2019-09-08
Adesso anche il Colle scopre i guai che ci procura il patto di stabilità
Sergio Mattarella parla da premier e chiede all'Europa di rivedere le sue regole. Richieste che somigliano a quelle di Matteo Salvini, che lui ha sempre criticato. Sarà il capo dello Stato a dettare l'agenda del governo? Chi l'ha votato? Siccome non ci bastano due programmi di governo che fanno a pugni, perché il Movimento 5 stelle vuole andare da una parte e il Pd da un'altra, da ieri ne abbiamo anche un terzo. A scriverlo non è stata nessuna delle parti politiche che sostengono il nuovo esecutivo giallorosso, ma il Quirinale. Il presidente della Repubblica, ai cervelloni radunati a Cernobbio per discutere dei destini del mondo, ha infatti recapitato un messaggio che pare il discorso di insediamento di un presidente del Consiglio. Così, dopo un anno e mezzo trascorso con due vicepremier e un premier che era il vice dei suoi vice, adesso abbiamo anche due capi di governo, ognuno dei quali ha la sua linea e pretende che venga applicata. Piccolo dettaglio: nessuno dei due presidenti - quello che sta a Palazzo Chigi e l'altro che se ne sta abbarbicato sul Colle - ha mai ricevuto neanche un voto dagli italiani. Sì, le anomalie politiche del nostro Paese sono tante e quella registrata ieri si aggiunge alle molte. Il capo dello Stato, per salutare i partecipanti all'incontro internazionale che si tiene ogni anno sulla sponda del lago di Como, ha scritto un intervento che è tutto un programma: di governo. Inaugurando il dibattito a bordo lago, Sergio Mattarella ha per prima cosa detto che l'Europa va riformata, a partire dalla riscrittura del patto di stabilità, ossia delle stringenti regole che legano le mani ai governi impedendo politiche di rilancio e di sostegno. Detto in altre parole, erano più o meno le cose che fino a ieri sosteneva Matteo Salvini e non si capisce perché se prima erano ritenute bestemmie dagli europeisti a 18 carati, adesso all'improvviso siano invece intuizioni geniali. Sta di fatto che il presidente ha detto proprio che il patto di stabilità va «riesaminato», per garantire coesione e crescita. Solo così, ha spiegato l'uomo del Colle, che però pareva l'uomo di Palazzo Chigi, «si può contribuire a una nuova fase, rilanciando gli investimenti in infrastrutture, reti, innovazione, educazione e ricerca». Ovvio, come dare torto al presidente. Se si rivedono le regole che vietano di spendere, si può investire. E si possono finanziare perfino le opere pubbliche infrastrutturali che ora sono tabù, ma si possono anche sostenere progetti di sviluppo. Più o meno sono le cose di buon senso che sostengono tutte le persone assennate, fatta eccezione per quelli che credono alla dottrina della decrescita felice.Mattarella però non si è fermato lì, ma ha anche voluto dire la sua in materia fiscale, in particolare sul sistema delle imposte che in Europa consente a qualcuno di fare il furbo. Per il capo dello Stato è arrivato il momento di pensare a una fiscalità europea che metta tutti Paesi sullo stesso piano, evitando che certi Stati, abbassando le tasse, attirino investimenti a scapito di altri. Tradotto, dal Quirinale arriva un richiamo chiaro al tema dei «paradisi fiscali» europei e agli sconti sulle tasse di cui godono multinazionali come Amazon, Facebook, Google, eccetera. Se i quartieri generali della Silicon Valley stanno a Dublino, non è perché l'Irlanda sia considerata un Paese dove grazie al clima le idee crescono meglio, ma semplicemente perché da quelle parti si pagano meno tasse e dunque, per i Paperoni di Internet, è più conveniente mettere radici alla foce del fiume Liffey che sulle sponde del Tevere. Così, con parole nette e in massima parte condivisibili, Mattarella ha tracciato il suo programma di governo, spiegando che bisogna rilanciare l'integrazione con la Ue, ripartendo dalle regole, ma allo stesso tempo si è dilungato sulle ragioni di un programma di equità fiscale. Come dicevamo, non c'è quasi nulla da obiettare al discorso del presidente, se non che, appunto, pare quello di un capo di governo più che di un capo di Stato a cui è richiesto di essere il garante della Costituzione. È Mattarella che detta l'agenda all'esecutivo? È il Quirinale che ha preso il comando del Paese? La novità potrebbe perfino essere positiva, perché da una Repubblica fallimentare forse potremmo passare a una presidenziale. A patto però che a votare il presidente siano gli italiani e non i partiti, anzi un partito, quello di sinistra. Noi ricordiamo che l'attuale inquilino del Colle fu scelto dal Pd, che in quel periodo era rappresentato da un uomo solo al comando, ossia da Matteo Renzi. Oggi si è appena dato vita a un governo che ancora una volta porta l'impronta di un signore che tre anni fa annunciò che, se sconfitto, avrebbe lasciato la politica. E lo stesso signore, dopo innumerevoli sconfitte, l'ultima delle quali aveva spedito il Pd all'opposizione inducendolo a lasciare la segreteria, vorrebbe mettere le mani sull'elezione del prossimo presidente della Repubblica. Mattarella dunque capirà che per noi è vitale conoscere se quella italiana, da parlamentare che è, potrebbe cambiare.Così come è importante capire un altro aspetto: ma perché fino a ieri il patto di stabilità era un dogma e chiunque si permettesse di criticarlo era trattato alla stregua di un bestemmiatore che minacciava l'equilibrio del Paese e faceva salire lo spread e adesso che la Lega è all'opposizione toccare il patto di stabilità, oltre che una buona idea, è anche urgente? Come mai prima pensare di sfiorare un deficit al 2,4 per cento era da pazzi e adesso invece i nuovi ministri parlano senza scomporsi di andare oltre, arrivando magari anche a toccare il 3 per cento?Intendiamoci, noi apprezziamo il discorso di Mattarella, ma vorremmo che qualcuno rispondesse a queste domande, perché il sospetto che si sia impedito a una forza politica di esercitare il mandato ricevuto dagli elettori frapponendo ostacoli che non c'erano è forte. E siccome questa, che sia parlamentare o presidenziale, resta sempre una repubblica dove il popolo è sovrano, vorremmo che nessuno delegasse a terzi il nostro diritto di decidere il destino dell'Italia.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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