2018-12-06
A forza di retroscena sulle dimissioni il «Corriere» allunga la vita a Tria
Per il quotidiano dei Forza spread il professore è «stufo» e vorrebbe lasciare a fine anno. Salvo poi precisare: «Non ha ancora deciso ». Trattamento già riservato a Paolo Savona, con medesimi risultati: sono entrambi in sella.Prima o poi uscirà, come il 76 sulla ruota di Cagliari al Lotto. Prima o poi Giovanni Tria indosserà davvero il suo cappottino, infilerà il manuale di John Maynard Keynes nella valigetta di pelle e prenderà la porta del palazzo di via XX Settembre per scomparire nel traffico di Roma. Più che un'ipotesi è un dato statistico, una previsione del tempo a 20 giorni, un gossip da Isola dei Famosi. Perché è la quarta volta in sei mesi che - secondo i media di vedetta sull'orlo del baratro (nell'arco costituzionale da Repubblica alla Stampa c'è solo l'imbarazzo della scelta) - il ministro dell'Economia e delle Finanze sta per firmare le dimissioni. Deve solo decidere la penna da usare, se una Montblanc madreperlata o la Parker regalatagli alla cresima.L'ultimo sapido retroscena è arrivato ieri con l'inevitabilità di un raffreddore. Lo ha scritto sul Corriere della Sera il vicedirettore Federico Fubini, autorevole rappresentante del club Forza Spread, che tra un forse, un magari, un «è tentato da» ha confezionato un articolo inside per dimostrare che il ministro più vicino al presidente Sergio Mattarella ha finito la pazienza e non vorrebbe più stare a tavola con i barbari. Sono crucci, signora mia. Secondo il giornalista con solida gavetta all'Europarlamento di Bruxelles, Tria sarebbe stanco e stufo: «Chi ha parlato con lui racconta di averlo trovato stanco sul piano fisico e mentale ma soprattutto stufo di subire dal governo quelli che considera colpi alla sua credibilità». Quindi «sarebbe tentato dalle dimissioni più che in qualunque altro momento».Dicunt, tradunt, narrant; siamo al Cornelio Nepote dell'era digitale. Prima o poi succederà, come la Champions league alla Juventus e lo scudetto al Napoli vaticinati ad ogni inizio di stagione. Tria è il dimissionario per eccellenza, colui che in teoria avrebbe dovuto andarsene ancora prima di giurare davanti al capo dello Stato. Nella classifica dei sussurri e grida batte Paolo Savona, anch'egli in procinto di lasciare la nave più o meno ogni giovedì (sabato trippa), secondo le scalette dei Tg. E invece sono ancora lì in prima linea tutti e due a fare gli interessi del Paese a dispetto di retroscena giornalistici che sinora si sono rivelati omeriche fake news. O almeno pii desideri (wishful thinking li chiamano nei salotti progressisti) di chi vorrebbe vedere il governo 5 stelle-Lega sfarinarsi come una vecchia torta di nozze. Un sospetto che ha indotto il vicepremier Matteo Salvini a una dichiarazione caustica: «Il Corriere e non solo scrivono voci che appartengono al genere fantasy. La settimana scorsa si doveva dimettere Savona. La prossima magari toccherà a me e io vi annuncio sin d'ora che non ho nessuna intenzione di dimettermi». Siamo all'oroscopo. O a quella frase di Gianni Brera: «I pronostici li sbaglia solo chi non li fa». Già durante l'estate i giornaloni cominciarono a cavalcare il disagio del ministro, che ogniqualvolta sentiva parlare di reddito di cittadinanza si contorceva sulla sedia. Il 28 settembre il premier Giuseppe Conte approfondì e poi dichiarò: «Dimissioni? L'ho chiamato e ha negato di averci mai pensato». Il 10 ottobre il sito Money.it ripreso a raffica dava «sempre più forte l'ipotesi» e sosteneva che forse (forse) c'era già pronto il sostituto. E chi mai avrebbe potuto essere? Secondo fonti di Reuters rigorosamente anonime i nomi erano due: Andrea Roventino, economista caro ai 5 stelle, o il leghista Massimo Garavaglia. Conclusione dei retroscena: «Vediamo gli sviluppi». Li abbiamo visti: Tria in sella. Dopo l'abbassamento del rating italiano da parte di Moody's ecco di nuovo ricomparire (25 ottobre) il cavallo di battaglia della narrazione mainstream: secondo La Stampa le dimissioni di Tria sarebbero state addirittura irrevocabili. Eppure Tria negozia la manovra, rassicura i mercati, vola a Bruxelles con cappotto e valigetta. Sarà suo fratello gemello. Il ministro prima smentisce poi si limita a tacere, sapendo in cuor suo di non farci una bella figura. Lo dipingono come quel cantante d'opera che tenoreggia per 20 minuti con la spada in pugno «Partir io vo'», ma è sempre lì.Nell'ultimo scoop del Corriere c'è una novità: come per le mozzarelle abbiamo il giorno di scadenza della pazienza. Scrive Fubini: «Ha già segnato mentalmente un momento nel quale potrebbe passare la mano, durante la pausa di fine anno quando la legge di Bilancio sarà stata approvata». Poiché la frase è lievemente impegnativa, viene ammortizzata da un imperdibile: «Non si tratta di una decisione già presa, quindi Tria potrebbe restare al suo posto». O fuggire con una ballerina russa, o leggere La maestra e la camorrista, ultimo libro di Fubini. Vai a sapere.Se anche dovessero azzeccarla, non sarebbe la prima volta. Il 5 gennaio 2002 (secondo governo di Silvio Berlusconi) il ministro degli Esteri Renato Ruggiero si dimise con motivazioni curiosamente d'attualità: l'europeismo molto tiepido di Giulio Tremonti e della Lega. Il Paese non si inabissò nel Mediterraneo e nessuno si indignò. Tranne i giornalisti parcheggiati davanti a Villa Certosa, con gli alberghi a 5 stelle della Costa Smeralda chiusi per ferie.