True
2018-09-27
A processo per evasione il sistema d’accoglienza della «rossa» Macerata
Ansa
C'è voluto un anno e mezzo, ma alla fine la Procura della Repubblica di Macerata con la firma del procuratore capo, Giovanni Giorgio, ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio delle tre Onlus e dei loro legali rappresentanti che si occupano sul territorio dell'accoglienza ai migranti. I capi d'accusa sono molti: il più pesante è l'evasione fiscale. Si parla, secondo il dossier, di accuse messe insieme dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Macerata di 40 milioni di euro di redditi non denunciati e di quasi 6 milioni di Iva evasa.
Il processo si farà a gennaio e in Corte d'assise dovranno comparire il Gus e il suo presidente, Paolo Bernabucci - una specie di dominus dell'accoglienza migranti in Italia - la Acsim di cui è legale rappresentante il nigeriano Daniel Chibunna Amanze, che risiede in città da trent'anni e che in passato fu condannato per un reato minore, e la Perigeo di cui è rappresentante Laura Bracalini. Alla sbarra va il cosiddetto sistema Macerata, che ha prodotto un abnorme arrivo di migranti, profughi e richiedenti asilo nella città che ha dato i natali a Laura Boldrini, madrina da sempre di questa politica delle porte aperte e dal contributo facile che ha trasformato il Gus, gestore di fatto in regime di monopolio dei progetti Sprar di tutte le Marche (riceve, compresi i 12 milioni di Macerata, incarichi per oltre 20 milioni di euro in Regione) nella prima azienda per fatturato e dipendenti della provincia di Macerata: 31,5 milioni di introiti, 470 impiegati, 88.000 euro di utile.
Il Gus è una delle più grosse organizzazione di accoglienza dei migranti in ottimi rapporti con il Pd, tanto che Giovanni Lattanzi è stato responsabile nazionale delle politiche di assistenza nella segreteria di Matteo Renzi e Paolo Bernabucci ha avuto una carriera parallela a quella di Laura Boldrini. Il sistema Macerata è venuto alla luce all'indomani della barbara uccisione di Pamela Mastropietro, la ragazza romana di 18 anni uccisa e fatta a pezzi in un appartamento di via Spalato il 30 gennaio scorso, il cui cadavere fu trovato in due trolley alla periferia di Pollenza poco distante da Macerata. E - sia pure per una coincidenza - il rinvio a giudizio dei vertici delle Onlus che si occupano dei migranti arriva proprio nel giorno in cui sono comparsi in aula con l'accusa di spaccio e di detenzione di droga tre nigeriani: Innocent Oseghale, Desmond Lucky e Lucky Awelima. Oseghale, già ospite del Gus, che dopo i fatti di via Spalato si è affrettato a far sapere che il nigeriano non seguiva i programmi di inserimento come previsto dallo Sprar dopo che già era stato condannato per spaccio, è in carcere con l'accusa di aver violentato, ucciso e fatto a pezzi Pamela. Lui ha solo ammesso di avere tagliato il cadavere. Ma nell'inchiesta per lo scempio di via Spalato erano entrati anche gli altri due, anche loro ospiti di programmi Sprar gestiti dalla Acsim, un'altra delle tre Onlus rinviate a giudizio. Mentre Awelima e Lucky godevano dell'accoglienza spacciavano senza che nessuno intervenisse. Il capo della Acsim che è anche il referente della numerosa comunità nigeriana a Macerata, Amanze, all'indomani dell'omicidio di Pamela denunciò il furto dei computer della sua Onlus.
Circostanza sulla quale è aperta un'inchiesta parallela. Ma oggi la Procura di Macerata sembra avere raccolto sufficienti elementi per inchiodare Innocent Oseghale (c'è un pentito che lo accusa: avrebbe raccolto le confidenze del nigeriano in carcere e questi gli avrebbe confessato di avere drogato, violentato e fatto a pezzi mentre era ancora viva e infine uccisa la povera Pamela) e contemporaneamente ha ottenuto il rinvio a giudizio delle tre Onlus. La posizione di gran lunga più pesante è quella del Gus. Sarebbe il Gruppo di umana solidarietà ad aver orchestrato e gestito il sistema Macerata per la spartizione degli appalti per la gestione dei migranti e sul Gus pende l'accusa più pesante di evasione: oltre 10,4 milioni di euro occultati e oltre 5 milioni di Iva evasa. Non solo Bernabucci e Lattanzi sono accusati di essersi attribuiti reciprocamente consulenze attingendo ai fondi del Gus. Ma nel dibattimento si farà luce anche su altre due circostanze che la Guardia di finanza aveva messo in luce e che la Procura ha riversato nell'inchiesta: le donazioni che il Gus ha iscritto a bilancio senza specificare a chi sono state fatte e a quale titolo le elargizioni e la «democraticità» della gestione di questa Onlus, che con soli 13 soci ha però 470 dipendenti.
Proprio su questo punto il procuratore di Macerata, Giovanni Giorgio, ha incardinato l'accusa: il Gus non è più una Onlus, ma è di fatto una società commerciale che tratta merce molto speciale, i migranti. E ora l'inchiesta sta avendo le prime conseguenze. Il Gus sta chiedendo a molti dipendenti di dare le dimissioni volontarie anche per non pagare il Naspi (una specie di cassaintegrazione) e prevede di avere un drastico calo di fatturato in conseguenza della stretta sui migranti. Anche alla Acsim sono stati fatti rilievi analoghi, anche se minori, visto che la moglie di Amanze è dipendente della Onlus con uno stipendio incompatibile con le finalità di una società che non ha scopo di lucro, mentre per la Perigeo i rilievi si appuntano soprattutto su di un'anomala attività immobiliare. L'inchiesta della Guardia di finanza che ha messo sotto monitoraggio i bilanci delle tre Onlus dal 2011 al 2015 era nata da una segnalazione della prefettura per un abnorme arrivo di profughi pakistani che avevano tutti in tasca un biglietto con i riferimenti del Gus. Da lì le fiamme gialle sono partite per mettere in luce il sistema Macerata alimentato dai finanziamenti che il sindaco di Macerata, Romano Carancini (Pd), ha elargito per fare di questa città la capitale dell'accoglienza. Un sistema che si è drammaticamente rotto il 30 gennaio scorso con la barbara uccisione di Pamela, che ha prodotto il crollo verticale dei consensi del Pd. Un sistema che oggi va alla sbarra insieme al Gus.
Carlo Cambi
Prese le belve di Lanciano: sono tre romeni
Un lungo inseguimento sulle strade della provincia di Chieti. Una Volkswagen Golf del 2004 di colore blu, con targa romena, che sfiora i 180 chilometri orari. Sfreccia, compie manovre pericolose cercando di seminare la pattuglia della polizia, che segue i sospetti e intanto chiede rinforzi. Infine l'incidente, la vettura con i fuggitivi che si schianta da sola sulla provinciale e le mani degli agenti che impugnano le semiautomatiche d'ordinanza, puntandole verso i finestrini infranti.
È finita così la fuga dei macellai di Lanciano, tutti di nazionalità romena. Sono tre gli arresti - ma potrebbe presto aumentare il numero delle persone fermate - eseguiti dalle forze dell'ordine per la brutale rapina di domenica scorsa ai danni del chirurgo Carlo Martelli e della moglie Niva Bazzan, entrambi di 69 anni, sequestrati e picchiati selvaggiamente (alla donna è stato mutilato un orecchio). Gli investigatori sono riusciti a bloccarli in località Costa di Chieti: i tre stavano fuggendo in Romania. Sull'automobile i malviventi avevano circa 3.400 euro, un coltello a serramanico e i passamontagna usati durante la rapina. Gli arrestati, in base a quanto emerso, sono due fratelli e un cugino di nazionalità romena, di età compresa tra i 20 e i 30 anni. La vettura utilizzata per la fuga è stata portata al commissariato di Lanciano per essere analizzata dagli esperti della polizia scientifica di Ancona: si cercano riscontri validi attraverso impronte digitali e tracce biologiche.
È ancora caccia aperta invece al capo della banda. Fonti investigative precisano che la persona cercata non necessariamente è di un'area geografica lontana dall'Abruzzo e non si esclude che l'italiano possa essere anche residente nella zona di Lanciano o nella provincia di Chieti. Secondo quanto si apprende già in precedenti rapine alcuni malviventi avevano fatto credere alle vittime di provenire dalla Puglia. Il bandito al vertice del gruppo non è parente degli arrestati, e sarebbe la persona che ha tagliato l'orecchio a Niva Bazzan.
L'operazione congiunta di carabinieri e polizia è scattata poco dopo la mezzanotte di martedì, con un grande dispiegamento di uomini intorno a un palazzo di corso Roma, nel centro della cittadina abruzzese, dopo che il procuratore capo di Lanciano, Mirvana Di Serio, e il questore di Chieti, Ruggiero Borzacchiello, avevano sottolineato a più riprese nella giornata di martedì la necessità di portare avanti gli accertamenti «nel più stretto riserbo». Le indagini ancora in corso sono condotte dalla Squadra mobile di Chieti e dal commissariato di Lanciano, che nelle ultime ore sono stati affiancati dallo Sco (Servizio centrale operativo).
La svolta nella serata del 25, quando è stata registrata la testimonianza del commerciante Massimiliano Delle Vigne, che ha ricordato il pestaggio subito nella sua villa a poche centinaia di metri dalla residenza dei coniugi Martelli. «Anche se ho visto solo occhi dietro un cappuccio e voci, tutto combacia: sono dell'Est Europa». Tutti elementi riscontrabili anche nell'aggressione ai due coniugi di Lanciano. Martelli, chirurgo in pensione nonché fondatore dell'associazione Anffas, e la moglie Niva Bazzan, ex infermiera, sono stati aggrediti alle 4 della notte del 23 settembre nella villa a Carminiello, vicino a Lanciano. In quattro, incappucciati, hanno parcheggiato l'auto poi hanno reciso il catenaccio di una grata in ferro e hanno avuto accesso alla cantina dell'abitazione. È lì che hanno preso la roncola utilizzata per mozzare l'orecchio alla moglie del chirurgo. Un taglio circolare, che ha causato uno sfregio permanente alla donna. Una volta saliti ai piani superiori hanno legato i coniugi e li hanno picchiati facendosi consegnare bancomat e carte di credito. I rapinatori hanno messo a soqquadro anche la stanza del figlio della coppia, disabile.
Attorno alle 6 gli ostaggi sono riusciti a liberarsi e a dare l'allarme chiedendo aiuto alla villa adiacente, abitata dal fratello del medico. Una volta che i quattro balordi sono fuggiti (rubando l'auto del medico, una Fiat Sedici grigio metallizzato), il medico è riuscito a liberarsi dalle fascette di plastica con cui era stato legato, e a liberare anche la moglie.
Nelle indagini sarebbe coinvolta anche una donna romena vicina ai banditi identificati, un'ex collaboratrice domestica dei coniugi Martelli. Tanti i testimoni che nei giorni scorsi hanno parlato con gli inquirenti, anche loro vittime di rapine in casa. Oltre ai coniugi Delle Vigne, la violenza della banda di romeni è stata confermata di nuovo dal commerciante Domenico Iezzi che in un'altra rapina ha subito la mutilazione di un dito. E anche dai familiari di Carlo Iubatti, che fu selvaggiamente picchiato e rapinato a Guardiagrele, sempre in provincia di Chieti: «La violenza feroce di queste rapine sembra quella che è stata usata contro di noi», dicono.
Ieri mattina Niva Bazzan ha detto che non è lei a «dover perdonare i malviventi. È lo Stato che non deve perdonare». In mattinata il prefetto di Chieti, Antonio Corona, si è recato in ospedale a trovare Carlo Martelli che ha accolto con sollievo la notizia degli arresti: «La notizia mi rende più sereno e mi restituisce una maggiore tranquillità nel rientrare a casa. Adesso davvero non vedo l'ora». Confortata anche la figlia Carlotta: «Siamo molto più sollevati, è un rientro migliore per i miei genitori». Tranquillità che dovrà essere resa concreta dalla magistratura. Le forze dell'ordine hanno svolto il loro compito e ieri hanno evitato che l'ira della folla si accanisse sui tre romeni. Tocca ora alle toghe fare in modo che le belve di Lanciano non tornino libere in pochi mesi.
Giancarlo Palombi
Continua a leggereRiduci
Alla sbarra le tre Onlus che hanno riempito la città di immigrati, lucrandoci milioni di euro: 46 dei quali sarebbero stati distratti.I malviventi arrestati per la rapina in villa hanno tra i 20 e i 30 anni: fuggivano verso l'Est Europa. Nell'auto usata per il colpo avevano 3.400 euro. Sospetti sulla domestica, caccia al capo banda italiano e ai complici. Matteo Salvini: «Devono marcire in galera».Lo speciale contiene due articoliC'è voluto un anno e mezzo, ma alla fine la Procura della Repubblica di Macerata con la firma del procuratore capo, Giovanni Giorgio, ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio delle tre Onlus e dei loro legali rappresentanti che si occupano sul territorio dell'accoglienza ai migranti. I capi d'accusa sono molti: il più pesante è l'evasione fiscale. Si parla, secondo il dossier, di accuse messe insieme dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Macerata di 40 milioni di euro di redditi non denunciati e di quasi 6 milioni di Iva evasa. Il processo si farà a gennaio e in Corte d'assise dovranno comparire il Gus e il suo presidente, Paolo Bernabucci - una specie di dominus dell'accoglienza migranti in Italia - la Acsim di cui è legale rappresentante il nigeriano Daniel Chibunna Amanze, che risiede in città da trent'anni e che in passato fu condannato per un reato minore, e la Perigeo di cui è rappresentante Laura Bracalini. Alla sbarra va il cosiddetto sistema Macerata, che ha prodotto un abnorme arrivo di migranti, profughi e richiedenti asilo nella città che ha dato i natali a Laura Boldrini, madrina da sempre di questa politica delle porte aperte e dal contributo facile che ha trasformato il Gus, gestore di fatto in regime di monopolio dei progetti Sprar di tutte le Marche (riceve, compresi i 12 milioni di Macerata, incarichi per oltre 20 milioni di euro in Regione) nella prima azienda per fatturato e dipendenti della provincia di Macerata: 31,5 milioni di introiti, 470 impiegati, 88.000 euro di utile. Il Gus è una delle più grosse organizzazione di accoglienza dei migranti in ottimi rapporti con il Pd, tanto che Giovanni Lattanzi è stato responsabile nazionale delle politiche di assistenza nella segreteria di Matteo Renzi e Paolo Bernabucci ha avuto una carriera parallela a quella di Laura Boldrini. Il sistema Macerata è venuto alla luce all'indomani della barbara uccisione di Pamela Mastropietro, la ragazza romana di 18 anni uccisa e fatta a pezzi in un appartamento di via Spalato il 30 gennaio scorso, il cui cadavere fu trovato in due trolley alla periferia di Pollenza poco distante da Macerata. E - sia pure per una coincidenza - il rinvio a giudizio dei vertici delle Onlus che si occupano dei migranti arriva proprio nel giorno in cui sono comparsi in aula con l'accusa di spaccio e di detenzione di droga tre nigeriani: Innocent Oseghale, Desmond Lucky e Lucky Awelima. Oseghale, già ospite del Gus, che dopo i fatti di via Spalato si è affrettato a far sapere che il nigeriano non seguiva i programmi di inserimento come previsto dallo Sprar dopo che già era stato condannato per spaccio, è in carcere con l'accusa di aver violentato, ucciso e fatto a pezzi Pamela. Lui ha solo ammesso di avere tagliato il cadavere. Ma nell'inchiesta per lo scempio di via Spalato erano entrati anche gli altri due, anche loro ospiti di programmi Sprar gestiti dalla Acsim, un'altra delle tre Onlus rinviate a giudizio. Mentre Awelima e Lucky godevano dell'accoglienza spacciavano senza che nessuno intervenisse. Il capo della Acsim che è anche il referente della numerosa comunità nigeriana a Macerata, Amanze, all'indomani dell'omicidio di Pamela denunciò il furto dei computer della sua Onlus. Circostanza sulla quale è aperta un'inchiesta parallela. Ma oggi la Procura di Macerata sembra avere raccolto sufficienti elementi per inchiodare Innocent Oseghale (c'è un pentito che lo accusa: avrebbe raccolto le confidenze del nigeriano in carcere e questi gli avrebbe confessato di avere drogato, violentato e fatto a pezzi mentre era ancora viva e infine uccisa la povera Pamela) e contemporaneamente ha ottenuto il rinvio a giudizio delle tre Onlus. La posizione di gran lunga più pesante è quella del Gus. Sarebbe il Gruppo di umana solidarietà ad aver orchestrato e gestito il sistema Macerata per la spartizione degli appalti per la gestione dei migranti e sul Gus pende l'accusa più pesante di evasione: oltre 10,4 milioni di euro occultati e oltre 5 milioni di Iva evasa. Non solo Bernabucci e Lattanzi sono accusati di essersi attribuiti reciprocamente consulenze attingendo ai fondi del Gus. Ma nel dibattimento si farà luce anche su altre due circostanze che la Guardia di finanza aveva messo in luce e che la Procura ha riversato nell'inchiesta: le donazioni che il Gus ha iscritto a bilancio senza specificare a chi sono state fatte e a quale titolo le elargizioni e la «democraticità» della gestione di questa Onlus, che con soli 13 soci ha però 470 dipendenti. Proprio su questo punto il procuratore di Macerata, Giovanni Giorgio, ha incardinato l'accusa: il Gus non è più una Onlus, ma è di fatto una società commerciale che tratta merce molto speciale, i migranti. E ora l'inchiesta sta avendo le prime conseguenze. Il Gus sta chiedendo a molti dipendenti di dare le dimissioni volontarie anche per non pagare il Naspi (una specie di cassaintegrazione) e prevede di avere un drastico calo di fatturato in conseguenza della stretta sui migranti. Anche alla Acsim sono stati fatti rilievi analoghi, anche se minori, visto che la moglie di Amanze è dipendente della Onlus con uno stipendio incompatibile con le finalità di una società che non ha scopo di lucro, mentre per la Perigeo i rilievi si appuntano soprattutto su di un'anomala attività immobiliare. L'inchiesta della Guardia di finanza che ha messo sotto monitoraggio i bilanci delle tre Onlus dal 2011 al 2015 era nata da una segnalazione della prefettura per un abnorme arrivo di profughi pakistani che avevano tutti in tasca un biglietto con i riferimenti del Gus. Da lì le fiamme gialle sono partite per mettere in luce il sistema Macerata alimentato dai finanziamenti che il sindaco di Macerata, Romano Carancini (Pd), ha elargito per fare di questa città la capitale dell'accoglienza. Un sistema che si è drammaticamente rotto il 30 gennaio scorso con la barbara uccisione di Pamela, che ha prodotto il crollo verticale dei consensi del Pd. Un sistema che oggi va alla sbarra insieme al Gus.Carlo Cambi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/a-processo-per-evasione-il-sistema-daccoglienza-della-rossa-macerata-2608189607.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="prese-le-belve-di-lanciano-sono-tre-romeni" data-post-id="2608189607" data-published-at="1766643483" data-use-pagination="False"> Prese le belve di Lanciano: sono tre romeni Un lungo inseguimento sulle strade della provincia di Chieti. Una Volkswagen Golf del 2004 di colore blu, con targa romena, che sfiora i 180 chilometri orari. Sfreccia, compie manovre pericolose cercando di seminare la pattuglia della polizia, che segue i sospetti e intanto chiede rinforzi. Infine l'incidente, la vettura con i fuggitivi che si schianta da sola sulla provinciale e le mani degli agenti che impugnano le semiautomatiche d'ordinanza, puntandole verso i finestrini infranti. È finita così la fuga dei macellai di Lanciano, tutti di nazionalità romena. Sono tre gli arresti - ma potrebbe presto aumentare il numero delle persone fermate - eseguiti dalle forze dell'ordine per la brutale rapina di domenica scorsa ai danni del chirurgo Carlo Martelli e della moglie Niva Bazzan, entrambi di 69 anni, sequestrati e picchiati selvaggiamente (alla donna è stato mutilato un orecchio). Gli investigatori sono riusciti a bloccarli in località Costa di Chieti: i tre stavano fuggendo in Romania. Sull'automobile i malviventi avevano circa 3.400 euro, un coltello a serramanico e i passamontagna usati durante la rapina. Gli arrestati, in base a quanto emerso, sono due fratelli e un cugino di nazionalità romena, di età compresa tra i 20 e i 30 anni. La vettura utilizzata per la fuga è stata portata al commissariato di Lanciano per essere analizzata dagli esperti della polizia scientifica di Ancona: si cercano riscontri validi attraverso impronte digitali e tracce biologiche. È ancora caccia aperta invece al capo della banda. Fonti investigative precisano che la persona cercata non necessariamente è di un'area geografica lontana dall'Abruzzo e non si esclude che l'italiano possa essere anche residente nella zona di Lanciano o nella provincia di Chieti. Secondo quanto si apprende già in precedenti rapine alcuni malviventi avevano fatto credere alle vittime di provenire dalla Puglia. Il bandito al vertice del gruppo non è parente degli arrestati, e sarebbe la persona che ha tagliato l'orecchio a Niva Bazzan. L'operazione congiunta di carabinieri e polizia è scattata poco dopo la mezzanotte di martedì, con un grande dispiegamento di uomini intorno a un palazzo di corso Roma, nel centro della cittadina abruzzese, dopo che il procuratore capo di Lanciano, Mirvana Di Serio, e il questore di Chieti, Ruggiero Borzacchiello, avevano sottolineato a più riprese nella giornata di martedì la necessità di portare avanti gli accertamenti «nel più stretto riserbo». Le indagini ancora in corso sono condotte dalla Squadra mobile di Chieti e dal commissariato di Lanciano, che nelle ultime ore sono stati affiancati dallo Sco (Servizio centrale operativo). La svolta nella serata del 25, quando è stata registrata la testimonianza del commerciante Massimiliano Delle Vigne, che ha ricordato il pestaggio subito nella sua villa a poche centinaia di metri dalla residenza dei coniugi Martelli. «Anche se ho visto solo occhi dietro un cappuccio e voci, tutto combacia: sono dell'Est Europa». Tutti elementi riscontrabili anche nell'aggressione ai due coniugi di Lanciano. Martelli, chirurgo in pensione nonché fondatore dell'associazione Anffas, e la moglie Niva Bazzan, ex infermiera, sono stati aggrediti alle 4 della notte del 23 settembre nella villa a Carminiello, vicino a Lanciano. In quattro, incappucciati, hanno parcheggiato l'auto poi hanno reciso il catenaccio di una grata in ferro e hanno avuto accesso alla cantina dell'abitazione. È lì che hanno preso la roncola utilizzata per mozzare l'orecchio alla moglie del chirurgo. Un taglio circolare, che ha causato uno sfregio permanente alla donna. Una volta saliti ai piani superiori hanno legato i coniugi e li hanno picchiati facendosi consegnare bancomat e carte di credito. I rapinatori hanno messo a soqquadro anche la stanza del figlio della coppia, disabile. Attorno alle 6 gli ostaggi sono riusciti a liberarsi e a dare l'allarme chiedendo aiuto alla villa adiacente, abitata dal fratello del medico. Una volta che i quattro balordi sono fuggiti (rubando l'auto del medico, una Fiat Sedici grigio metallizzato), il medico è riuscito a liberarsi dalle fascette di plastica con cui era stato legato, e a liberare anche la moglie. Nelle indagini sarebbe coinvolta anche una donna romena vicina ai banditi identificati, un'ex collaboratrice domestica dei coniugi Martelli. Tanti i testimoni che nei giorni scorsi hanno parlato con gli inquirenti, anche loro vittime di rapine in casa. Oltre ai coniugi Delle Vigne, la violenza della banda di romeni è stata confermata di nuovo dal commerciante Domenico Iezzi che in un'altra rapina ha subito la mutilazione di un dito. E anche dai familiari di Carlo Iubatti, che fu selvaggiamente picchiato e rapinato a Guardiagrele, sempre in provincia di Chieti: «La violenza feroce di queste rapine sembra quella che è stata usata contro di noi», dicono. Ieri mattina Niva Bazzan ha detto che non è lei a «dover perdonare i malviventi. È lo Stato che non deve perdonare». In mattinata il prefetto di Chieti, Antonio Corona, si è recato in ospedale a trovare Carlo Martelli che ha accolto con sollievo la notizia degli arresti: «La notizia mi rende più sereno e mi restituisce una maggiore tranquillità nel rientrare a casa. Adesso davvero non vedo l'ora». Confortata anche la figlia Carlotta: «Siamo molto più sollevati, è un rientro migliore per i miei genitori». Tranquillità che dovrà essere resa concreta dalla magistratura. Le forze dell'ordine hanno svolto il loro compito e ieri hanno evitato che l'ira della folla si accanisse sui tre romeni. Tocca ora alle toghe fare in modo che le belve di Lanciano non tornino libere in pochi mesi. Giancarlo Palombi
Con Luciano Pignataro commentiamo l'iscrizione della nostra grande tradizione gastronomica nel patrimonio immateriale dell'umanità
iStock
Il nuovo rapporto Europol dipinge un quadro inquietante del traffico di migranti in Europa: reti criminali globali sempre più frammentate e tecnologiche, violenze estreme, sfruttamento sistematico e uso di intelligenza artificiale per gestire i flussi e massimizzare i profitti. Nonostante l’aumento dei controlli, le organizzazioni si adattano rapidamente, mentre le vittime - soprattutto donne - continuano a subire soprusi lungo rotte complesse e costose.
I network dediti al traffico di esseri umani stanno mostrando una flessibilità operativa mai osservata prima, sfruttando l’attuale disordine geopolitico come leva per moltiplicare i guadagni. È questa la fotografia inquietante che emerge dall’ultimo dossier pubblicato da Europol, che scandaglia nel dettaglio le modalità con cui le organizzazioni criminali reclutano, instradano e infine assoggettano migliaia di migranti intenzionati a entrare in Europa. Secondo l’agenzia europea, tali gruppi non esitano a impiegare violenze estreme, soprusi sistematici e pratiche di sfruttamento feroce pur di incassare somme che possono arrivare a decine di migliaia di euro per singola traversata. Come riportato da Le Figaro, il documento rappresenta il nono rapporto operativo del Centro europeo contro il traffico di migranti, organismo creato nel 2016 e oggi integrato in Europol. L’analisi si concentra in particolare sul 2024, ultimo anno per il quale sono disponibili dati completi, e restituisce l’immagine di uno sforzo investigativo di vasta portata: 266 operazioni sostenute, 48 giornate di azione coordinate a livello internazionale e oltre 14.000 segnalazioni operative trasmesse tramite il sistema Siena, la piattaforma di scambio informativo tra le polizie europee. Un volume in forte crescita rispetto alle 2.072 comunicazioni del 2016, che conferma l’intensificarsi della pressione investigativa sulle reti di trafficanti a livello continentale.
Al di là dei numeri, il rapporto mette in luce una trasformazione strutturale del fenomeno. Europol individua come tendenza dominante la crescente internazionalizzazione delle organizzazioni criminali e la loro frammentazione funzionale, soprattutto sull’asse Europa–Nord Africa. Lungo le rotte migratorie, ogni fase del processo – dal reclutamento al trasferimento, fino allo sfruttamento finale – viene demandata a soggetti differenti, spesso ben radicati sul territorio. La direzione strategica, invece, si colloca frequentemente al di fuori dell’Unione Europea, una configurazione che consente alle reti di restare operative anche quando singoli segmenti vengono smantellati dalle autorità. Queste organizzazioni sono in grado di pianificare percorsi articolati: accompagnare migranti dalla Siria alla Francia, dal Marocco alla Spagna o dalla Russia alla Svezia; produrre documenti contraffatti in Pakistan e farli arrivare in Scandinavia; garantire sistemazioni temporanee considerate «sicure» in diversi Paesi europei. In alcuni casi, le reti arrivano persino a reperire donne destinate a matrimoni forzati. Un fenomeno già denunciato dalle Nazioni Unite in un rapporto diffuso alla fine del 2024, che segnalava rapimenti lungo le rotte africane e mediorientali, con vittime obbligate a sposare i propri sequestratori e a subire gravidanze imposte.
Secondo Europol, i trafficanti costruiscono vere e proprie strutture modulari, con cellule specializzate nel reclutamento, nel transito e nello sfruttamento delle persone. Non si tratta, inoltre, di gruppi limitati a una sola attività illecita: molte reti operano simultaneamente in più ambiti criminali. Il rapporto cita, ad esempio, un’organizzazione composta prevalentemente da cittadini cinesi, smantellata tra Spagna e Croazia nel dicembre 2024, coinvolta in sfruttamento sessuale, riciclaggio di denaro, frodi e favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Le 33 vittime individuate erano state costrette a prostituirsi in diversi Paesi europei. Il dossier offre anche una mappatura dettagliata delle rotte migratorie e dei relativi costi. Arrivare a Cipro dalla Siria può comportare una spesa che va da poche centinaia fino a 10.000 euro, in base al livello di rischio e ai servizi inclusi. Il passaggio dalla Turchia all’Italia non scende sotto i 5.000 euro, mentre raggiungere la Finlandia partendo dalla Russia costa tra i 1.500 e i 5.000 euro. Le tratte più onerose restano quelle della Manica e del Mediterraneo occidentale tra Marocco e Spagna, dove le tariffe oscillano tra i 10 e i 20.000 euro. A questo si aggiunge un vero e proprio listino «accessorio»: documenti falsi, alloggi, voli, passaporti e perfino donne, valutate come merce con prezzi compresi tra i 1.000 e i 2.500 euro.
La gestione dei flussi finanziari rappresenta un altro nodo cruciale. Il denaro raramente transita attraverso i canali bancari tradizionali. I trafficanti fanno largo uso dell’hawala, un sistema informale basato sulla fiducia tra intermediari, che consente trasferimenti rapidi e difficilmente tracciabili. Negli ultimi anni, però, a questo meccanismo si sono affiancate - e in parte sostituite - le criptovalute. Europol segnala un ricorso crescente a broker specializzati, trasporto di contante e schemi di conversione digitale, seguiti dal reinvestimento dei proventi in attività apparentemente lecite come agenzie di viaggio o immobili.
Le nuove tecnologie permeano l’intero modello di business criminale. Alcune reti hanno replicato le logiche del marketing digitale, creando vere e proprie «accademie» online in cui i trafficanti più esperti addestrano i nuovi affiliati. L’intelligenza artificiale viene utilizzata per generare annunci multilingue, poi diffusi sui social network e su piattaforme di messaggistica criptata come Telegram, allo scopo di intercettare potenziali clienti. A complicare ulteriormente la risposta delle autorità è l’estrema rapidità con cui i trafficanti rimodulano le rotte in funzione dei controlli, delle crisi regionali e persino delle opportunità generate dai conflitti. Quando un corridoio viene messo sotto pressione da arresti o pattugliamenti, le reti spostano rapidamente uomini, mezzi e contatti su itinerari alternativi, frammentando il viaggio in micro-tratte affidate a intermediari diversi. Una strategia che riduce l’esposizione dei vertici e, allo stesso tempo, moltiplica le occasioni di abuso sui migranti, costretti a dipendere da una catena di soggetti spesso violenti e imprevedibili. In questo schema, il controllo non si esercita solo attraverso la forza fisica, ma anche tramite la coercizione psicologica: debiti gonfiati, minacce di abbandono, pressioni sulle famiglie e ricatti legati ai documenti diventano strumenti di dominio. Europol sottolinea inoltre come l’intreccio tra traffico di migranti e altri affari illeciti – dalla frode al riciclaggio, fino allo sfruttamento sessuale – generi un ecosistema in cui le vittime possono essere spostate da un mercato all’altro in base alla convenienza. Il capitolo più oscuro resta quello dedicato alla violenza, ormai elevata a vero e proprio modello economico. Le donne risultano le principali vittime. Secondo dati ONU, lungo la rotta del Mediterraneo centrale fino al 90% delle donne e delle ragazze subisce stupri o aggressioni sessuali. Molte sono costrette a «pagare» il viaggio offrendo prestazioni sessuali, spesso a più uomini, in cambio di una presunta protezione. Minacce, torture e ricatti si estendono anche alle famiglie rimaste nei Paesi d’origine, con l’obiettivo di estorcere ulteriori somme di denaro.
La Libia continua a rappresentare uno degli epicentri di questa brutalità. Rapporti internazionali documentano il ritrovamento di corpi di migranti uccisi, torturati o lasciati morire per fame e mancanza di cure, abbandonati in discariche, campi agricoli o nel deserto. La violenza viene impiegata anche all’interno delle stesse reti criminali come strumento di controllo dei territori e delle quote di mercato. Nonostante questo quadro, alcune misure di contrasto sembrano produrre risultati. Secondo Frontex, nel 2024 gli ingressi irregolari nell’Unione Europea sono scesi a 239.000, il livello più basso dal 2021. La rotta balcanica ha registrato un crollo del 78%, quella del Mediterraneo centrale del 59%. Altre direttrici, però, mostrano un andamento opposto: +14% sul Mediterraneo orientale e +18% lungo la rotta dell’Africa occidentale. In questo scenario, i Paesi UE hanno avviato un ulteriore irrigidimento delle politiche migratorie, aprendo anche all’ipotesi di trasferire i migranti in centri situati al di fuori dei confini europei. Un segnale che la partita resta aperta, mentre le organizzazioni criminali continuano a reinventarsi, spesso mantenendo un vantaggio operativo rispetto alle contromisure.
Continua a leggereRiduci
Sergio Mattarella (Ansa)
Si torna quindi all’originale, fedeli al manoscritto autografo del paroliere, che morì durante l’assedio di Roma per una ferita alla gamba. Lo certifica il documento oggi conservato al Museo del Risorgimento di Torino.
La svolta riguarderà soprattutto le cerimonie militari ufficiali. Lo Stato Maggiore della Difesa, in un documento datato 2 dicembre, ha infatti inviato l’ordine a tutte le forze armate: durante gli eventi istituzionali e le manifestazioni militari nelle quali verrà eseguito l’inno nella versione cantata - che parte con un «Allegro marziale» -, il grido in questione dovrà essere omesso. E viene raccomandata «la scrupolosa osservanza» a tutti i livelli, fino al più piccolo presidio territoriale, dalla Guardia di Finanza all’Esercito. Ovviamente nessuno farà una piega se allo stadio i tifosi o i calciatori della nazionale azzurra (discorso che vale per tutti gli sport) faranno uno strappo alla regola, anche se la strada ormai è tracciata.
Per confermare la bontà della decisione del Colle basta ricordare le indicazioni che il Maestro Riccardo Muti diede ai 3.000 coristi (professionisti e amatori, dai 4 agli 87 anni) radunati a Ravenna lo scorso giugno per l’evento dal titolo agostiniano «Cantare amantis est» (Cantare è proprio di chi ama). Proprio in quell’occasione, come avevamo raccontato su queste pagine, il grande direttore d’orchestra - che da decenni cerca di spazzare via dall’opera italiana le aggiunte postume, gli abbellimenti non richiesti e gli acuti non scritti dagli autori, ripulendo le partiture dalle «bieche prassi erroneamente chiamate tradizioni» - ordinò a un coro neonato ma allo stesso tempo immenso: «Il “sì” finale non si canta, nel manoscritto non c’è».
Continua a leggereRiduci
Scott Bessent (Ansa)
Partiamo da Washington, dove il Pil non solo non rallenta, ma accelera. Nel terzo trimestre dell’anno, da luglio a settembre, l’economia americana è cresciuta del 4,3%. Non un decimale in più o in meno: un punto pieno sopra le attese, ferme a un modesto 3,3%. Un dato arrivato in ritardo, complice lo stop federale che ha paralizzato le attività pubbliche, ma che ha avuto l’effetto di una doccia fredda per gli analisti più pessimisti. Altro che frenata da dazi: rispetto al secondo trimestre, l’incremento è stato dell’1,1%. Altro che economia sotto anestesia. Una successo che spinge Scott Bessent, segretario del Tesoro, a fare pressioni sulla Fed perché tagli i tassi e riveda al ribasso dal 2% all’1,5% il tetto all’inflazione. Il motore della crescita? I consumi, tanto per cambiare. Gli americani hanno continuato a spendere come se i dazi fossero un concetto astratto da talk show. Nel terzo trimestre i consumi sono saliti del 3,5%, dopo il più 2,5% dei mesi precedenti. A spingere il Pil hanno contribuito anche le esportazioni e la spesa pubblica, in un mix poco ideologico e molto concreto. La morale è semplice: mentre la politica discute, l’economia va avanti. E spesso prende un’altra direzione.
E l’Europa? Doveva essere la prima vittima collaterale della guerra commerciale. Anche qui, però, i numeri si ostinano a non obbedire alle narrazioni. L’Italia, per esempio, a novembre ha visto rafforzarsi il saldo commerciale con i Paesi extra Ue, arrivato a più 6,9 miliardi di euro, contro i 5,3 miliardi dello stesso mese del 2024. Quanto agli Stati Uniti, l’export italiano registra sì un calo, ma limitato: meno 3%. Una flessione che somiglia più a un raffreddore stagionale che a una polmonite da dazi. Non esattamente lo scenario da catastrofe annunciata.
Anche la Bce, che per statuto non indulge in entusiasmi, ha dovuto prendere atto della resilienza dell’economia europea. Le nuove proiezioni parlano di una crescita dell’eurozona all’1,4% nel 2025, in rialzo rispetto all’1,2% stimato a settembre, e dell’1,2% nel 2026, contro l’1,0 precedente. Non è un boom, certo, ma nemmeno il deserto postbellico evocato dai più allarmisti. Soprattutto, è un segnale: l’Europa cresce nonostante tutto, e nonostante tutti. E poi c’è la Cina, che osserva il dibattito globale con il sorriso di chi incassa. Nei primi undici mesi del 2025 Pechino ha messo a segno un surplus commerciale record di oltre 1.000 miliardi di dollari, con esportazioni superiori ai 3.400 miliardi. Altro che isolamento: la fabbrica del mondo continua a macinare numeri, mentre l’Occidente discute se i dazi siano il male assoluto o solo un peccato veniale.
Alla fine, la lezione è sempre la stessa. I dazi fanno rumore, le previsioni pure. Ma l’economia parla a bassa voce e con i numeri. E spesso, come in questo caso, si diverte a smentire chi aveva già scritto il copione del disastro. Le cassandre restano senza applausi. Le statistiche, ancora una volta, si prendono la scena.
Continua a leggereRiduci