popolazione. L'assenza di educazione e di organizzazione fa sì che quelle aree diventino territori di caccia per chi vuole fare business. È facile immaginare che cosa può succedere quando enti internazionali vengono finanziati per campagne di vaccinazione. Non esistono cartelle cliniche dei piccoli pazienti, non avvengono censimenti, figuriamoci se i bambini possono essere schedati in appositi data base. Oggi arriva un'organizzazione a effettuare il vaccino contro la poliomielite? Domani ne verrà un'altra per lo stesso motivo e il bambino che è stato vaccinato ieri, subisce il medesimo trattamento. Una situazione inaudita, mentre alla base di qualsiasi azione umanitaria, specialmente nella prevenzione sanitaria, deve esserci una struttura organizzata». Il cinismo delle case farmaceutiche e di alcune Ong è terrificante. «Ci sono organizzazioni che fanno i propri interessi o sono al servizio di ideologie che ben poco hanno a che fare con le questioni umanitarie. C'è chi utilizza la scusa della prevenzione per trovare facili guadagni, come c'è chi solca i mari, sicuramente salvando vite, ma principalmente per trasmettere un chiaro disegno politico-economico. Questa è l'era dell'immagine, dove la sostanza viene fagocitata da chi sa fare buoni slogan. Però ci sono Ong che nel silenzio, senza telecamere, offrono un aiuto concreto per contrastare carestie, malattie e povertà, cercando di organizzare, educare interi territori». Quanti bambini risultano abbandonati o adottabili in Nigeria? «Conosciamo molto bene il territorio nigeriano, specialmente lo Stato di Enugu, dove abbiamo una delle nostre sedi, ma non esistono studi o ricerche che includano i bambini non censiti. Neanche grandi organismi come Onu o Unicef si sono attivati per realizzare uno report mondiale che possa rispondere a questa domanda. L'unica fonte attendibile e più recente è la relazione dell'Unicef del 2012, secondo la quale tra i bambini censiti in Nigeria, nazione che ha più di 200 milioni di abitanti, quelli dichiarati abbandonati o orfani sono 11,5 milioni». Gli italiani adottano ancora bambini africani? Ne arrivavano molti dall'Etiopia prima che da Addis Abeba arrivasse il no alle coppie straniere, perché orfani e abbandonati vanno «difesi e tutelati da abusi all'estero». «Siamo molto solidali, il nostro è il secondo Paese di accoglienza dopo gli Stati Uniti. Nel triennio 2017-2019 abbiamo adottato dall'Africa 246 bimbi, una percentuale che è stata del 25,5 % rispetto ad altre nazioni». Nel 2014 avete realizzato la prima Marcia per la vita in Nigeria, con l'intento di sensibilizzare l'opinione pubblica e la classe politica. Problemi come sfruttamento, eutanasia, maternità surrogata, mutilazione genitale, quanto sono ancora lontani dall'essere compresi dalla popolazione? «La povertà rimane molto forte, l'aborto è condannato, nel Paese più che l'eutanasia si pratica l'abbandono terapeutico. Purtroppo lo sfruttamento procreativo, il cosiddetto utero in affitto sta sostituendo il business della prostituzione, diventare madri surrogate in giro per il mondo rende molto di più alle donne nigeriane. Dobbiamo lavorare perché non diventi cultura».
Ursula von der Leyen (Ansa)
Per quanto riguarda, invece, la direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale (Csrd), che impone alle aziende di comunicare il proprio impatto ambientale e sociale, l’accordo prevede si applichi solo alle aziende con più di 1.000 dipendenti e un fatturato netto annuo di 450 milioni di euro.
Con le modifiche decise due giorni fa, l’80% delle aziende che sarebbero state soggette alla norma saranno ora liberate dagli obblighi. Festeggia Ursula von der Leyen: «Accolgo con favore l’accordo politico sul pacchetto di semplificazione Omnibus I. Con un risparmio fino a 4,5 miliardi di euro ridurrà i costi amministrativi, taglierà la burocrazia e renderà più semplice il rispetto delle norme di sostenibilità», ha detto il presidente della Commissione.
In un comunicato stampa, la Commissione dice: «Le misure proposte per ridurre l’ambito di applicazione della Csrd genereranno notevoli risparmi sui costi per le aziende. Le modifiche alla Csddd eliminano inutili complessità e, in ultima analisi, riducono gli oneri di conformità, preservando al contempo gli obiettivi della direttiva».
Dunque, ricapitolando, la revisione libera dall’obbligo di conformità l’80% dei soggetti obbligati dalla vecchia norma, il che significa evidentemente che per l’80% dei casi quella norma era inutile, anzi dannosa, visto che comportava costi ingenti per il suo rispetto e nessuna utilità pratica. Se vi fosse stata una qualche utilità la norma sarebbe rimasta anche per questi, è chiaro.
Non solo. Von der Leyen si rallegra di avere fatto risparmiare 4,5 miliardi di euro, come se a scaricare quella montagna di costi sulle aziende fosse stato qualcun altro o il destino cinico e baro, e non la norma che lei stessa e la sua maggioranza hanno voluto. La Commissione si rallegra di aver semplificato cose che essa stessa ha complicato, di avere tolto burocrazia dopo averla messa.
In questa commedia si potrebbe sospettare una regia di Eugène Ionesco, se fosse ancora vivo. La verità è che già la scorsa primavera, Germania e Francia avevano chiesto l’abrogazione completa delle norme. Nelle dichiarazioni a seguito dell’accordo tra Consiglio Ue e Parlamento, con la benedizione della Commissione, non è da meno il sagace ministro danese dell’Industria, Morten Bodskov (la Danimarca ha la presidenza di turno del Consiglio Ue): «Non stiamo rimuovendo gli obiettivi green, stiamo rendendo più semplice raggiungerli. Pensavamo che legislazione verde più complessa avrebbe creato più posti di lavoro green, ma non è così: anzi, ha generato lavoro per la contabilità». C’è da chiedersi se da quelle parti siano davvero sorpresi dell’effetto negativo generato dall’imposizione di inutile burocrazia sulle aziende. Sul serio a Bruxelles qualcuno pensa che complicare la vita alle imprese generi posti di lavoro? Sono dichiarazioni ben più che preoccupanti.
Fine di un incubo per migliaia di aziende europee, dunque, ma i problemi restano, essendo la norma di difficile applicazione pratica anche per le multinazionali. Sulla revisione delle due direttive hanno giocato certamente un ruolo le pressioni degli Stati Uniti, dopo che Donald Trump a più riprese ha sottolineato come vi siano barriere non di prezzo all’ingresso nel mercato europeo che devono essere eliminate. Due di queste barriere sono proprio le direttive Csrd e Csddd, che restano in vigore per le grandi aziende. Non a caso, il portavoce dell’azienda americana del petrolio Exxon Mobil ha fatto notare che si tratta di norme extraterritoriali, definendole «inaccettabili», mentre l’ambasciatore americano presso l’Ue, Andrew Puzder ha detto che le norme rendono difficile la fornitura all’Europa dell’energia di cui ha bisogno.
La sensazione è che si vada verso un regime di esenzioni ad hoc, si vedrà. Ma i lamenti arrivano anche dalla parte opposta. La finanza green brontola perché teme un aumento dei rischi, senza i piani climatici delle aziende, che però nessuno sinora ha mai visto. Misteri degli algoritmi Esg.
Ora le modifiche, che fanno parte del pacchetto Omnibus I presentato lo scorso febbraio dalla Commissione, dovranno essere approvate dal Consiglio Ue, dove votano i ministri e dove non dovrebbe incontrare ostacoli, e dal Parlamento europeo, dove invece è possibile qualche sorpresa nel voto. La posizione del Parlamento che ha portato all’accordo di martedì è frutto di una intesa tra i popolari del Ppe e la destra dei Patrioti e di Ecr. Il gruppo dei Patrioti esulta, sottolineando come l’accordo sia frutto di una nuova maggioranza di centrodestra che rende superata la maggioranza attuale tra Ppe, Renew e Socialisti.
Il risvolto politico della vicenda è che si è rotto definitivamente il «cordone sanitario» steso a Bruxelles attorno al gruppo che comprende il Rassemblement national francese di Marine Le Pen, il partito ungherese Fidesz e la Lega di Matteo Salvini.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
La Bce, pur riconoscendo «alcune novità (nel testo riformulato) che vanno incontro alle osservazioni precedenti», in particolare «il rispetto degli articoli del trattato sulla gestione delle riserve auree dei Paesi», continua ad avere «dubbi sulla finalità della norma». Con la lettera, Giorgetti rassicura che l’emendamento non mira a spianare la strada al trasferimento dell’oro o di altre riserve in valuta fuori del bilancio di Bankitalia e non contiene nessun escamotage per aggirare il divieto per le banche centrali di finanziare il settore pubblico.
Il ministro potrebbe inoltre fornire un ulteriore chiarimento direttamente alla presidente Lagarde, oggi, quando i due si incontreranno per i lavori dell’Eurogruppo. Se la Bce si riterrà soddisfatta delle precisazioni, il ministero dell’Economia darà indicazioni per riformulare l’emendamento.
Una nota informativa di Fdi, smonta i pregiudizi ideologici e le perplessità che sono dietro alla nota della Bce. «L’emendamento proposto da Fratelli d’Italia è volto a specificare un concetto che dovrebbe essere condiviso da tutti: ovvero che le riserve auree sono di proprietà dei popoli che le hanno accumulate negli anni, e quindi», si legge, «si tratta di una previsione che tutti danno per scontata. Eppure non è mai stata codificata nell’ordinamento italiano, a differenza di quanto è avvenuto in altri Stati, anche membri dell’Ue. Affermare che la proprietà delle riserve auree appartenga al popolo non confligge, infatti, in alcun modo con i trattati e i regolamenti europei». Quindi ribadire un principio scontato, e cioè che le riserve auree sono di proprietà del popolo italiano, non mette in discussione l’indipendenza della Banca d’Italia, né viola i trattati europei. «Già nel 2019 la Bce, allora guidata da Mario Draghi, aveva chiarito che la questione della proprietà legale e delle competenze del Sistema europeo delle banche centrali (Sebc), con riferimento alle riserve auree degli Stati membri, è definita in ultima istanza dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue)». La nota ricorda che «il parere della Bce del 2019, analogamente a quello redatto lo scorso 2 dicembre, evidenziava che il Trattato non determina le competenze del Sebc e della Bce rispetto alle riserve ufficiali, usando il concetto di proprietà. Piuttosto, il Trattato interviene solo sulla dimensione della detenzione e gestione esclusiva delle riserve. Pertanto, dire che la proprietà delle riserve auree sia del popolo italiano non lede in alcun modo la prerogativa della Banca d’Italia di detenere e gestire le riserve».
Altro punto: Fdi spiega che «nel Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Ue) si parla di “riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri”, quindi si prevede implicitamente che la proprietà delle riserve sia in capo agli Stati. L’emendamento di Fdi vuole esplicitare nell’ordinamento italiano questa previsione». C’è chi sostiene che affermare che la proprietà delle riserve auree di Bankitalia è del popolo italiano non serva a nulla. Ma Fdi dice che «l’Italia non può correre il rischio che soggetti privati rivendichino diritti sulle riserve auree degli italiani. Per questo c’è bisogno di una norma che faccia chiarezza sulla proprietà».
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Christine Lagarde (Ansa)
Come accade, ad esempio, in quel carrozzone chiamato Unione europea dove tutti, a partire dalla lìder maxima, Ursula von der Leyen, non dimenticano mai di inserire nella lista delle priorità l’aumento del proprio stipendio. Ne ha parlato la Bild, il giornale più letto e venduto d’Europa, raccontando come la presidente della Commissione europea abbia aumentato il suo stipendio, e quello degli euroburocrati, due volte l’anno. E chiunque non sia allergico alla meritocrazia così come alle regole non scritte dell’accountability (l’onere morale di rispondere del proprio operato) non potrà non scandalizzarsi pensando che donna Ursula, dopo aver trasformato l’Ue in un nano economico, ammazzando l’industria europea con il folle progetto del Green deal, percepisca per questo capolavoro gestionale ben 35.800 euro al mese, contro i 6.700 netti che, ad esempio, guadagna il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni.
Allo stesso modo funzionano le altre istituzioni dell’Unione europea. L’Ue impiega circa 60.000 persone all’interno delle sue varie istituzioni e organi, distribuiti tra Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo (la Commissione europea, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, la Corte di giustizia dell’Unione europea e il Comitato economico e sociale). La funzione pubblica europea ha tre categorie di agenti: gli amministratori, gli assistenti e gli assistenti segretari. L’Ue contrattualizza inoltre molti agenti contrattuali. Secondo i dati della Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 2019, questi funzionari comunitari guadagnano tra 4.883 euro e 18.994 euro mensili (gradi da 5 a 16 del livello 1).
Il «vizietto» di alzarsi lo stipendio ha fatto scuola anche presso la Banca centrale europea (Bce), che ha sede a Francoforte, in Germania, ed è presieduta dalla francese, Christine Lagarde. Secondo quanto riassunto nel bilancio della Bce, lo stipendio base annuale della presidente è aumentato del 4,7 per cento, arrivando a 466.092 euro rispetto ai 444.984 euro percepiti nel 2023 (cui si aggiungono specifiche indennità e detrazioni fiscali comunitarie, diverse da quelle nazionali), ergo 38.841 euro al mese. Il vicepresidente Luis de Guindos, spagnolo, percepisce circa 400.000 euro (valore stimato in base ai rapporti precedenti, di solito corrispondente all’85-90% dello stipendio della presidente). Gli altri membri del comitato esecutivo guadagnano invece circa 330.000-340.000 euro ciascuno. Ai membri spettano anche le indennità di residenza (15% dello stipendio base), di rappresentanza e per figli a carico, che aumentano il netto effettivo. Il costo totale annuale del personale della Bce è di 844 milioni di euro, valore che include stipendi, indennità, contributi previdenziali e costi per le pensioni di tutti i dipendenti della banca. Il dato incredibile è che questa voce è aumentata di quasi 200 milioni in due anni: nel 2023, infatti, il costo totale annuale del personale era di 676 milioni di euro. Secondo una nota ufficiale della Bce, l’incremento del 2024 è dovuto principalmente a modifiche nelle regole dei piani pensionistici e ai benefici post impiego, oltre ai normali adeguamenti salariali legati all’inflazione, cresciuta del 2,4 per cento a dicembre dello scorso anno. La morale è chiara ed è la stessa riassunta ieri dal direttore, Maurizio Belpietro: per la Bce l’inflazione va combattuta in tutti i modi, ma se si tratta dello stipendio dei funzionari Ue, il discorso non vale.
Stessa solfa alla Corte di Giustizia che ha sede a Lussemburgo: gli stipendi variano notevolmente a seconda della posizione (avvocato, cancelliere, giudice, personale amministrativo), ma sono generalmente elevati, con giuristi principianti che possono guadagnare da 2.000 a 5.000 euro al mese e stipendi più alti per i magistrati, anche se cifre precise per i giudici non sono facilmente disponibili pubblicamente. Gli stipendi si basano sulle griglie della funzione pubblica europea e aumentano con l’anzianità, passando da 2.600 euro per il personale esecutivo a oltre 18.000 euro per alcuni alti funzionari.
Il problema, va precisato, non risiede nel fatto che le persone competenti siano pagate bene, com’è giusto che sia, ma che svolgano bene il proprio lavoro e soprattutto che ci sia trasparenza sui salari. Dei risultati delle politiche di Von der Leyen e Lagarde i giudici non sono esattamente entusiastici, ma il conto lo pagano, come al solito, i cittadini europei.
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