2019-03-16
«A morte gli invasori». Uccisi 49 musulmani alla preghiera del venerdì
Attacchi in due moschee di Christchurch: l'azione è stata trasmessa in diretta sul Web Fermate quattro persone, avevano anche bombe e altri obiettivi come ospedali e scuole.L'assalitore ha impresso sulle armi i nomi di condottieri cristiani e battaglie campali contro gli ottomani. Accanto però ha messo anche lo sparatore di Macerata e Breivik. Non è sovranista, solo fanatico.Lo speciale contiene due articoli La notizia del primo attacco nella moschea Masjid Al Noor a Deans Avenue di Christchurch, città della Nuova Zelanda, dove c'erano almeno 300 persone raccolte in preghiera, non si era ancora diffusa quando, carico di adrenalina e con nello stereo a palla The british grenadiers march (la marcia dei granatieri di sua maestà), Brenton Tarrant, 28 anni, australiano, è arrivato con la sua Ford beige - piena di fucili da guerra e taniche di benzina - quasi davanti alla moschea di Linwood, per concludere la sua caccia al musulmano. Il venerdì della preghiera si è trasformato nella strage delle moschee. Come in una sequenza da film, Tarrant si è fatto strada sparando contro chiunque si trovasse sul suo cammino. La prima vittima è stata un fedele davanti all'ingresso del luogo di culto islamico. All'interno, stanza dopo stanza - con i nervi saldi più di un soldato d'elite - ha freddato decine di persone. Poi è uscito, è tornato alla sua auto, ha sostituito il fucile ed è tornato in moschea per tirare ancora il grilletto. Voleva essere certo che nessuno fosse rimasto in vita: ha sparato di nuovo su un cumulo di esseri umani. Nei punti in cui sentiva qualche rantolo ha indirizzato varie raffiche. L'orrore è documentato: Tarrant si era piazzato addosso una videocamera che ha ripreso tutte le fasi dell'agguato, trasmettendole in diretta streaming sul profilo Facebook dell'uomo. Il risultato sono 17 minuti di sangue impressi nella registrazione, guardata e scaricata da centinaia di utenti, prima che i gestori dei social network realizzassero e oscurassero tutto. «Dio, ti prego, fagli finire le munizioni», ha pregato uno dei sopravvissuti al primo attacco. Alì, questo il suo nome, ha raccontato ai media locali ciò che ha visto, è rimasto immobile per circa 15 minuti, sdraiato su una panca, sapendo che se si fosse alzato o anche solo mosso, sarebbe stato visto e ucciso. L'hanno scampata per miracolo anche i giocatori della nazionale di cricket del Bangladesh. Gli atleti e i membri dello staff si stavano dirigendo proprio alla moschea Masjid Al Noor quando è scoppiata la sparatoria. I testimoni raccontano tutti la stessa storia: «Tre colpi rapidi e dopo 10 secondi una raffica. La gente ha cominciato a correre fuori, alcuni erano coperti di sangue». C'è chi ha visto sparare sui bambini e sulle donne. Terribile uno dei racconti raccolti dai cronisti della tv neozelandese Afp: «Sentivo le urla strazianti di chi veniva colpito a morte. Sono rimasto immobile, pregando Dio di essere risparmiato. Il killer ha ucciso alla mia destra e alla mia sinistra. Poi si è spostato nella stanza dove pregavano le donne e da lì sono arrivate altre urla che non riesco a dimenticare».I 17 minuti del video sembrano interminabili. Nessuno è riuscito a chiamare la polizia. Tarrant ha sparato anche per strada, mirando contro chiunque si trovasse nei paraggi. La caccia all'uomo è scattata tra un'azione e l'altra. Dalle prime ricostruzioni, però, il commando aveva intenzione di colpire anche in un ospedale e in una scuola: la polizia ha riferito che nell'auto di Tarrant sono state trovate anche due cariche esplosive. Uno scenario che lascia immaginare una lunga e meticolosa preparazione dell'assalto. In quattro sono finiti in manette, tra loro una donna. Anche se l'attenzione si è poi concentrata soltanto su uno degli arrestati: Tarrant. È stato lui a rivendicare sui social la responsabilità dell'attacco con un manifesto anti immigrati. L'uomo sostiene di non essere membro di organizzazioni, ma di aver fatto donazioni e interagito con molti gruppi nazionalisti. Ha aggiunto di aver scelto la Nuova Zelanda a causa della sua posizione, per dimostrare che anche le parti più remote del mondo non sono esenti da «immigrazione di massa». Le colpe? di Angela Merkel, Erdogan e del sindaco di Londra, il musulmano Sadiq Khan. «Angela Merkel è la prima della lista. Pochi hanno fatto danni più di lei», scrive Tarrant nel documento in cui ipotizza un progetto legato alla sostituzione etnica: «The great replacement». L'obiettivo dichiarato è liberare l'Europa da tutti gli «invasori»: rom, africani, indiani, turchi, semiti. Tarrant scrive che la persona che lo ha influenzato di più è Candace Owens: un'attivista e commentatrice americana filo Trump. E Anche Trump viene citato, come «simbolo della rinnovata identità bianca». Le parole di Elisabetta II sono piene di dolore: «Sono profondamente rattristata dagli spaventosi eventi di oggi a Christchurch», scrive la regina d'Inghilterra in un messaggio al governatore generale del Regno in Nuova Zelanda diffuso da Buckingham Palace. «Il principe Filippo e io inviamo le nostre condoglianze alle famiglie e agli amici di coloro che hanno perduto la vita. I miei pensieri e le mie preghiere sono con tutti i neozelandesi».Il cordoglio è unanime: «È il giorno più nero nella storia della Nuova Zelanda», ha commentato il primo ministro laburista Jacinda Ardern. In effetti finora l'arcipelago era stato risparmiato da gravi atti di terrorismo. L'avvocato di Luca Traini, «citato» dal killer, comunica che il suo assistito «è pentito per quanto ha commesso e si dissocia» dai fatti della Nuova Zelanda. l grande imam di Al Azhar, Ahmed el Tayyeb, la più alta autorità dell'Islam sunnita, ha lanciato un appello per criminalizzare l'islamofobia. Il manifesto dell'orrore by Tarrant si chiude con la scelta dell'obiettivo da colpire: «La moschea di Masjid Al Noor è frequentata da un numero ben più grande di invasori». E il giorno nero per i musulmani neozelandesi è cominciato da lì. Il bilancio: 49 morti e 48 feriti.Fabio Amendolara<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/a-morte-gli-invasori-uccisi-49-musulmani-alla-preghiera-del-venerdi-2631762363.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="un-doge-carlo-martello-e-traini-nellassurdo-pantheon-del-killer" data-post-id="2631762363" data-published-at="1762785362" data-use-pagination="False"> Un Doge, Carlo Martello e Traini nell’assurdo pantheon del killer Se qualcuno gli avesse chiesto di allestire un pantheon di eroi fiorentini, Brenton Tarrant sarebbe stato capace di affiancare Lorenzo il Magnifico a Pietro Pacciani. I caricatori delle armi usate per compiere l'assalto di Christchurch sono coperti di scritte con nomi che non hanno ragioni storiche per essere messi assieme. Un guazzabuglio perverso di rivendicazioni fantasiose e accostamenti impossibili. Carlo Martello e Luca Traini, il pistolero di Macerata. Il crociato Boemondo d'Altavilla e Alexandre Bissonette, che colpì le moschee del Quebec del 2017. E poi la battaglia di Lepanto del 1571 e quella di Vienna del 1683. Il pazzo assassino norvegese Anders Breivik e Bajo Pivlajnin. Le battaglie di Lepanto e Vienna fanno parte a buon diritto di un immaginario identitario tradizionale che è patrimonio collettivo d'Europa e non va dimenticato. Traviarle per giustificare la mattanza neozelandese, ovviamente, è pura pazzia. Entrambi gli scontri hanno visto prevalere una coalizione formata da potenze europee di religione cristiana che hanno frenato (temporaneamente la prima, in modo piuttosto decisivo la seconda) l'espansione dell'Impero Ottomano in Occidente. A Lepanto si distinse per il suo coraggio contro l'esercito turco Sebastiano Venier, uno fra i nomi scritti sul fucile di Tarrant: aveva 75 anni, era l'ammiraglio comandante della flotta veneziana. Si trovava sul ponte della nave «Capitana», al centro della flotta, accanto alla nave «Real« di don Giovanni d'Austria. Afflitto dalla gotta, era solito indossare pantofole anziché calzari militari. Governò di persona le balestre con cui infilzò circa una trentina di nemici. Al ritorno nella Serenissima, la sua condotta in battaglia lo fece eleggere Doge all'unanimità. Vendicando la morte di Marcantonio Bragadin - provveditore di Famagosta, sull'isola di Cipro - fatto scuoiare vivo dal comandante turco Lalà Mustafa dopo un assedio durato 11 mesi, nel 1571. Le citazioni di Tarrant vanno anche più indietro nel tempo. C'è Carlo Martello, nonno di Carlo Magno. Fabrizio De Andrè ne canta una divertente parodia nella canzone Re Carlo torna dalla guerra. Maggiordomo di palazzo della dinastia dei Merovingi - prima che i Franchi diventassero la popolazione egemone sull'Europa contribuendo alla costruzione del Sacro Romano Impero - deve la sua fama alla vittoria nella battaglia di Poitiers (o di Tour), verosimilmente avvenuta nell'anno 732 dopo Cristo, dove frenò l'espansionismo arabo che dall'Andalusia mirava alla Provenza. Il cronista dell'epoca, Sigeberto di Gembloux, afferma che durante lo scontro morì il governatore musulmano Abd al Raḥman al Ghafiqi. Gli storici di oggi ridimensionano la portata della battaglia, entrata però nella leggenda come primo momento costitutivo di una consapevolezza culturale e religiosa europea unitaria. Il medioevo ricorre, nella foga citazionista di Tarrant, con Boemondo d'Altavilla e Gastone IV di Bearn. Normanno stabilitosi a Taranto il primo, era figlio di Roberto il Guiscardo. Gastone di Bearn era invece un conte francese, sodale di Raimondo di Tolosa. Sono tra i capi della Prima crociata, quella che nel 1099 portò alla conquista di Gerusalemme contro i Fatimidi d'Egitto e i Turchi Selgiuchidi e alla costituzione di un regno crociato su base feudale affidato a Goffredo di Buglione. Garantendo, secoli dopo, robusto materiale alla letteratura del Tasso. Diversa è la storia di Bajo Pivljanin e di Novak Vujosevic. Il primo era un aiduco, un combattente montenegrino al soldo della Repubblica di Venezia durante la guerra veneziano-ottamana di metà Seicento. il secondo è l'eroe della Battaglia di Fundina, nel 1876: comandava una schiera di 5.000 montenegrini di religione cristiana che resistettero e vinsero in una dura battaglia contro l'esercito ottomano, quasi dieci volte superiore per numero. Nello scontro la leggenda narra che Vujosevic avrebbe ucciso 28 soldati turchi, ottenendo un riconoscimento solenne dall'imperatore russo. C'è poi la battaglia di Shipka Pass, località della Bulgaria in cui, nel 1877, più di 2.000 soldati russi e 5.000 volontari bulgari respinsero l'Impero Ottomano, che aveva portato sul campo circa 40.000 soldati. E c'è Milos Obilic, cavaliere serbo vissuto nel XIV secolo. Cronisti dell'epoca lo indicano come assassino del sultano ottomano Murad I nel corso della Battaglia del Kosovo, nel 1389. A guidare la resistenza contro le schiere musulmane, in quella circostanza, c'era il principe Lazar Hrebeljanovi della cosiddetta Serbia della Moravia. Se, a una carrellata di episodi e personaggi molto lontani e diversi tra loro, si aggiungono i nomi di Luca Traini, Alexandre Bissonette, Anders Breivik e altri stragisti contemporanei per giustificare le azioni compiute, è facile intuire come il detonatore della strage non siano le idee sovraniste di Tarrant ma la sua cartella psichiatrica. Gabriele Gambini
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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