2025-09-22
A screditare le toghe ci pensano loro stesse
Cesare Parodi, presidente Anm, partecipa alla protesta di Anm contro la riforma Nordio davanti all'ingresso di Palazzo di Giustizia a Milano (Ansa)
Il capo dell’Anm, Cesare Parodi, mi accusa di denigrare la magistratura. Invece dovrebbe guardare i colleghi, i cui vizi scavano un abisso tra i cittadini e chi deve giudicarli.La scorsa settimana, con una lettera a Panorama, il presidente del sindacato dei giudici, Cesare Parodi, mi ha accusato di gettare discredito sulla magistratura italiana, pubblicando notizie che mettono in cattiva luce procure e tribunali. Ho risposto che le prime a fare pessima pubblicità alla categoria sono le stesse toghe, con le loro decisioni e, non di rado, con le loro esternazioni che, spesso, danno un’immagine di parzialità della magistratura. Ma non ci sono soltanto i giudici politicamente schierati o quelli che hanno l’arresto facile e mettono in galera gli innocenti. Ci sono anche toghe il cui comportamento non sembra sempre in linea con i principi che dovrebbero ispirare chi ricopre un ruolo così delicato come far rispettare la legge, indagando e processando chi l’ha violata. Leggete per esempio la storia che raccontiamo in queste pagine e che riguarda uno dei magistrati più importanti d’Italia. E pensate a come verrebbe guardato, e soprattutto trattato, un comune cittadino che si trovasse nelle stesse condizioni.Parlo di Giuseppe Pignatone, che per anni è stato ai vertici degli uffici giudiziari più importanti del Paese. Prima a Palermo, poi a Reggio Calabria come procuratore capo, quindi alla guida dei pm della Capitale. Una volta andato in pensione, l’alto magistrato è stato chiamato da papa Francesco a ricoprire l’incarico di presidente del tribunale Vaticano. A lui è toccato il compito di giudicare e condannare monsignor Giovanni Angelo Becciu, l’alto prelato deferito di fronte all’autorità giudiziaria per i pasticci delle finanze della Chiesa, con il famoso palazzo di Sloane Avenue a Londra. Nella nostra inchiesta non si parla dell’obolo di Pietro, bensì dell’obolo che sarebbe stato versato, anche in nero, dallo stesso Pignatone per l’acquisto di una casa. Tutto nasce da una serie di verifiche che i colleghi dell’ex procuratore capo di Roma stanno facendo su indagini del passato, accertamenti che vedono coinvolti mafiosi e magistrati. Lavorando su vecchie storie e su alcune archiviazioni, i pm si sono imbattuti in intercettazioni che coinvolgono ex magistrati come Gioacchino Natoli, ma anche in una serie di operazioni immobiliari che riguardano Pignatone e i suoi familiari. Acquisti di appartamenti assolutamente ordinari che, però, hanno, come controparte, nomi conosciuti della malavita organizzata. Ad attirare l’attenzione degli investigatori pare sia stato il prezzo pagato che, sulla base di una perizia eseguita da un esperto, a chi indaga risulterebbe poco congruo. Secondo chi ha fatto la valutazione, il valore denunciato nell’atto di acquisto sarebbe la metà di quello di mercato. Perché, si sono chiesti i colleghi di Pignatone, l’ex procuratore ha pagato così poco? E perché lui e i suoi familiari si sono rivolti a costruttori il cui cognome avrebbe dovuto far rizzare le antenne a un mastino dell’antimafia come il capo della Procura di Roma? Fin qui le domande che si sono fatti i pm. Ma, interrogato dai colleghi, Pignatone se n’è uscito con una dichiarazione a verbale che fa alzare più di un sopracciglio. In pratica, di fronte a chi lo interrogava, l’alto magistrato ha ammesso pagamenti in nero.Ora, io non sono un giudice e dunque non mi metterò a valutare se il comportamento abbia o meno una rilevanza penale, se cioè sia ancora perseguibile oppure no. Questo spetta alla Procura che, se ravviserà reati, avrà modo di valutarne la consistenza. Per quanto mi riguarda, mi limito a osservare che un procuratore, ex capo di uffici giudiziari a dir poco delicati perché presenti in ambiti ad alta densità mafiosa, dove il denaro in nero è quasi sempre provento di attività criminali, non può uscirsene dicendo, come se fosse cosa normale, di aver pagato una casa in parte in nero. Sapere che un pm, al quale è fatto obbligo di perseguire il riciclaggio e gli affari loschi, poi si presti, a seconda delle necessità, a pagare in contanti senza dichiararlo al fisco, fa capire che anche gli operatori della giustizia si piegano ai costumi di tutti quanti.In passato mi capitò di raccontare di un direttore di Repubblica che, pur scagliandosi contro gli evasori, quando venne il suo turno di fare un affare immobiliare decise di pagare senza dichiarare tutto. Adesso tocca a un magistrato il quale, come se fosse normale, racconta di aver saldato l’acquisto di casa con bigliettoni sonanti, consegnati per di più nelle mani del rappresentante di una famiglia mafiosa. Ribadisco, non tocca a me giudicare se ci sia o meno qualche reato. Da giornalista mi limito a dire che se questo è o è stato il magistrato più influente d’Italia, è la magistratura stessa ad avere un problema. Altro che discredito gettato da un’inchiesta giornalistica, come mi ha scritto il dottor Parodi. È questo, ciò che appare agli occhi dell’opinione pubblica, il problema di cui dovrebbe occuparsi il presidente dell’Anm. Non della separazione delle carriere, ma di vizi privati e pubbliche virtù di alcuni suoi colleghi. Che scavano un abisso tra le persone normali e quelle che le devono giudicare.
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