2023-07-29
A puntellare tutti i diktat ci pensano le toghe
Filippo Patroni Griffi (Imagoeconomica)
Già si realizza la previsione dell’Onu sul ruolo dei magistrati: l’Alta corte inglese blinda la ztl del sindaco di Londra per ridurre le emissioni. E da noi la Consulta si arrampica sugli specchi e giustifica ancora l’obbligo vaccinale per i medici.A nemmeno 24 ore dall’uscita del report con cui l’Unep, la sezione ambiente dell’Onu, indicava nei tribunali un altro viatico per imporre la rivoluzione green, arriva una sentenza che farà scuola. In Gran Bretagna, l’Alta corte ha blindato il piano del sindaco di Londra, Sadiq Khan, per estendere la «Ultra low emission zone» (Ulez) alla periferia della Capitale, alla fine di agosto. Un provvedimento che si traduce nell’obbligo, per chi non possiede veicoli ecologici, di pagare 12,50 sterline a ingresso giornaliero. Contro la misura, originariamente concepita dall’ex primo cittadino Boris Johnson, avevano presentato ricorso cinque consiglieri comunali dei Tories. Era uno di quelli che le Nazioni Unite definirebbero «casi contraccolpo»: cittadini, politici o imprenditori che si oppongono al progresso.Milano può prendere nota. Beppe Sala ha già promosso l’aumento da 5 a 7,50 euro del ticket per entrare in Area C. Ed è dal 2021 che il suo assessore all’Ambiente - anzi, la sua «assessora», com’è scritto sul sito del Comune - Elena Grandi, sostiene che l’obiettivo ultimo è liberare la città dalle auto, persino quelle elettriche, entro il 2050. Le preoccupazioni dell’Unep per i procedimenti legali contro le riforme verdi, in fin dei conti, paiono eccessive. Per qualche strana coincidenza, di solito, i giudici si schierano con il potere costituito. O meglio, con le élite illuminate, progressiste, politicamente, pandemicamente ed ecologicamente corrette. In Italia - lo scrivevamo ieri - l’appiglio verde esiste: lo ha fornito la legge di revisione costituzionale del 2022, che ha sancito nella Carta la subordinazione delle attività pubbliche e private ai «fini ambientali». Ma già quando si è trattato di salvare il corpus normativo varato da Mario Draghi il «migliore», i custodi della nostra Costituzione non si sono risparmiati impegnative acrobazie argomentative. L’ultimo esempio lo offre il testo di una sentenza uscita giovedì e riferita a una decisione del 20 giugno. Il tema, manco a farlo apposta, visto che l’emergenza climatica è diventata il nuovo Covid, erano i dubbi del tribunale di Padova sull’obbligo vaccinale per i sanitari. Il magistrato veneto si occupava di un’infermiera non inoculata e perciò sospesa dal lavoro, che aveva successivamente contratto il coronavirus, venendo quindi reintegrata. La dipendente della Asl padovana, però, contestava le circolari del ministero della Salute, secondo cui avrebbe dovuto sottoporsi ad almeno una dose di vaccino entro sei mesi dall’infezione. Il punto sul quale si soffermava il giudice riguardava proprio la natura delle disposizioni del dicastero: a suo avviso, un atto amministrativo sarebbe stato indebitamente trasformato in fonte del diritto, violando la riserva di legge prevista dall’articolo 32 della Carta. Doveva essere una norma approvata dal Parlamento, non un intervento arbitrario del ministero - sosteneva in pratica la toga - a precisare in che modo e con quali scadenze andava imposta la puntura antivirus. E qui viene il bello.La Consulta, infatti, ha rigettato questa tesi, osservando che «l’individuazione del termine di differimento della vaccinazione per gli operatori sanitari contagiati e guariti» doveva essere compiuta «sulla base di dati tecnico-scientifici che, già di per sé mutevoli nel tempo, lo sono stati tanto più durante» la pandemia. Pertanto, non poteva che essere l’amministrazione «istituzionalmente in possesso delle competenze tecnico-scientifiche» adeguate - il ministero della Salute - a occuparsene, per poter «adeguare la disciplina “in base all’evoluzione della situazione sanitaria”». D’accordo. Ma se il ragionamento è questo - se, cioè, era necessario tenere conto di come, man mano, sarebbe cambiato il quadro dell’epidemia - come mai lo stesso criterio di fatto non è stato applicato nella decisione sulla legittimità dell’obbligo vaccinale per medici e infermieri? Benché fosse stato messo nero su bianco pure in quel caso?Ricorderete che il testo del decreto indicava, come finalità dell’imposizione, la «prevenzione del contagio da Sars-Cov-2». Ma era emerso già nella primavera del 2021, per poi diventare ancor più chiaro d’estate, con la comparsa della variante Delta e, infine, innegabile a fine anno, dopo l’arrivo di Omicron, che i preparati a mRna non schermavano dall’infezione. Nondimeno, lo stesso giudice Filippo Patroni Griffi, che nella sentenza pubblicata a febbraio 2023 introduceva la nozione di «adeguamento della disciplina» normativa «all’andamento della situazione epidemiologico-sanitaria», ha usato quel principio in due modi diversi, per due decisioni diverse. In un caso, ha stabilito che, per salvare la costituzionalità del decreto, fosse sufficiente aver seguito le prove scientifiche disponibili al momento della sua approvazione e aver previsto una scadenza dell’obbligo vaccinale. Un termine che però, alla faccia del diverso «andamento» dell’epidemia, era stato prorogato di un anno dal governo Draghi. In un altro caso, ha giustificato l’uso delle circolari di Roberto Speranza per dettare i tempi della profilassi ai guariti. Tutto ciò, sebbene la stessa Consulta abbia bocciato l’obbligo di vaccino per i militari, quando la determinazione dei farmaci da somministrare non venga stabilita da una legge generale, bensì sia rimessa agli atti amministrativi. Ecco. Trovare una qualche coerenza negli orientamenti della giurisprudenza è complicato. A meno che non si ammetta che il motivo ispiratore è l’esigenza di puntellare gli architravi dell’edificio che il nuovo regime ci sta costruendo intorno. Prima i diktat per il Covid, poi quelli per il clima. E solo Dio sa, un domani, per quale ennesima emergenza. Così sì che i conti tornano.
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