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2021-09-07
A ottobre green pass obbligato ed esteso a dipendenti statali e diverse categorie
Ansa
Lo scontro ideologico lascia spazio al sano realismo: nell'attesa della cabina di regia che valuterà i dettagli, è ormai certo che l'obbligo del green pass ai primi di ottobre verrà esteso, o allargato, come preferite, a moltissime categorie di lavoratori. L'equazione più green pass uguale meno rischi di chiusure ha convinto praticamente tutti i partiti della variopinta maggioranza che sostiene il governo guidato da Mario Draghi, Lega compresa: «Per la ripresa delle attività economica», sottolinea il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, «dobbiamo garantire condizioni di sicurezza, che esigono che chi frequenta i luoghi affollati in qualche modo dia garanzie di non contagiare nessuno. Il green pass è una misura che va esattamente in questa direzione», aggiunge Giorgetti, «quindi ne prevedo un'ulteriore estensione».
Saranno con ogni probabilità obbligati a esibire il green pass per recarsi al lavoro tutti i dipendenti pubblici, che verranno uniformati al personale sanitario e a quello scolastico. Parliamo in totale di più di un milione di lavoratori, il 10% dei quali non risulta ancora vaccinato, che andranno ad aggiungersi ai 3,5 milioni di sanitari e personale scolastico. L'obbligo dovrebbe scattare comunque due settimane dopo il varo del decreto, per consentire a chi non è ancora vaccinato di farsi somministrare il siero. Le nuove norme dovrebbero entrare in vigore il 27 settembre o il 4 ottobre. C'è chi, come il Carroccio, vorrebbe limitare l'obbligo solo a chi lavora a contatto con il pubblico. «Il green pass meno complica la vita alle persone meglio è. Presto vedrò Draghi e gli chiederò che intenzioni ha», dice Matteo Salvini.
Per quel che riguarda il settore privato, il principio che guiderà le scelte del governo è molto semplice: sarà obbligatorio il green pass per i dipendenti delle aziende di quei settori dove vige l'obbligo per gli utenti, ovvero i dipendenti di bar, ristoranti e altri locali pubblici, i gestori di palestre e piscine, chi lavora a bordo di navi, aerei e treni a lunga percorrenza. «La nostra federazione», fa sapere Fipe Confcommercio, la federazione italiana dei pubblici esercizi, «è da sempre a favore dei vaccini e dell'introduzione dell'obbligo di green pass per i dipendenti dei pubblici esercizi. Auspichiamo, anzi, che quest'ultimo sia esteso anche a tutte le altre categorie economiche e che si chiariscano alcuni punti fondamentali. In primis», aggiunge Fipe, «bisogna riflettere sui tempi di introduzione di tale misura per dare un preavviso congruo e consentire a chi non fosse ancora vaccinato di mettersi in regola. Un'imposizione a stretto giro rischierebbe di causare la chiusura di migliaia di esercizi per mancanza di personale».
Prevedibile la soddisfazione del ministro della Salute, Roberto Speranza: «I giovani si stanno vaccinando più delle altre generazioni», commenta Speranza, «condivido le parole del presidente della Repubblica, i numeri dell'Italia sono positivi, importanti, grazie al lavoro delle Regioni, del commissario Figliuolo. Dobbiamo crescere di più, l'estensione del green pass e le ulteriori ipotesi», aggiunge Speranza, «possono consentirci di rafforzare ancora di più la nostra campagna di vaccinazioni». «Nell'immediato», sottolinea il leader del M5s, Giuseppe Conte, «vedo un uso sempre più diffuso del green pass. Se, in prospettiva, dovessimo arrivare anche ad un obbligo vaccinale per alcune categorie ne discuteremo».
Pragmatico e schietto, come di consueto, il ragionamento di Massimiliano Fedriga, presidente leghista del Friuli Venezia Giulia e leader della Conferenza delle regioni: «Dobbiamo mettere in campo», dice Fedriga a Sky Tg24, «il green pass, che è uno strumento utile per mantenere aperte delle attività, ma dove è possibile inserirlo. Se ad esempio venisse inserito il green pass sul trasporto pubblico locale sarebbe impraticabile e quindi vorrebbe dire bloccare la mobilità delle persone e le città».
Forza Italia ieri ha dedicato all'argomento una riunione plenaria, con dirigenti di partito, ministri, sottosegretari e presidenti di regione: «Forza Italia», recita una nota diffusa al termine dell'incontro, «vuole raggiungere l'immunità di gregge entro la prima settimana di ottobre: è dunque necessario potenziare lo strumento del green pass estendendolo verso tutto il mondo del lavoro pubblico e privato e i fruitori dei servizi. È necessario sin da subito intensificare la campagna informativa per convincere i dubbiosi, evitare nuove vittime e lockdown. L'obiettivo della campagna», aggiungono gli azzurri, «è anche distinguere i no vax dagli incerti». Fi è per l'introduzione dell'obbligo anche per gli utenti del trasporto pubblico locale.
«Siamo favorevoli all'estensione del green pass», argomenta il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, a Radio 24,«se questo significa consentire ad alcune attività che oggi sono chiuse, penso alle discoteche, penso agli impianti sciistici, di riaprire. Se estendere il green pass significa andare a comprimere diritti primari e libertà primarie garantite dalla Costituzione, allora questo rischia diventare un problema».
Fa lo sceriffo, invece, il presidente della Toscana, Eugenio Giani: «Dopo il 30 settembre tiriamo i fili: lo farà il governo», dice Giani, «lo vediamo anche nella discussione sul decreto che sta profilando molti livelli di allargamento dell'obbligo di green pass negli spazi pubblici. Dove non arriverà il governo perché ci sono i compromessi a cui costringe il parlamento», annuncia Giani, «ci arriveremo noi con l'ordinanza dal primo di ottobre».
La Lega vuole evitare imbarazzi. Pressing per schivare la fiducia
Se fino a ieri pomeriggio l'ipotesi più probabile, da parte del governo, sembrava quella di porre la fiducia sul dl Green pass, ora le cose potrebbero cambiare. A mettere in discussione ciò che lo stesso premier Mario Draghi aveva ritenuto pressoché certo, e cioè blindare in Parlamento il testo che converte in legge il Dl sull'estensione dell'obbligo della certificazione verde, è stato l'avvio della discussione generale nell'aula di Montecitorio. Nel corso della seduta, infatti, il computo degli emendamenti, associato a una serie di prese di posizione di esponenti del Carroccio, ha dato l'impressione che proprio in queste ore si possa scongiurare la forzatura. Per quanto riguarda gli emendamenti, il modesto afflusso (circa 30) lascia pensare che - al netto di alcune dichiarazioni bellicose dei deputati di Fdi - all'orizzonte non si prospettino ostruzionismi selvaggi o tali da paralizzare l'aula per giorni e da far rischiare al decreto di decadere.
È però sull'altra motivazione che permangono le incognite, e in questo caso si tratta, come è noto, di questione politica ed estremamente delicata, poiché riguarda l'atteggiamento che la Lega terrà nell'emiciclo. Come è noto, dopo l'episodio della settimana scorsa in commissione Affari sociali, in cui alcuni esponenti del Carroccio hanno votato emendamenti contrari all'estensione degli obblighi proprio mentre il premier Draghi stava per annunciare la volontà di andare avanti su questa strada anche sul fronte vaccinazioni, l'esecutivo non si sente al riparo da sorprese spiacevoli. Resta allora da valutare quale sarebbe lo scenario politicamente meno dannoso per la stabilità del governo: il replay in aula di quanto accaduto in commissione, con una pattuglia di leghisti (capeggiati da Claudio Borghi) che votano assieme a Fdi emendamenti per togliere l'estensione dell'obbligo, o un voto di fiducia che metterebbe il Carroccio in serio imbarazzo, poiché da una parte potrebbe portare qualcuno dei deputati leghisti di cui sopra a non partecipare al voto (non mettendone comunque in discussione l'esito positivo) e dall'altra fornirebbe a Fdi - in piena campagna elettorale - un'arma dialettica nella competition interna al centrodestra. In virtù di queste considerazioni, secondo quanto filtrato, Matteo Salvini avrebbe fatto pervenire al rappresentante del governo Federico d'Incà nella conferenza dei capigruppo che si è tenuta ieri, la richiesta di non porre la fiducia. In ogni caso, l'arcano dovrebbe essere svelato oggi, visto che il governo si è riservato di intervenire in aula.
Il consiglio federale leghista che si è tenuto ieri in call tra Roma e il resto d'Italia ha certamente ponderato la questione, inserendola nella partita più ampia che comprende la linea di contrasto da adottare nei confronti della possibile introduzione dell'obbligo vaccinale, all'ordine del giorno della prossima cabina di regia.
Tornando alla discussione parlamentare, che ha visto 12 iscritti a parlare, l'esponente di Fdi, Ylenja Lucaselli, ha parlato dell'obbligo generalizzato del green pass come di una scelta che «blocca la necessità di esercitare una diversa opinione e di esprimere la propria libertà nelle scelte e nella vita sociale», mentre il leghista Giuseppe Paolini ha osservato che «a differenza del messaggio che sta passando, la Lega non sta creando problemi al governo sull'applicazione del green pass ma sta dando voce alle perplessità di una parte dei cittadini che chiedono che non vi sia l'obbligo di vaccinarsi». Tranchant, invece, il dem Andrea Romano, per il quale «l'unica alternativa al green pass sono le chiusure».
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L'equazione più certificati, minori rischi di chiusure lo imporrà ai settori dove vige l'imperativo per gli utenti. Ma non per il TplOggi il governo decide come verrà votato alla Camera il decreto sul lasciapassareLo speciale contiene due articoliLo scontro ideologico lascia spazio al sano realismo: nell'attesa della cabina di regia che valuterà i dettagli, è ormai certo che l'obbligo del green pass ai primi di ottobre verrà esteso, o allargato, come preferite, a moltissime categorie di lavoratori. L'equazione più green pass uguale meno rischi di chiusure ha convinto praticamente tutti i partiti della variopinta maggioranza che sostiene il governo guidato da Mario Draghi, Lega compresa: «Per la ripresa delle attività economica», sottolinea il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, «dobbiamo garantire condizioni di sicurezza, che esigono che chi frequenta i luoghi affollati in qualche modo dia garanzie di non contagiare nessuno. Il green pass è una misura che va esattamente in questa direzione», aggiunge Giorgetti, «quindi ne prevedo un'ulteriore estensione».Saranno con ogni probabilità obbligati a esibire il green pass per recarsi al lavoro tutti i dipendenti pubblici, che verranno uniformati al personale sanitario e a quello scolastico. Parliamo in totale di più di un milione di lavoratori, il 10% dei quali non risulta ancora vaccinato, che andranno ad aggiungersi ai 3,5 milioni di sanitari e personale scolastico. L'obbligo dovrebbe scattare comunque due settimane dopo il varo del decreto, per consentire a chi non è ancora vaccinato di farsi somministrare il siero. Le nuove norme dovrebbero entrare in vigore il 27 settembre o il 4 ottobre. C'è chi, come il Carroccio, vorrebbe limitare l'obbligo solo a chi lavora a contatto con il pubblico. «Il green pass meno complica la vita alle persone meglio è. Presto vedrò Draghi e gli chiederò che intenzioni ha», dice Matteo Salvini. Per quel che riguarda il settore privato, il principio che guiderà le scelte del governo è molto semplice: sarà obbligatorio il green pass per i dipendenti delle aziende di quei settori dove vige l'obbligo per gli utenti, ovvero i dipendenti di bar, ristoranti e altri locali pubblici, i gestori di palestre e piscine, chi lavora a bordo di navi, aerei e treni a lunga percorrenza. «La nostra federazione», fa sapere Fipe Confcommercio, la federazione italiana dei pubblici esercizi, «è da sempre a favore dei vaccini e dell'introduzione dell'obbligo di green pass per i dipendenti dei pubblici esercizi. Auspichiamo, anzi, che quest'ultimo sia esteso anche a tutte le altre categorie economiche e che si chiariscano alcuni punti fondamentali. In primis», aggiunge Fipe, «bisogna riflettere sui tempi di introduzione di tale misura per dare un preavviso congruo e consentire a chi non fosse ancora vaccinato di mettersi in regola. Un'imposizione a stretto giro rischierebbe di causare la chiusura di migliaia di esercizi per mancanza di personale».Prevedibile la soddisfazione del ministro della Salute, Roberto Speranza: «I giovani si stanno vaccinando più delle altre generazioni», commenta Speranza, «condivido le parole del presidente della Repubblica, i numeri dell'Italia sono positivi, importanti, grazie al lavoro delle Regioni, del commissario Figliuolo. Dobbiamo crescere di più, l'estensione del green pass e le ulteriori ipotesi», aggiunge Speranza, «possono consentirci di rafforzare ancora di più la nostra campagna di vaccinazioni». «Nell'immediato», sottolinea il leader del M5s, Giuseppe Conte, «vedo un uso sempre più diffuso del green pass. Se, in prospettiva, dovessimo arrivare anche ad un obbligo vaccinale per alcune categorie ne discuteremo».Pragmatico e schietto, come di consueto, il ragionamento di Massimiliano Fedriga, presidente leghista del Friuli Venezia Giulia e leader della Conferenza delle regioni: «Dobbiamo mettere in campo», dice Fedriga a Sky Tg24, «il green pass, che è uno strumento utile per mantenere aperte delle attività, ma dove è possibile inserirlo. Se ad esempio venisse inserito il green pass sul trasporto pubblico locale sarebbe impraticabile e quindi vorrebbe dire bloccare la mobilità delle persone e le città».Forza Italia ieri ha dedicato all'argomento una riunione plenaria, con dirigenti di partito, ministri, sottosegretari e presidenti di regione: «Forza Italia», recita una nota diffusa al termine dell'incontro, «vuole raggiungere l'immunità di gregge entro la prima settimana di ottobre: è dunque necessario potenziare lo strumento del green pass estendendolo verso tutto il mondo del lavoro pubblico e privato e i fruitori dei servizi. È necessario sin da subito intensificare la campagna informativa per convincere i dubbiosi, evitare nuove vittime e lockdown. L'obiettivo della campagna», aggiungono gli azzurri, «è anche distinguere i no vax dagli incerti». Fi è per l'introduzione dell'obbligo anche per gli utenti del trasporto pubblico locale.«Siamo favorevoli all'estensione del green pass», argomenta il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, a Radio 24,«se questo significa consentire ad alcune attività che oggi sono chiuse, penso alle discoteche, penso agli impianti sciistici, di riaprire. Se estendere il green pass significa andare a comprimere diritti primari e libertà primarie garantite dalla Costituzione, allora questo rischia diventare un problema».Fa lo sceriffo, invece, il presidente della Toscana, Eugenio Giani: «Dopo il 30 settembre tiriamo i fili: lo farà il governo», dice Giani, «lo vediamo anche nella discussione sul decreto che sta profilando molti livelli di allargamento dell'obbligo di green pass negli spazi pubblici. Dove non arriverà il governo perché ci sono i compromessi a cui costringe il parlamento», annuncia Giani, «ci arriveremo noi con l'ordinanza dal primo di ottobre».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/a-ottobre-green-pass-obbligato-ed-esteso-a-dipendenti-statali-e-diverse-categorie-2654920647.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-lega-vuole-evitare-imbarazzi-pressing-per-schivare-la-fiducia" data-post-id="2654920647" data-published-at="1630953785" data-use-pagination="False"> La Lega vuole evitare imbarazzi. Pressing per schivare la fiducia Se fino a ieri pomeriggio l'ipotesi più probabile, da parte del governo, sembrava quella di porre la fiducia sul dl Green pass, ora le cose potrebbero cambiare. A mettere in discussione ciò che lo stesso premier Mario Draghi aveva ritenuto pressoché certo, e cioè blindare in Parlamento il testo che converte in legge il Dl sull'estensione dell'obbligo della certificazione verde, è stato l'avvio della discussione generale nell'aula di Montecitorio. Nel corso della seduta, infatti, il computo degli emendamenti, associato a una serie di prese di posizione di esponenti del Carroccio, ha dato l'impressione che proprio in queste ore si possa scongiurare la forzatura. Per quanto riguarda gli emendamenti, il modesto afflusso (circa 30) lascia pensare che - al netto di alcune dichiarazioni bellicose dei deputati di Fdi - all'orizzonte non si prospettino ostruzionismi selvaggi o tali da paralizzare l'aula per giorni e da far rischiare al decreto di decadere. È però sull'altra motivazione che permangono le incognite, e in questo caso si tratta, come è noto, di questione politica ed estremamente delicata, poiché riguarda l'atteggiamento che la Lega terrà nell'emiciclo. Come è noto, dopo l'episodio della settimana scorsa in commissione Affari sociali, in cui alcuni esponenti del Carroccio hanno votato emendamenti contrari all'estensione degli obblighi proprio mentre il premier Draghi stava per annunciare la volontà di andare avanti su questa strada anche sul fronte vaccinazioni, l'esecutivo non si sente al riparo da sorprese spiacevoli. Resta allora da valutare quale sarebbe lo scenario politicamente meno dannoso per la stabilità del governo: il replay in aula di quanto accaduto in commissione, con una pattuglia di leghisti (capeggiati da Claudio Borghi) che votano assieme a Fdi emendamenti per togliere l'estensione dell'obbligo, o un voto di fiducia che metterebbe il Carroccio in serio imbarazzo, poiché da una parte potrebbe portare qualcuno dei deputati leghisti di cui sopra a non partecipare al voto (non mettendone comunque in discussione l'esito positivo) e dall'altra fornirebbe a Fdi - in piena campagna elettorale - un'arma dialettica nella competition interna al centrodestra. In virtù di queste considerazioni, secondo quanto filtrato, Matteo Salvini avrebbe fatto pervenire al rappresentante del governo Federico d'Incà nella conferenza dei capigruppo che si è tenuta ieri, la richiesta di non porre la fiducia. In ogni caso, l'arcano dovrebbe essere svelato oggi, visto che il governo si è riservato di intervenire in aula. Il consiglio federale leghista che si è tenuto ieri in call tra Roma e il resto d'Italia ha certamente ponderato la questione, inserendola nella partita più ampia che comprende la linea di contrasto da adottare nei confronti della possibile introduzione dell'obbligo vaccinale, all'ordine del giorno della prossima cabina di regia. Tornando alla discussione parlamentare, che ha visto 12 iscritti a parlare, l'esponente di Fdi, Ylenja Lucaselli, ha parlato dell'obbligo generalizzato del green pass come di una scelta che «blocca la necessità di esercitare una diversa opinione e di esprimere la propria libertà nelle scelte e nella vita sociale», mentre il leghista Giuseppe Paolini ha osservato che «a differenza del messaggio che sta passando, la Lega non sta creando problemi al governo sull'applicazione del green pass ma sta dando voce alle perplessità di una parte dei cittadini che chiedono che non vi sia l'obbligo di vaccinarsi». Tranchant, invece, il dem Andrea Romano, per il quale «l'unica alternativa al green pass sono le chiusure».
Friedrich Merz (Ansa)
Il dissenso della gioventù aveva provocato forti tensioni all’interno della maggioranza tanto da far rischiare la prima crisi di governo seria per Merz. Il via libera del parlamento tedesco, dunque, segna di fatto una crisi politica enorme e pure lo scollamento della democrazia tra maggioranza effettiva e maggioranza dopata. Come già era accaduto in Francia, la materia pensionistica è l’iceberg contro cui si schiantano i… Titanic: Macron prima, Merz adesso. Il presidente francese sulle pensioni ha visto la rottura dei suoi governi per l’incalzare di rivolte popolari e questo in carica guidato da Lecornu ha dovuto congelare la materia per non lasciarci le penne. Del resto in Europa non è il solo che naviga a vista, non curante della sfiducia nel Paese: in Spagna il governo Sánchez è in piena crisi di consensi per i casi di corruzione scoppiati nel partito e in casa, e pure l’accordo coi i catalani e coi baschi rischia di far deragliare l’esecutivo sulla finanziaria. In Olanda non c’è ancora un governo. In Belgio il primo ministro De Wever ha chiesto altro tempo al re Filippo per superare lo stallo sulla legge di bilancio che si annuncia lacrime e sangue. In Germania - dicevamo - il governo si è salvato per l’appoggio determinante della sinistra radicale, aprendo quindi un tema politico che lascerà strascichi dei quali beneficerà Afd, partito assai attrattivo proprio tra i giovani.
I tre voti con i quali Merz si è salvato peseranno tantissimo e manterranno acceso il dibattito proprio su una questione ancestrale: l’aumento del debito pubblico. «Questo disegno di legge va contro le mie convinzioni fondamentali, contro tutto ciò per cui sono entrato in politica», ha dichiarato a nome della Junge Union Gruppe Pascal Reddig durante il dibattito. Lui è uno dei diciotto che avrebbe voluto affossare la stabilizzazione previdenziale anche a costo di mandare sotto il governo: il gruppo dei giovani non aveva mai preso in considerazione l’idea di caricare sulle spalle delle future generazioni 115 miliardi di costi aggiuntivi a partire dal 2031.
E senza quei 18 sì, il governo sarebbe finito al tappeto. Quindi ecco la solita minestrina riscaldata della sopravvivenza politica a qualsiasi costo: l’astensione dai banchi dell’opposizione del partito di estrema sinistra Die Linke, per effetto della quale si è ridotto il numero di voti necessari per l'approvazione. E i giovani? E le loro idee?
Merz ha affermato che le preoccupazioni della Junge Union saranno prese in considerazione in una revisione più ampia del sistema pensionistico prevista per il 2026, che affronterà anche la spinosa questione dell'innalzamento dell'età pensionabile. Un bel modo per cercare di salvare il salvabile. Anche se ora arriva pure la tegola della riforma della leva: il parlamento tedesco ha infatti approvato la modernizzazione del servizio militare nel Paese, introducendo una visita medica obbligatoria per i giovani diciottenni e la possibilità di ripristinare la leva obbligatoria in caso di carenza di volontari. Un altro passo verso la piena militarizzazione, materia su cui l’opinione pubblica tedesca è in profondo disaccordo e che Afd sta cavalcando. Sempre che la democrazia non deciderà di fermare Afd…
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«The Rainmaker» (Sky)
The Rainmaker, versione serie televisiva, sarà disponibile su Sky Exclusive a partire dalla prima serata di venerdì 5 dicembre. E allora l'abisso immenso della legalità, i suoi chiaroscuri, le zone d'ombra soggette a manovre e interpretazioni personali torneranno protagonisti. Non a Memphis, dov'era ambientato il romanzo originale, bensì a Charleston, nella Carolina del Sud.
Il rainmaker di Grisham, il ragazzo che - fresco di laurea - aveva fantasticato sulla possibilità di essere l'uomo della pioggia in uno degli studi legali più prestigiosi di Memphis, è lontano dal suo corrispettivo moderno. E non solo per via di una città diversa. Rudy Baylor, stesso nome, stesso percorso dell'originale, ha l'anima candida del giovane di belle speranze, certo che sia tutto possibile, che le idee valgano più dei fatti. Ma quando, appena dopo la laurea in Giurisprudenza, si trova tirocinante all'interno di uno studio fra i più blasonati, capisce bene di aver peccato: troppo romanticismo, troppo incanto. In una parola, troppa ingenuità.
Rudy Baylor avrebbe voluto essere colui che poteva portare più clienti al suddetto studio. Invece, finisce per scontrarsi con un collega più anziano nel giorno dell'esordio, i suoi sogni impacchettati come fossero cosa di poco conto. Rudy deve trovare altro: un altro impiego, un'altra strada. E finisce per trovarla accanto a Bruiser Stone, qui donna, ben lontana dall'essere una professionista integerrima. Qui, i percorsi divergono.
The Rainmaker, versione serie televisiva, si discosta da The Rainmaker versione carta o versione film. Cambia la trama, non, però, la sostanza. Quel che lo show, in dieci episodi, vuole cercare di raccontare quanto complessa possa essere l'applicazione nel mondo reale di categorie di pensiero apprese in astratto. I confini sono labili, ciascuno disposto ad estenderli così da inglobarvi il proprio interesse personale. Quel che dovrebbe essere scontato e oggettivo, la definizione di giusto o sbagliato, sfuma. E non vi è più certezza. Nemmeno quella basilare del singolo, che credeva di aver capito quanto meno se stesso. Rudy Baylor, all'interno di questa serie, a mezza via tra giallo e legal drama, deve, dunque, fare quel che ha fatto il suo predecessore: smettere ogni sua certezza e camminare al di fuori della propria zona di comfort, alla ricerca perpetua di un compromesso che non gli tolga il sonno.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Mentre l’Europa è strangolata da una crisi industriale senza precedenti, la Commissione europea offre alla casa automobilistica tedesca una tregua dalle misure anti-sovvenzioni. Questo armistizio, richiesto da VW Anhui, che produce il modello Cupra in Cina, rappresenta la chiusura del cerchio della de-industrializzazione europea. Attualmente, la VW paga un dazio anti-sovvenzione del 20,7 per cento sui modelli Cupra fabbricati in Cina, che si aggiunge alla tariffa base del 10 per cento. L’offerta di VW, avanzata attraverso la sua sussidiaria Seat/Cupra, propone, in alternativa al dazio, una quota di importazione annuale e un prezzo minimo di importazione, meccanismi che, se accettati da Bruxelles, esenterebbero il colosso tedesco dal pagare i dazi. Non si tratta di una congiuntura, ma di un disegno premeditato. Pochi giorni fa, la stessa Volkswagen ha annunciato come un trionfo di essere in grado di produrre veicoli elettrici interamente sviluppati e realizzati in Cina per la metà del costo rispetto alla produzione in Europa, grazie alle efficienze della catena di approvvigionamento, all’acquisto di batterie e ai costi del lavoro notevolmente inferiori. Per dare un’idea della voragine competitiva, secondo una analisi Reuters del 2024 un operaio VW tedesco costa in media 59 euro l’ora, contro i soli 3 dollari l’ora in Cina. L’intera base produttiva europea è già in ginocchio. La pressione dei sindacati e dei politici tedeschi per produrre veicoli elettrici in patria, nel tentativo di tutelare i posti di lavoro, si è trasformata in un calice avvelenato, secondo una azzeccata espressione dell’analista Justin Cox.
I dati sono impietosi: l’utilizzo medio della capacità produttiva nelle fabbriche di veicoli leggeri in Europa è sceso al 60% nel 2023, ma nei paesi ad alto costo (Germania, Francia, Italia e Regno Unito) è crollato al 54%. Una capacità di utilizzo inferiore al 70% è considerata il minimo per la redditività.
Il risultato? Centinaia di migliaia di posti di lavoro che rischiano di scomparire in breve tempo. Volkswagen, che ha investito miliardi in Cina nel tentativo di rimanere competitiva su quel mercato, sta tagliando drasticamente l’occupazione in patria. L’accordo con i sindacati prevede la soppressione di 35.000 posti di lavoro entro il 2030 in Germania. Il marchio VW sta già riducendo la capacità produttiva in Germania del 40%, chiudendo linee per 734.000 veicoli. Persino stabilimenti storici come quello di Osnabrück rischiano la chiusura entro il 2027.
Anziché imporre una protezione doganale forte contro la concorrenza cinese, l’Ue si siede al tavolo per negoziare esenzioni personalizzate per le sue stesse aziende che delocalizzano in Oriente.
Questa politica di suicidio economico ha molto padri, tra cui le case automobilistiche tedesche. Mercedes e Bmw, insieme a VW, fecero pressioni a suo tempo contro l’imposizione di dazi Ue più elevati, temendo che una guerra commerciale potesse danneggiare le loro vendite in Cina, il mercato più grande del mondo e cruciale per i loro profitti. L’Associazione dell’industria automobilistica tedesca (Vda) ha definito i dazi «un errore» e ha sostenuto una soluzione negoziata con Pechino.
La disastrosa svolta all’elettrico imposta da Bruxelles si avvia a essere attenuata con l’apertura (forse) alle immatricolazioni di motori a combustione e ibridi anche dopo il 2035, ma ha creato l’instabilità perfetta per l’ingresso trionfale della Cina nel settore. I produttori europei, combattendo con veicoli elettrici ad alto costo che non vendono come previsto (l’Ev più economico di VW, l’ID.3, costa oltre 36.000 euro), hanno perso quote di mercato e hanno dovuto ridimensionare obiettivi, profitti e occupazione in Europa. A tal riguardo, ieri il premier Giorgia Meloni, insieme ai leader di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria e Ungheria, in una lettera ai vertici Ue, ha esortato l’Unione ad abbandonare, una volta per tutte, il dogmatismo ideologico che ha messo in ginocchio interi settori produttivi, senza peraltro apportare benefici tangibili in termini di emissioni globali». Nel testo, si chiede di mantenere anche dopo il 2035 le ibride e di riconoscere i biocarburanti come carburanti a emissioni zero.
L’Ue, che sempre pretende un primato morale, ha in realtà creato le condizioni perfette per svuotare il continente di produzione industriale. Accettare esenzioni dai dazi sull’import dalle aziende che hanno traslocato in Cina è la beatificazione della delocalizzazione. L’Europa si avvia a diventare uno showroom per prodotti asiatici, con le sue fabbriche ridotte a ruderi. Paradossalmente, diverse case automobilistiche cinesi stanno delocalizzando in Europa, dove progettano di assemblare i veicoli e venderli localmente, aggirando così i dazi europei. La Great Wall Motors progetta di aprire stabilimenti in Spagna e Ungheria per assemblare i veicoli. Anche considerando i più alti costi del lavoro europei (16 euro in Ungheria, dato Reuters), i cinesi pensano di riuscire ad essere più competitivi dei concorrenti locali. Per convenienza, i marchi europei vanno in Cina e quelli cinesi vengono in Europa, insomma. A perderci sono i lavoratori europei.
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