2022-04-30
«A muso duro», la fiction con Flavio Insinna sulla nascita delle Paralimpiadi
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Domani in prima serata su RaiUno la storia di Antonio Maglio, il medico e dirigente dell’Inail cui si deve l’organizzazione dei primi Giochi paralimpici, quelli di Roma 1960.Nel 2017, quando Striscia la Notizia ha diffuso i fuorionda di Affari tuoi, Flavio Insinna ha rischiato di perdere tutto quel che una vita di televisione gli ha portato: una carriera solida, l’affetto di un pubblico che lo credeva parte del proprio tessuto familiare, il rispetto dei colleghi. «Nana di mer*a», lo si è sentito dire rivolto ad una concorrente dello show Rai, una che avrebbe dovuto essere «Portata di là e colpita al basso ventre», perché «RaiUno, non Valle d’Aosta News» avesse il suo finale. Un finale preciso, mica quello che la disgraziata voleva imbastire. Insinna, allora, si è scusato e, a intervalli regolari, ha continuato a farlo, ancora e ancora. Si è scusato nel 2017, l’anno successivo e quello dopo. Si è scusato nel novembre scorso, durante un’intervista con il Corriere della Sera. «Ancora oggi non riesco a perdonarmi», ha detto il conduttore, che nel pubblico ha trovato più indulgenza che in se stesso. Insinna, oggi fiero presentatore dell’Eredità, è stato assolto, il pasticciaccio dimenticato. Gli spettatori sono tornati ad includerlo nei propri ménage familiari, ad aprirgli le porte dei propri salotti, quando il sole cala. La furia con cui ha parlato di quella povera concorrente, cinque e lunghi anni orsono, è stata liquidata come un colpo di testa. E suvvia, a chi non capita di perderlo, il lume della ragione? Insinna, umanissimo Insinna, è stato riabilitato, dal pubblico e pure dalla dirigenza del Servizio Pubblico che a lui ha assegnato il ruolo di protagonista in A muso duro.La pellicola, un film televisivo in onda su RaiUno nella prima serata di domenica primo maggio, è la storia di Antonio Maglio, medico e dirigente dell’Inail cui si deve l’organizzazione delle prime Paralimpiadi, quelle di Roma, datate 1960. Maglio, che a fine anni Cinquanta fu incaricato primario e vicedirettore del centro Inail per paraplegici di Villa Marina a Ostia, sposò un’idea semplice quanto rivoluzionaria: lo sport avrebbe potuto spronare le persone affette da disabilità a coltivare il proprio corpo e il proprio spirito, avrebbe spinto queste persone a scoprirsi forti, capaci, avrebbe capovolto la percezione individuale della malattia e quella collettiva, valicando i limiti – fisici e mentali – che un handicap può portarsi appresso. «In Maglio c’era la passione, l’amore filiale per i suoi pazienti. Lui parlava alle persone con disabilità come persone e non come disabili. Il linguaggio, la comunicazione che aveva con loro era di assoluta normalità e fiducia nella vita. La vita è fatta di tante piccole e grandi sfumature che non sono tolte alle persone con disabilità, siamo tutti persone e lui ha trattato i pazienti come tali e loro hanno visto in Maglio un padre», ha spiegato la vedova del dottore a Paola Severini Melograni, durante una puntata di O anche no, dipingendo un quadro nitido del marito. Un luminare, un buono, un uomo empatico e capace, cui Insinna, oggi, si trova a prestare il volto. Il conduttore si è detto impaurito. Avrebbe voluto rifiutarla, la parte. A convincerlo ad accettarla, è stato Marco Pontecorvo, regista della pellicola. Sapeva avrebbe fatto un buon lavoro. Insinna, figlio di padre medico, lo ha toccato con mano il mondo di Maglio. Suo padre ha collaborato con l’Istituto Santa Lucia per il recupero e il reinserimento dei disabili attraverso lo sport. La parte, dunque, portava scritto il suo nome. E Insinna, pur perseguitato dal ricordo dei suoi fuorionda, è capitolato. Insinna ha accettato di essere il medico buono, primo artefice delle Paralimpiadi. E chissà che, con la proiezione del film, l’ormai eterna discussione sulla bontà o meno del conduttore Rai possa giungere al termine.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)