2021-12-02
La Corte suprema Usa apre il caso che fa tremare gli ultrà dell’aborto
Senatori repubblicani durante il dibattito sull'aborto alla Corte suprema Usa (Getty Images)
Iniziato il dibattimento sulla legge del Mississippi che vieta l’interruzione di gravidanza dopo 15 settimane. Sei giudici su nove sono di nomina repubblicana: a rischio le storiche sentenze sacre alla sinistra dei «diritti».L’aborto torna a dividere gli Stati Uniti. Ieri si è tenuto alla Corte suprema il dibattimento relativo alla legge del Mississippi che, approvata nel 2018, ha vietato l’interruzione di gravidanza dopo le 15 settimane di gestazione. Contro tale norma ha fatto ricorso la clinica Jackson women’s health organization, mettendone in dubbio la costituzionalità. Due Corti inferiori si sono pronunciate contro il Mississippi e la disputa è quindi arrivata davanti ai supremi giudici, che hanno accettato a maggio di valutare il caso. Sebbene la sentenza definitiva non arriverà prima di giugno, il dibattito pubblico si è già surriscaldato. A livello generale, si ritiene che la Corte suprema possa stabilire di mettere in discussione le due precedenti sentenze che hanno reso lecito l’aborto negli Stati Uniti. Parliamo di Roe v Wade (che ha definito, nel 1973, la possibilità di richiedere l’interruzione di gravidanza come un diritto protetto dalla Costituzione) e di Planned Parenthood v Casey (che, nel 1992, stabilì la liceità dell’aborto entro le 24 settimane di gestazione). È proprio lo scenario di una possibile sconfessione di questi due precedenti ad aver infiammato il dibattito pubblico. Da una parte, il mondo conservatore auspica tale revisione: c’è infatti chi sottolinea motivazioni etiche (sostenendo che la vita vada preservata fin dal concepimento) e chi ritiene che sull’interruzione di gravidanza debbano decidere i singoli Stati in autonomia. Dall’altra parte, le galassie progressiste risultano fermamente contrarie, sostenendo che un eventuale smantellamento di Roe v Wade costituirebbe una lesione dei diritti delle donne. Ma quali sono le tesi che si stanno fronteggiando? Il Mississippi ritiene che le sentenze Roe e Casey siano «oltraggiosamente sbagliate», affermando che l’aborto non abbia una base costituzionale e che pertanto questi precedenti non debbano essere considerati vincolanti. Inoltre, lo Stato ricorrente ritiene che Roe v Wade nasca nell’ambito di un contesto ormai superato, soprattutto in conseguenza della maggiore disponibilità oggi di metodi contraccettivi. La clinica, che ha incassato l’appoggio del dipartimento di Giustizia, ribatte sostenendo che la decisione di interrompere una gravidanza abbia «profonde radici costituzionali nei diritti fondamentali all’integrità del corpo e all’autonomia personale». Significativo è comunque che i supremi giudici abbiano deciso di valutare il caso: questo significa che almeno quattro togati si sono detti d’accordo a prendere in considerazione il ricorso. Un elemento che il fronte abortista interpreta come presagio di una sentenza favorevole alla legge del Mississippi. La questione ha riacceso la polemica su una Corte suprema che sarebbe spostata a destra, visto che su nove componenti sei sono stati nominati da presidenti repubblicani. Si tratta tuttavia di un ragionamento semplicistico. In primis, i togati godono di inamovibilità e di intangibilità del proprio trattamento economico: elementi che ne garantiscono l’autonomia. In tal senso, accade a volte che i supremi giudici si pronuncino in modo contrario ai desiderata del partito a cui dovrebbero teoricamente appartenere. In secondo luogo, proprio i presidenti repubblicani tendono storicamente a nominare togati di orientamento originalista: togati, cioè, che cercano di interpretare la Costituzione secondo il senso originario in cui fu scritta. Ora, l’originalismo non è tanto una dottrina, quanto semmai un approccio: ragion per cui capita non di rado che giudici di tale corrente interpretativa esprimano pareri differenti sulla medesima questione. Basti pensare che due dei supremi togati nominati da Donald Trump - gli originalisti Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh - si sono trovati in disaccordo più di una volta nel corso di questi anni. Ma quali sono dunque gli scenari che è possibile attendersi in vista della sentenza di giugno sulla legge del Mississippi? Se è improbabile che la norma venga bocciata, è altrettanto improbabile che le sentenze Roe e Casey verranno completamente sconfessate (riconsegnando così le decisioni in materia di aborto esclusivamente ai singoli Stati). L’ipotesi al momento più plausibile è che verrà aggiornato lo standard di riferimento: potrebbe cioè essere anticipato il termine oltre il quale non è più lecito abortire, attualmente fissato a 24 settimane di gravidanza. Come emerso dal dibattimento di ieri, il nodo tecnico su cui i giudici si confronteranno sarà invece quello della validità dei precedenti. Nel frattempo la questione è entrata nell’agone politico. Il contenzioso potrebbe avere un impatto innanzitutto per Joe Biden: il secondo presidente cattolico della storia americana è da tempo ai ferri corti con la Conferenza episcopale d’oltreatlantico proprio sul tema dell’aborto. Più in generale, al di là delle opinioni legittimamente divergenti espresse da vari esponenti politici in materia, qualcuno sta forse un po’ esagerando, arrivando a rasentare le minacce. È per esempio il caso della senatrice dem Jeanne Shaheen, che lunedì ha dichiarato: «Spero che la Corte suprema stia ascoltando il popolo degli Stati Uniti, perché penso che se vuoi vedere una rivoluzione, allora bandisci Roe v Wade e vedi qual è la risposta del popolo». Parole che riecheggiano quelle del senatore dem Chuck Schumer, il quale il 4 marzo 2020 disse a una folla radunatasi davanti alla Corte suprema che Kavanaugh e Gorsuch avrebbero «pagato un prezzo» se avessero preso «terribili decisioni» in materia di aborto. Simili forme di pressione sono realmente accettabili in una democrazia liberale?
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)