2024-02-22
Solo il 6% degli italiani crede in Kiev. È ora di ascoltare chi vuole negoziati
Un sondaggio svela: gli europei ormai temono la vittoria russa e sperano in una trattativa anziché nell’invio di altre armi. Ma i governi li ignorano. E la Nato usa Navalny per giustificare il conflitto a oltranza con Putin.A due anni dall’inizio della guerra in Ucraina, giustamente, ci indigniamo per la spietata tirannide di Vladimir Putin. Giustamente, rivendichiamo la superiorità morale delle democrazie liberali sui regimi degli autocrati, che sbattono in carcere e ammazzano gli oppositori. Eppure, i nostri governanti faticano a fare quello in cui dovrebbero essere più bravi: rispondere con prontezza a dubbi, incertezze, timori e indicazioni politiche dei cittadini.Ieri, un sondaggio dell’European council on foreign relations, realizzato a gennaio in 12 Paesi del Vecchio continente (Austria, Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia e Ungheria), ha svelato che solo il 10% degli europei crede nella vittoria finale di Kiev. Non significa che siano diventati tutti putinani: il 20% si sta convincendo che alla fine la spunterà Mosca, ma questa è una constatazione, piuttosto che un auspicio. Il 37% ritiene che si arriverà un accordo. Gli italiani sono tra i più pessimisti, insieme a ellenici e magiari: un misero 6% scommette sulla riconquista da parte della resistenza, il 19% prevede il successo russo, mentre il 43% ipotizza un compromesso. La quota di chi, nel negoziato, ci spera, è ancora più alta: il 52% degli intervistati.Le rilevazioni Ipsos, pubblicate dal Corriere della Sera, restituiscono un quadro simile: un risicato 7% dei nostri connazionali confida nel trionfo di Volodymyr Zelensky, il 23% considera favorito Putin, ma il 69% è sicuro che lo stallo non sia risolvibile sul campo. Perciò, il 51% degli italiani non ne può più di inviare armi all’Ucraina e uno su due invoca una trattativa, in cambio di un parziale ritiro degli invasori dai territori occupati. Non siamo di fronte a una pletora di partigiani del Cremlino: la percentuale di quanti propendono persino per una resa incondizionata di Kiev - il 26% - rimane ampiamente minoritaria.È vero che chi guida uno Stato non è tenuto a inseguire in maniera pedissequa i desideri delle masse. È per proteggerci dall’arbitrio delle maggioranze, in fondo, che abbiamo introdotto una Costituzione e dei limiti all’esercizio del potere, anche se legittimato dalle urne. È per assicurare piena autonomia e libertà di coscienza ai rappresentanti eletti che da noi, in Parlamento, non esiste vincolo di mandato. Ed è vero, come insegnava Gaetano Mosca, che qualunque regime politico, a stringere, è un’oligarchia. Democrazia non equivale a governo diretto da parte del popolo: le decisioni, in ultima istanza, deve prenderle l’élite. Ma è altrettanto vero che la forza della democrazia sta nella possibilità, per l’opinione pubblica, di controllare, giudicare e indirizzare l’attività di quelli che stanno nelle stanze dei bottoni. Ursula von der Leyen pretende di difendere il nostro modello da «euroscettici» e «amici di Putin». In che modo? Ignorando ciò che chiedono i cittadini, che sulla guerra nel Donbass paiono più saggi e realisti delle loro classi dirigenti? A dar retta alle cancellerie occidentali, ai vertici della Nato e alla Commissione Ue, bisognerebbe armare gli ucraini a tempo indeterminato. Poi si scopre che, al netto di tanta ostinazione, le falle si stanno aprendo ovunque. In Germania, l’idea di spedire alla resistenza missili a lungo raggio divide l’esecutivo. Negli Usa non ci sono solamente le banderuole dei repubblicani rispetto ai pacchetti di aiuti; gli americani, che hanno fornito Patriot e tank, si sono dimenticati di spiegare come manutenere i mezzi bellici.Il punto è che l’oltranzismo dei leader stride con la situazione nelle trincee. Gli argomenti di stampa e politici con l’elmetto si sono rivelati fallaci o contraddittori: alle trombe per la controffensiva ucraina sono seguiti i disastri di Bakhmut e Avdiivka; alle pernacchie alla Russia in ginocchio si è sostituito lo spauracchio dell’impero che minaccia l’Ovest, a costo di scontrarsi con la Nato; alla glorificazione del complesso militare-industriale del mondo libero è subentrata l’amara constatazione di una strutturale arretratezza, sia nel comparto della Difesa, sia nella preparazione degli eserciti a un conflitto convenzionale.La gente, tutto questo, l’ha intuito. Ha capito che Kiev non può farcela, se non mandando al macello altre centinaia di migliaia di ragazzi e ricevendo una tale mole di nostri equipaggiamenti, da rendere davvero probabile un incidente grave con Mosca, in cui finiremmo coinvolti. Ecco perché esorta a un cambio di linea.Sì, il dialogo è difficile. Lo zar è un interlocutore infido. E l’Occidente ha paura che un cedimento nel Donbass possa spingere Pechino ad abbandonare le cautele su Taiwan. D’altronde, i capi di Stato non sembrano altrettanto prudenti, quando bistrattano Israele. Non si preoccupano del messaggio che giungerebbe agli islamisti qualora, dopo il massacro del 7 ottobre, ottenessero ciò che non hanno ottenuto in oltre 70 anni - una nazione palestinese?Se non possiamo tirarci fuori dal pantano ucraino, se siamo in trappola, ce lo dicano. Visto quanto ci è costata la guerra per procura, rimane indigesto l’ennesimo boccone melenso che ci sta rifilando Jens Stoltenberg, segretario Nato: sconfiggere Putin «per onorare la memoria di Alexei Navalny». Vi preghiamo: parlateci chiaro. Al limite, come Churchill che promise lacrime e sangue. In democrazia, una dura verità è comunque meglio delle bugie.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.