La Borsa inglese da inizio 2022 è scesa, ma meno rispetto a Stati Uniti ed Europa. La Banca centrale vuole il quinto aumento dei tassi ad agosto. Montagne russe nel breve periodo, opportunità a medio termine.I primi sei mesi del 2022 si sono rivelati una vera e propria montagna russa per il mercato azionario del Regno Unito. Molti gestori attivi di fondi, prima che iniziasse la guerra in Ucraina, erano ottimisti per il futuro dei mercati inglesi. Poi, però, nei primi sei mesi del 2022 gli effetti economici della pandemia e il conflitto russo ucraino hanno rimescolato tutte le carte, creando ostacoli a un mercato che si stava riprendendo. L’inflazione al galoppo, in primis, ha messo in difficoltà l’economia e la Banca d’Inghilterra ha aumentato i tassi di interesse di base in ognuna delle quattro riunioni di politica monetaria che si sono tenute fino a ora quest’anno.Nonostante ciò, i mercati azionari del Regno Unito non hanno registrato crolli al livello delle loro controparti statunitensi o europee.Il Ftse all share ha perso oltre l’8% nel 2022, decisamente meno rispetto all’S&P 500 che è crollato del 21,5% e al calo del 17% registrato dal Dax nello stesso periodo. I fondi comuni che hanno registrato le migliori performance sono quelli che hanno investito principalmente sulle aziende inglesi a larga capitalizzazione, mentre la maggior parte dei fondi che ha puntato su società a media e piccola capitalizzazione ha registrato perdite a due cifre.Ora a Londra il timore è che la Banca di Inghilterra dia il via a un nuovo aumento dei tassi per sostenere l’economia. Gli esperti hanno stimato una probabilità del 90,4% di un rialzo dei tassi di 50 punti base il mese prossimo, mentre i dati sui prezzi al consumo e sulle vendite al dettaglio previsti per la fine della settimana potrebbero offrire nuovi indizi sull’inflazione e sullo stato di salute dei consumatori britannici. Con tutti questi chiari di luna, non stupisce che nel 2022 i fondi che investono sul Paese della regina Elisabetta non abbiano regalato troppe soddisfazioni agli investitori. Lo stesso si può dire anche se si dà uno sguardo agli ultimi 12 mesi passati. Il 2021 e il 2022, d’altronde non hanno lasciato molto scampo agli investitori tra effetti Covid sull’economia, inflazione al galoppo e guerra in Ucraina. In realtà, però, il Regno Unito resta sempre un buon investimento sul lungo periodo. A tre anni molti titoli, fondi ed Etf hanno fatto bene: merito di un listino che da sempre resta molto focalizzato su energia, banche e anche farmaceutico. Senza contare l’immobiliare, mercato che avrebbe dovuto crollare con la Brexit e che invece si è confermato abbastanza solido. Così, tre prodotti di iShares si sono rivelati vantaggiosi per chi li ha tenuti da almeno tre anni. Nonostante le difficoltà del mercato, l’iShares Uk property etf in 36 mesi ha messo a segno una crescita dell’11,1% e quello sui dividendi dei titoli inglesi, l’iShares Uk dividend etf, è salito del 17% nello stesso periodo di tempo. Bene anche il fondo comune Bgf United Kingdom, in tre anni a +13,4%. Tra i titoli che hanno preso l’ascensore verso l’alto Astrazeneca, Bp, Diageo e Rio Tinto.
L'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone (Ansa)
L’ammiraglio Cavo Dragone, capo militare: «Dovremmo essere più aggressivi con Mosca, cyberattacchi per scongiurare imboscate». Ma l’Organizzazione ha scopi difensivi: questa sarebbe una forzatura. Con il rischio che dal conflitto ibrido si passi a quello coi missili.
«Attacco preventivo». L’avevamo già sentito ai tempi dell’Iraq e non andò benissimo. Eppure, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato militare Nato, ha riproposto uno dei capisaldi della dottrina Bush in un’intervista al Financial Times. Si riferiva alla possibilità di adottare una strategia «più aggressiva» con la Russia. Beninteso, l’ipotesi verteva su un’offensiva cyber: «Stiamo studiando tutto sul fronte informatico», ha spiegato il militare.
Rocca Salimbeni, sede del Monte dei Paschi di Siena (Ansa)
I magistrati sostengono che chi ha conquistato l’istituto si è messo d’accordo su cosa fare. Ma questo era sotto gli occhi di tutti, senza bisogno di intercettazioni. E se anche il governo avesse fatto il tifo, nulla cambierebbe: neanche un euro pubblico è stato speso.
Ma davvero qualcuno immaginava che il gruppo Caltagirone, quello fondato da Leonardo Del Vecchio e alla cui guida oggi c’è Francesco Milleri, uniti al Monte dei Paschi di Siena di cui è amministratore Luigi Lovaglio, non si fossero mossi di concerto per conquistare Mediobanca? Sì, certo, spiare dal buco della serratura, ovvero leggere i messaggi che i vertici di società quotate si sono scambiati nei mesi scorsi, è molto divertente. Anche perché come in qualsiasi conversazione privata ci sono giudizi tranchant, alcuni dei quali sono molto gustosi.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Fu il primo azzurro a conquistare uno Slam, al Roland Garros del 1959. Poi nel 1976, da capitano non giocatore, guidò il team con Bertolucci e Panatta che ci regalò la Davis. Il babbo era in prigionia a Tunisi, ma aveva un campo: da bimbo scoprì così il gioco.
La leggenda dei gesti bianchi. Il patriarca del tennis. Il primo italiano a vincere uno slam, il Roland Garros di Parigi nel 1959, bissato l’anno dopo. Se n’è andato con il suo carisma, la sua ironia e la sua autostima Nicola Pietrangeli: aveva 92 anni. Da capitano non giocatore guidò la spedizione in Cile di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che nel 1976 ci regalò la prima storica Coppa Davis. Oltre a Parigi, vinse due volte gli Internazionali di Roma e tre volte il torneo di Montecarlo. In totale, conquistò 67 titoli, issandosi al terzo posto della classifica mondiale (all’epoca i calcoli erano piuttosto artigianali). Nessuno potrà togliergli il record di partecipazioni (164, tra singolo e doppio) e vittorie (120) in Coppa Davis perché oggi si disputano molti meno match.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».
Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34.






