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2018-09-27
A processo per evasione il sistema d’accoglienza della «rossa» Macerata
Ansa
C'è voluto un anno e mezzo, ma alla fine la Procura della Repubblica di Macerata con la firma del procuratore capo, Giovanni Giorgio, ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio delle tre Onlus e dei loro legali rappresentanti che si occupano sul territorio dell'accoglienza ai migranti. I capi d'accusa sono molti: il più pesante è l'evasione fiscale. Si parla, secondo il dossier, di accuse messe insieme dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Macerata di 40 milioni di euro di redditi non denunciati e di quasi 6 milioni di Iva evasa.
Il processo si farà a gennaio e in Corte d'assise dovranno comparire il Gus e il suo presidente, Paolo Bernabucci - una specie di dominus dell'accoglienza migranti in Italia - la Acsim di cui è legale rappresentante il nigeriano Daniel Chibunna Amanze, che risiede in città da trent'anni e che in passato fu condannato per un reato minore, e la Perigeo di cui è rappresentante Laura Bracalini. Alla sbarra va il cosiddetto sistema Macerata, che ha prodotto un abnorme arrivo di migranti, profughi e richiedenti asilo nella città che ha dato i natali a Laura Boldrini, madrina da sempre di questa politica delle porte aperte e dal contributo facile che ha trasformato il Gus, gestore di fatto in regime di monopolio dei progetti Sprar di tutte le Marche (riceve, compresi i 12 milioni di Macerata, incarichi per oltre 20 milioni di euro in Regione) nella prima azienda per fatturato e dipendenti della provincia di Macerata: 31,5 milioni di introiti, 470 impiegati, 88.000 euro di utile.
Il Gus è una delle più grosse organizzazione di accoglienza dei migranti in ottimi rapporti con il Pd, tanto che Giovanni Lattanzi è stato responsabile nazionale delle politiche di assistenza nella segreteria di Matteo Renzi e Paolo Bernabucci ha avuto una carriera parallela a quella di Laura Boldrini. Il sistema Macerata è venuto alla luce all'indomani della barbara uccisione di Pamela Mastropietro, la ragazza romana di 18 anni uccisa e fatta a pezzi in un appartamento di via Spalato il 30 gennaio scorso, il cui cadavere fu trovato in due trolley alla periferia di Pollenza poco distante da Macerata. E - sia pure per una coincidenza - il rinvio a giudizio dei vertici delle Onlus che si occupano dei migranti arriva proprio nel giorno in cui sono comparsi in aula con l'accusa di spaccio e di detenzione di droga tre nigeriani: Innocent Oseghale, Desmond Lucky e Lucky Awelima. Oseghale, già ospite del Gus, che dopo i fatti di via Spalato si è affrettato a far sapere che il nigeriano non seguiva i programmi di inserimento come previsto dallo Sprar dopo che già era stato condannato per spaccio, è in carcere con l'accusa di aver violentato, ucciso e fatto a pezzi Pamela. Lui ha solo ammesso di avere tagliato il cadavere. Ma nell'inchiesta per lo scempio di via Spalato erano entrati anche gli altri due, anche loro ospiti di programmi Sprar gestiti dalla Acsim, un'altra delle tre Onlus rinviate a giudizio. Mentre Awelima e Lucky godevano dell'accoglienza spacciavano senza che nessuno intervenisse. Il capo della Acsim che è anche il referente della numerosa comunità nigeriana a Macerata, Amanze, all'indomani dell'omicidio di Pamela denunciò il furto dei computer della sua Onlus.
Circostanza sulla quale è aperta un'inchiesta parallela. Ma oggi la Procura di Macerata sembra avere raccolto sufficienti elementi per inchiodare Innocent Oseghale (c'è un pentito che lo accusa: avrebbe raccolto le confidenze del nigeriano in carcere e questi gli avrebbe confessato di avere drogato, violentato e fatto a pezzi mentre era ancora viva e infine uccisa la povera Pamela) e contemporaneamente ha ottenuto il rinvio a giudizio delle tre Onlus. La posizione di gran lunga più pesante è quella del Gus. Sarebbe il Gruppo di umana solidarietà ad aver orchestrato e gestito il sistema Macerata per la spartizione degli appalti per la gestione dei migranti e sul Gus pende l'accusa più pesante di evasione: oltre 10,4 milioni di euro occultati e oltre 5 milioni di Iva evasa. Non solo Bernabucci e Lattanzi sono accusati di essersi attribuiti reciprocamente consulenze attingendo ai fondi del Gus. Ma nel dibattimento si farà luce anche su altre due circostanze che la Guardia di finanza aveva messo in luce e che la Procura ha riversato nell'inchiesta: le donazioni che il Gus ha iscritto a bilancio senza specificare a chi sono state fatte e a quale titolo le elargizioni e la «democraticità» della gestione di questa Onlus, che con soli 13 soci ha però 470 dipendenti.
Proprio su questo punto il procuratore di Macerata, Giovanni Giorgio, ha incardinato l'accusa: il Gus non è più una Onlus, ma è di fatto una società commerciale che tratta merce molto speciale, i migranti. E ora l'inchiesta sta avendo le prime conseguenze. Il Gus sta chiedendo a molti dipendenti di dare le dimissioni volontarie anche per non pagare il Naspi (una specie di cassaintegrazione) e prevede di avere un drastico calo di fatturato in conseguenza della stretta sui migranti. Anche alla Acsim sono stati fatti rilievi analoghi, anche se minori, visto che la moglie di Amanze è dipendente della Onlus con uno stipendio incompatibile con le finalità di una società che non ha scopo di lucro, mentre per la Perigeo i rilievi si appuntano soprattutto su di un'anomala attività immobiliare. L'inchiesta della Guardia di finanza che ha messo sotto monitoraggio i bilanci delle tre Onlus dal 2011 al 2015 era nata da una segnalazione della prefettura per un abnorme arrivo di profughi pakistani che avevano tutti in tasca un biglietto con i riferimenti del Gus. Da lì le fiamme gialle sono partite per mettere in luce il sistema Macerata alimentato dai finanziamenti che il sindaco di Macerata, Romano Carancini (Pd), ha elargito per fare di questa città la capitale dell'accoglienza. Un sistema che si è drammaticamente rotto il 30 gennaio scorso con la barbara uccisione di Pamela, che ha prodotto il crollo verticale dei consensi del Pd. Un sistema che oggi va alla sbarra insieme al Gus.
Carlo Cambi
Prese le belve di Lanciano: sono tre romeni
Un lungo inseguimento sulle strade della provincia di Chieti. Una Volkswagen Golf del 2004 di colore blu, con targa romena, che sfiora i 180 chilometri orari. Sfreccia, compie manovre pericolose cercando di seminare la pattuglia della polizia, che segue i sospetti e intanto chiede rinforzi. Infine l'incidente, la vettura con i fuggitivi che si schianta da sola sulla provinciale e le mani degli agenti che impugnano le semiautomatiche d'ordinanza, puntandole verso i finestrini infranti.
È finita così la fuga dei macellai di Lanciano, tutti di nazionalità romena. Sono tre gli arresti - ma potrebbe presto aumentare il numero delle persone fermate - eseguiti dalle forze dell'ordine per la brutale rapina di domenica scorsa ai danni del chirurgo Carlo Martelli e della moglie Niva Bazzan, entrambi di 69 anni, sequestrati e picchiati selvaggiamente (alla donna è stato mutilato un orecchio). Gli investigatori sono riusciti a bloccarli in località Costa di Chieti: i tre stavano fuggendo in Romania. Sull'automobile i malviventi avevano circa 3.400 euro, un coltello a serramanico e i passamontagna usati durante la rapina. Gli arrestati, in base a quanto emerso, sono due fratelli e un cugino di nazionalità romena, di età compresa tra i 20 e i 30 anni. La vettura utilizzata per la fuga è stata portata al commissariato di Lanciano per essere analizzata dagli esperti della polizia scientifica di Ancona: si cercano riscontri validi attraverso impronte digitali e tracce biologiche.
È ancora caccia aperta invece al capo della banda. Fonti investigative precisano che la persona cercata non necessariamente è di un'area geografica lontana dall'Abruzzo e non si esclude che l'italiano possa essere anche residente nella zona di Lanciano o nella provincia di Chieti. Secondo quanto si apprende già in precedenti rapine alcuni malviventi avevano fatto credere alle vittime di provenire dalla Puglia. Il bandito al vertice del gruppo non è parente degli arrestati, e sarebbe la persona che ha tagliato l'orecchio a Niva Bazzan.
L'operazione congiunta di carabinieri e polizia è scattata poco dopo la mezzanotte di martedì, con un grande dispiegamento di uomini intorno a un palazzo di corso Roma, nel centro della cittadina abruzzese, dopo che il procuratore capo di Lanciano, Mirvana Di Serio, e il questore di Chieti, Ruggiero Borzacchiello, avevano sottolineato a più riprese nella giornata di martedì la necessità di portare avanti gli accertamenti «nel più stretto riserbo». Le indagini ancora in corso sono condotte dalla Squadra mobile di Chieti e dal commissariato di Lanciano, che nelle ultime ore sono stati affiancati dallo Sco (Servizio centrale operativo).
La svolta nella serata del 25, quando è stata registrata la testimonianza del commerciante Massimiliano Delle Vigne, che ha ricordato il pestaggio subito nella sua villa a poche centinaia di metri dalla residenza dei coniugi Martelli. «Anche se ho visto solo occhi dietro un cappuccio e voci, tutto combacia: sono dell'Est Europa». Tutti elementi riscontrabili anche nell'aggressione ai due coniugi di Lanciano. Martelli, chirurgo in pensione nonché fondatore dell'associazione Anffas, e la moglie Niva Bazzan, ex infermiera, sono stati aggrediti alle 4 della notte del 23 settembre nella villa a Carminiello, vicino a Lanciano. In quattro, incappucciati, hanno parcheggiato l'auto poi hanno reciso il catenaccio di una grata in ferro e hanno avuto accesso alla cantina dell'abitazione. È lì che hanno preso la roncola utilizzata per mozzare l'orecchio alla moglie del chirurgo. Un taglio circolare, che ha causato uno sfregio permanente alla donna. Una volta saliti ai piani superiori hanno legato i coniugi e li hanno picchiati facendosi consegnare bancomat e carte di credito. I rapinatori hanno messo a soqquadro anche la stanza del figlio della coppia, disabile.
Attorno alle 6 gli ostaggi sono riusciti a liberarsi e a dare l'allarme chiedendo aiuto alla villa adiacente, abitata dal fratello del medico. Una volta che i quattro balordi sono fuggiti (rubando l'auto del medico, una Fiat Sedici grigio metallizzato), il medico è riuscito a liberarsi dalle fascette di plastica con cui era stato legato, e a liberare anche la moglie.
Nelle indagini sarebbe coinvolta anche una donna romena vicina ai banditi identificati, un'ex collaboratrice domestica dei coniugi Martelli. Tanti i testimoni che nei giorni scorsi hanno parlato con gli inquirenti, anche loro vittime di rapine in casa. Oltre ai coniugi Delle Vigne, la violenza della banda di romeni è stata confermata di nuovo dal commerciante Domenico Iezzi che in un'altra rapina ha subito la mutilazione di un dito. E anche dai familiari di Carlo Iubatti, che fu selvaggiamente picchiato e rapinato a Guardiagrele, sempre in provincia di Chieti: «La violenza feroce di queste rapine sembra quella che è stata usata contro di noi», dicono.
Ieri mattina Niva Bazzan ha detto che non è lei a «dover perdonare i malviventi. È lo Stato che non deve perdonare». In mattinata il prefetto di Chieti, Antonio Corona, si è recato in ospedale a trovare Carlo Martelli che ha accolto con sollievo la notizia degli arresti: «La notizia mi rende più sereno e mi restituisce una maggiore tranquillità nel rientrare a casa. Adesso davvero non vedo l'ora». Confortata anche la figlia Carlotta: «Siamo molto più sollevati, è un rientro migliore per i miei genitori». Tranquillità che dovrà essere resa concreta dalla magistratura. Le forze dell'ordine hanno svolto il loro compito e ieri hanno evitato che l'ira della folla si accanisse sui tre romeni. Tocca ora alle toghe fare in modo che le belve di Lanciano non tornino libere in pochi mesi.
Giancarlo Palombi
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Alla sbarra le tre Onlus che hanno riempito la città di immigrati, lucrandoci milioni di euro: 46 dei quali sarebbero stati distratti.I malviventi arrestati per la rapina in villa hanno tra i 20 e i 30 anni: fuggivano verso l'Est Europa. Nell'auto usata per il colpo avevano 3.400 euro. Sospetti sulla domestica, caccia al capo banda italiano e ai complici. Matteo Salvini: «Devono marcire in galera».Lo speciale contiene due articoliC'è voluto un anno e mezzo, ma alla fine la Procura della Repubblica di Macerata con la firma del procuratore capo, Giovanni Giorgio, ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio delle tre Onlus e dei loro legali rappresentanti che si occupano sul territorio dell'accoglienza ai migranti. I capi d'accusa sono molti: il più pesante è l'evasione fiscale. Si parla, secondo il dossier, di accuse messe insieme dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Macerata di 40 milioni di euro di redditi non denunciati e di quasi 6 milioni di Iva evasa. Il processo si farà a gennaio e in Corte d'assise dovranno comparire il Gus e il suo presidente, Paolo Bernabucci - una specie di dominus dell'accoglienza migranti in Italia - la Acsim di cui è legale rappresentante il nigeriano Daniel Chibunna Amanze, che risiede in città da trent'anni e che in passato fu condannato per un reato minore, e la Perigeo di cui è rappresentante Laura Bracalini. Alla sbarra va il cosiddetto sistema Macerata, che ha prodotto un abnorme arrivo di migranti, profughi e richiedenti asilo nella città che ha dato i natali a Laura Boldrini, madrina da sempre di questa politica delle porte aperte e dal contributo facile che ha trasformato il Gus, gestore di fatto in regime di monopolio dei progetti Sprar di tutte le Marche (riceve, compresi i 12 milioni di Macerata, incarichi per oltre 20 milioni di euro in Regione) nella prima azienda per fatturato e dipendenti della provincia di Macerata: 31,5 milioni di introiti, 470 impiegati, 88.000 euro di utile. Il Gus è una delle più grosse organizzazione di accoglienza dei migranti in ottimi rapporti con il Pd, tanto che Giovanni Lattanzi è stato responsabile nazionale delle politiche di assistenza nella segreteria di Matteo Renzi e Paolo Bernabucci ha avuto una carriera parallela a quella di Laura Boldrini. Il sistema Macerata è venuto alla luce all'indomani della barbara uccisione di Pamela Mastropietro, la ragazza romana di 18 anni uccisa e fatta a pezzi in un appartamento di via Spalato il 30 gennaio scorso, il cui cadavere fu trovato in due trolley alla periferia di Pollenza poco distante da Macerata. E - sia pure per una coincidenza - il rinvio a giudizio dei vertici delle Onlus che si occupano dei migranti arriva proprio nel giorno in cui sono comparsi in aula con l'accusa di spaccio e di detenzione di droga tre nigeriani: Innocent Oseghale, Desmond Lucky e Lucky Awelima. Oseghale, già ospite del Gus, che dopo i fatti di via Spalato si è affrettato a far sapere che il nigeriano non seguiva i programmi di inserimento come previsto dallo Sprar dopo che già era stato condannato per spaccio, è in carcere con l'accusa di aver violentato, ucciso e fatto a pezzi Pamela. Lui ha solo ammesso di avere tagliato il cadavere. Ma nell'inchiesta per lo scempio di via Spalato erano entrati anche gli altri due, anche loro ospiti di programmi Sprar gestiti dalla Acsim, un'altra delle tre Onlus rinviate a giudizio. Mentre Awelima e Lucky godevano dell'accoglienza spacciavano senza che nessuno intervenisse. Il capo della Acsim che è anche il referente della numerosa comunità nigeriana a Macerata, Amanze, all'indomani dell'omicidio di Pamela denunciò il furto dei computer della sua Onlus. Circostanza sulla quale è aperta un'inchiesta parallela. Ma oggi la Procura di Macerata sembra avere raccolto sufficienti elementi per inchiodare Innocent Oseghale (c'è un pentito che lo accusa: avrebbe raccolto le confidenze del nigeriano in carcere e questi gli avrebbe confessato di avere drogato, violentato e fatto a pezzi mentre era ancora viva e infine uccisa la povera Pamela) e contemporaneamente ha ottenuto il rinvio a giudizio delle tre Onlus. La posizione di gran lunga più pesante è quella del Gus. Sarebbe il Gruppo di umana solidarietà ad aver orchestrato e gestito il sistema Macerata per la spartizione degli appalti per la gestione dei migranti e sul Gus pende l'accusa più pesante di evasione: oltre 10,4 milioni di euro occultati e oltre 5 milioni di Iva evasa. Non solo Bernabucci e Lattanzi sono accusati di essersi attribuiti reciprocamente consulenze attingendo ai fondi del Gus. Ma nel dibattimento si farà luce anche su altre due circostanze che la Guardia di finanza aveva messo in luce e che la Procura ha riversato nell'inchiesta: le donazioni che il Gus ha iscritto a bilancio senza specificare a chi sono state fatte e a quale titolo le elargizioni e la «democraticità» della gestione di questa Onlus, che con soli 13 soci ha però 470 dipendenti. Proprio su questo punto il procuratore di Macerata, Giovanni Giorgio, ha incardinato l'accusa: il Gus non è più una Onlus, ma è di fatto una società commerciale che tratta merce molto speciale, i migranti. E ora l'inchiesta sta avendo le prime conseguenze. Il Gus sta chiedendo a molti dipendenti di dare le dimissioni volontarie anche per non pagare il Naspi (una specie di cassaintegrazione) e prevede di avere un drastico calo di fatturato in conseguenza della stretta sui migranti. Anche alla Acsim sono stati fatti rilievi analoghi, anche se minori, visto che la moglie di Amanze è dipendente della Onlus con uno stipendio incompatibile con le finalità di una società che non ha scopo di lucro, mentre per la Perigeo i rilievi si appuntano soprattutto su di un'anomala attività immobiliare. L'inchiesta della Guardia di finanza che ha messo sotto monitoraggio i bilanci delle tre Onlus dal 2011 al 2015 era nata da una segnalazione della prefettura per un abnorme arrivo di profughi pakistani che avevano tutti in tasca un biglietto con i riferimenti del Gus. Da lì le fiamme gialle sono partite per mettere in luce il sistema Macerata alimentato dai finanziamenti che il sindaco di Macerata, Romano Carancini (Pd), ha elargito per fare di questa città la capitale dell'accoglienza. Un sistema che si è drammaticamente rotto il 30 gennaio scorso con la barbara uccisione di Pamela, che ha prodotto il crollo verticale dei consensi del Pd. 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È finita così la fuga dei macellai di Lanciano, tutti di nazionalità romena. Sono tre gli arresti - ma potrebbe presto aumentare il numero delle persone fermate - eseguiti dalle forze dell'ordine per la brutale rapina di domenica scorsa ai danni del chirurgo Carlo Martelli e della moglie Niva Bazzan, entrambi di 69 anni, sequestrati e picchiati selvaggiamente (alla donna è stato mutilato un orecchio). Gli investigatori sono riusciti a bloccarli in località Costa di Chieti: i tre stavano fuggendo in Romania. Sull'automobile i malviventi avevano circa 3.400 euro, un coltello a serramanico e i passamontagna usati durante la rapina. Gli arrestati, in base a quanto emerso, sono due fratelli e un cugino di nazionalità romena, di età compresa tra i 20 e i 30 anni. La vettura utilizzata per la fuga è stata portata al commissariato di Lanciano per essere analizzata dagli esperti della polizia scientifica di Ancona: si cercano riscontri validi attraverso impronte digitali e tracce biologiche. È ancora caccia aperta invece al capo della banda. Fonti investigative precisano che la persona cercata non necessariamente è di un'area geografica lontana dall'Abruzzo e non si esclude che l'italiano possa essere anche residente nella zona di Lanciano o nella provincia di Chieti. Secondo quanto si apprende già in precedenti rapine alcuni malviventi avevano fatto credere alle vittime di provenire dalla Puglia. Il bandito al vertice del gruppo non è parente degli arrestati, e sarebbe la persona che ha tagliato l'orecchio a Niva Bazzan. L'operazione congiunta di carabinieri e polizia è scattata poco dopo la mezzanotte di martedì, con un grande dispiegamento di uomini intorno a un palazzo di corso Roma, nel centro della cittadina abruzzese, dopo che il procuratore capo di Lanciano, Mirvana Di Serio, e il questore di Chieti, Ruggiero Borzacchiello, avevano sottolineato a più riprese nella giornata di martedì la necessità di portare avanti gli accertamenti «nel più stretto riserbo». Le indagini ancora in corso sono condotte dalla Squadra mobile di Chieti e dal commissariato di Lanciano, che nelle ultime ore sono stati affiancati dallo Sco (Servizio centrale operativo). La svolta nella serata del 25, quando è stata registrata la testimonianza del commerciante Massimiliano Delle Vigne, che ha ricordato il pestaggio subito nella sua villa a poche centinaia di metri dalla residenza dei coniugi Martelli. «Anche se ho visto solo occhi dietro un cappuccio e voci, tutto combacia: sono dell'Est Europa». Tutti elementi riscontrabili anche nell'aggressione ai due coniugi di Lanciano. Martelli, chirurgo in pensione nonché fondatore dell'associazione Anffas, e la moglie Niva Bazzan, ex infermiera, sono stati aggrediti alle 4 della notte del 23 settembre nella villa a Carminiello, vicino a Lanciano. In quattro, incappucciati, hanno parcheggiato l'auto poi hanno reciso il catenaccio di una grata in ferro e hanno avuto accesso alla cantina dell'abitazione. È lì che hanno preso la roncola utilizzata per mozzare l'orecchio alla moglie del chirurgo. Un taglio circolare, che ha causato uno sfregio permanente alla donna. Una volta saliti ai piani superiori hanno legato i coniugi e li hanno picchiati facendosi consegnare bancomat e carte di credito. I rapinatori hanno messo a soqquadro anche la stanza del figlio della coppia, disabile. Attorno alle 6 gli ostaggi sono riusciti a liberarsi e a dare l'allarme chiedendo aiuto alla villa adiacente, abitata dal fratello del medico. Una volta che i quattro balordi sono fuggiti (rubando l'auto del medico, una Fiat Sedici grigio metallizzato), il medico è riuscito a liberarsi dalle fascette di plastica con cui era stato legato, e a liberare anche la moglie. Nelle indagini sarebbe coinvolta anche una donna romena vicina ai banditi identificati, un'ex collaboratrice domestica dei coniugi Martelli. Tanti i testimoni che nei giorni scorsi hanno parlato con gli inquirenti, anche loro vittime di rapine in casa. Oltre ai coniugi Delle Vigne, la violenza della banda di romeni è stata confermata di nuovo dal commerciante Domenico Iezzi che in un'altra rapina ha subito la mutilazione di un dito. E anche dai familiari di Carlo Iubatti, che fu selvaggiamente picchiato e rapinato a Guardiagrele, sempre in provincia di Chieti: «La violenza feroce di queste rapine sembra quella che è stata usata contro di noi», dicono. Ieri mattina Niva Bazzan ha detto che non è lei a «dover perdonare i malviventi. È lo Stato che non deve perdonare». In mattinata il prefetto di Chieti, Antonio Corona, si è recato in ospedale a trovare Carlo Martelli che ha accolto con sollievo la notizia degli arresti: «La notizia mi rende più sereno e mi restituisce una maggiore tranquillità nel rientrare a casa. Adesso davvero non vedo l'ora». Confortata anche la figlia Carlotta: «Siamo molto più sollevati, è un rientro migliore per i miei genitori». Tranquillità che dovrà essere resa concreta dalla magistratura. Le forze dell'ordine hanno svolto il loro compito e ieri hanno evitato che l'ira della folla si accanisse sui tre romeni. Tocca ora alle toghe fare in modo che le belve di Lanciano non tornino libere in pochi mesi. Giancarlo Palombi
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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