2021-03-09
A Bari un complice delle belve del Bataclan
L’uomo, un algerino, si trovava già in carcere in Puglia. Sarebbe dovuto uscire a giugno, ma ieri gli è stato notificato un fermo per terrorismo internazionale. Avrebbe fornito lui i documenti falsi alla cellula che seminò il terrore la sera del 13 novembre 2015L’uomo dell’Isis in Italia, il falsario che ha fornito i documenti alla cellula terroristica della strage del Bataclan e supporto logistico per gli attacchi allo Stade de France, stava per uscire dal carcere di Bari, dove era detenuto, ed era pronto a riprendere la guerra contro l’Occidente, riattivando la sua rete del terrore. Una rete che in passato è stata composta anche dai big del terrorismo che negli anni hanno colpito le città francesi: Amedy Coulibaly, coinvolto il 9 gennaio 2015 nel sequestro di persona e nell’omicidio di alcuni clienti in un supermercato kosher di Parigi, Chérif Kouachi, alias Abou Essen, uno degli autori dell’attentato a Charlie Hebdo avvenuto il 7 gennaio 2015 a Parigi, Akrouh Chakib e Abaaoud Abdel Hamid, due degli autori degli attentati commessi a Parigi il 13 novembre 2015. Ieri mattina gli investigatori della Digos gli hanno notificato un fermo di indiziato di delitto ordinato dal procuratore aggiunto della Procura antiterrorismo di Bari Francesco Giannella e dal pm Federico Perrone Capano. Athmane Touami, alias Tomi Mahraz, algerino, classe 1985, è «gravemente indiziato», si legge nei documenti dell’accusa, del reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale. Tramite i suoi fratelli Mehdi e Lyes e un certo Fofa Marsial, indicato come collegato ad Ahmed Ben Sami, jihadista arrestato in Spagna ed esponente della Jund Al Khilafah (nata come appendice di Al Qaida nel Maghreb islamico, nel 2014 ha aderito allo Stato islamico), stava valutando di espatriare. Probabilmente aveva anche già un passaporto falso, visto che era stato lui a fornire i documenti di copertura agli attentatori del Bataclan. Nel luglio 2015, pochi mesi prima degli attentati terroristici di Parigi del novembre 2015, l’algerino fu arrestato a bordo del treno Parigi-Milano in possesso di carte di identità false rilasciate dalla rete belga denominata Catalogue. Pochi giorni dopo gli attentati, poi, durante una perquisizione a casa di Medhi Touami, fratello di Athmane, a Parigi, la polizia trovò una borsa, ritenuta di proprietà di Athmane, contenente alcuni documenti falsi e altri rubati. Secondo la Procura antiterrorismo di Bari il ruolo dei fratelli Touami era proprio quello di «esperti in grado di fornire supporto logistico e luoghi di appoggio, mettendo a disposizione merce di provenienza delittuosa» al servizio «delle organizzazioni terroristiche». Ma, spiegano i magistrati, non erano dei mercenari. Avevano «sviluppato un processo di radicalizzazione religiosa, anche per effetto dei frequenti e prolungati contatti con soggetti organizzatori di filiere jihadiste e militanti in associazioni terroristiche internazionali». Ma anche con indottrinatori islamisti. Athmane, infatti, è risultato in contatto con l’imam Rajab Zaki della moschea di Finsbury Park, considerato un’icona dai Fratelli musulmani inglesi e i cui «sermoni», annotano i magistrati, «l’indagato non manca di raccomandare ai diversi interlocutori telefonici». Con un certo Zino, per esempio, in una conversazione intercettata ammette che «Finsbury Park gli mancava più del suo quartiere». Poi gli chiede di mandare i suoi saluti all’imam Rajab e, «se avesse avuto la possibilità», sottolineano gli investigatori, «di telefonargli mentre era alla presenza dell’imam, in modo da poterlo salutare di persona». Una conversazione condivisa con le varie organizzazioni europee d’intelligence, per le quali Athmane sarebbe un «islamista radicale in grado di recarsi in Siria e in Iraq al fine di fornire supporto logistico, nonché coinvolto negli attentati terroristici avvenuti a Parigi nel 2015». E questa è una delle ragioni che ha spinto la Procura a emettere il decreto di fermo (altrimenti sarebbe uscito il 19 giugno 2021). L’altra, che è emersa nel corso delle intercettazioni disposte nel carcere di Bari, sono i suoi contatti con «personaggi contigui a organizzazioni terroristiche, frequentati anche dal fratello Mehdi»: Nigro, Said, Amin, Khala e Mouloudia. Dopo una segnalazione dell’autorità giudiziaria belga, gli investigatori della Digos captano una conversazione con un tale Misho durante la quale Athmane fa riferimento ad alcuni dei nomi della sua rete. I due interlocutori, conversando in algerino, citano personaggi che entrambi conoscono, accomunati dalla circostanza di aver avuto problemi con la giustizia in vari Paesi europei (Danimarca, Spagna, Italia, Francia). Parlando di Amin, per esempio, Misho dice di averlo incontrato l’ultima volta in Belgio. E Athmane risponde: «L’ho chiamato due volte... è una brava persona». Ma parlano anche degli altri componenti della cellula di Athmane. Misho dice: «Fortunatamente hai lasciato la Spagna... quelli sono stati presi tutti... giuro che ti stavo pensando […] Lambasia e il suo socio ancora non sono stati presi... ci sono ancora Paesi che li stanno cercando». Athmane replicava: «Ti accusano proprio di quella cosa e iniziano a indagare riguardo ai Paesi che ti cercano». E, secondo gli inquirenti, l’espressione, volutamente vaga, «quella cosa», altro non stava a indicare se non il terrorismo internazionale.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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