2021-07-18
A sconfessare i trans ci hanno già pensato i «venerati maestri» della libertà sessuale
Simone de Beauvoir (Ansa)
Herbert Marcuse e Simone De Beauvoir sono icone della sinistra libertaria Entrambi si sono espressi contro l'idea di individuo neutroEra il novembre del 1965, e l'onda energetica che avrebbe provocato tumulti nel maggio del 1968 si limitava ancora a pulsare sotto la terra. Però la classe intellettuale progressista (in parte contigua al partito comunista ma pervasa di uno spirito decisamente più libertario) aveva già piantato i semi di quella che sarebbe diventata la «rivoluzione sessuale». Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre, ad esempio, facevano onore alla tradizione libertina francese. Come scrive Agnès Poirier in Rive Gauche. Arte, passione e rinascita a Parigi (Einaudi), i due «coltivavano una grande famiglia di amanti e amici fidati, vivevano in camere d'albergo senza i problemi della vita domestica e spendevano ogni singolo centesimo che guadagnavano».Anni prima, nel 1949, Simone aveva dato alle stampe uno dei testi capitali del femminismo: Il secondo sesso. Quell'opera, a livello di massa, è stata sintetizzata in una sola frase: «Donna si diventa, non si nasce». Una sentenza che, oggi, è divenuta uno slogan nelle mani degli attivisti transgender, i quali però travisano leggermente il concetto facendo credere che donna si possa diventare grazie alla tecnica e alla medicalizzazione. Ebbene, proprio nel 1965 Simone de Beauvoir concesse al filosofo Francis Jeanson una lunga intervista riguardante «la differenza fra i sessi» che viene per la prima volta pubblicata in Italia nell'antologia di scritti inediti La femminilità, una trappola (L'Orma editore). La lettura è più che consigliata, perché Simone - refrattaria al matrimonio, disinibita nei costumi, energica nelle relazioni sessuali e progressista nelle idee - snocciola una serie di concetti che colpiscono. «Sarebbe un errore madornale credere che per essere femministe si debba rifiutare di avere figli!», spiega a un certo punto. Poi attacca: «Il fatto è che non si deve cadere in un femminismo astratto, che neghi per esempio l'esistenza della femminilità solo perché è un fatto di cultura e non di natura: sono assolutamente lontana da una simile prospettiva!». Come vedete, Simone si avvicina pian piano ai temi roventi della nostra attualità. Sentite qua: «Quanto a me, sono del tutto convinta che le donne siano profondamente diverse dagli uomini. [...] Il dato di fatto, oggi, è l'esistenza di un insieme di differenze tra uomini e donne, le quali possono essere negate solo aderendo a un cattivo femminismo - basato, cioè, su un'astrazione in malafede. È assurdo quanto dire a un vecchio “sei giovane", perché è vecchio, e non lo si può negare [....]. E io sono una donna anziana che invecchia pur mantenendo una certa vivacità, ma di sicuro non sono più giovane. E, allo stesso modo, se mi dicessero “tu non sei una donna ma un uomo" sarebbe falso: io sono una donna a tutti gli effetti e mi sento pienamente tale». Carol Hay, sul New York Times, ha scritto che «a quando Simone de Beauvoir ha scherzato nel 1949 dicendo che non si nasce donna, ma lo si diventa, le femministe hanno discusso delle implicazioni della comprensione del genere come costrutto culturale». Tuttavia, pensate un po', proprio una delle anticipatrici (forse la principale) dei dibattiti sul gender ribadiva con convinzione l'esistenza della differenza tra i sessi, e se la prendeva con le «astrazioni in malafede», basate appunto sulla cancellazione del femminile. Dire di una donna che sia un uomo (o viceversa) è come dire a un anziano «sei giovane»: una mistificazione. Oggi, per una frase simili, Simone finirebbe probabilmente all'indice, sarebbe accusata di essere una «terf», sarebbe attaccata dagli attivisti trans. Alla stessa sorte potrebbe andare incontro un altro dei padri della «liberazione sessuale», il filosofo Herbert Marcuse, forse il maggiore ispiratore dei sommovimenti del 1968. Come ci segnala un attento lettore, nei primi anni Settanta Marcuse concesso un'intervista a Sam Keen e John Raser che fu pubblicata in Italia nel 1976 sulla rivista Psicologia contemporanea. Il grande avversario della repressione sessuale, in quella conversazione, si scagliava contro l'educazione sessuale che oggi tanti a sinistra e nel mondo Lgbt vorrebbero imporre: «Può darsi che mi sbagli completamente», disse, «ma ritengo che un essere umano debba apprendere da solo certe cose. Se un uomo ha bisogno di studiare un manuale di sessuologia per imparare a fare all'amore con la moglie, vuol dire che in lui c'è qualcosa che non va». Il contatto con gli altri, l'affettività e la sessualità, spiegava ancora il filosofo, «devono scaturire spontaneamente come qualcosa di personale e autonomo, senza un'organizzazione o una programmazione esterna». E dire che oggi, invece, si vorrebbe rieducare la gioventù basandosi sulle indicazioni arcobaleno... A un certo punto, poi, Marcuse si mise a commentare il pensiero di un altro autore molto importante per la controcultura, ovvero Norman Brown. E fu piuttosto chiaro a riguardo: «Brown vuole abolire cose che a me sta a cuore conservare», spiegò Marcuse. «Per esempio, se intendo correttamente il suo misticismo, esso implica l'eliminazione della distinzione tra i sessi e la creazione di un individuo androgino. Egli sembra considerare tale distinzione come il prodotto della repressione mentre, per quel che mi riguarda, quella tra maschio e femmina è l'ultima differenza che vorrei vedere soppressa». Se oggi si parla di identità di genere e si contesta la visione «eteronormativa» è anche in virtù delle opere di Simone de Beauvoir e Herbert Marcuse. I quali, però, difendevano entrambi e con convinzione la differenza fra i sessi. Triste evoluzione della sinistra: Simone e Herbert (genitore 1 e genitore 2 della rivoluzione sessuale) oggi farebbero la figura dei vecchi bigotti transfobici.