2025-02-05
La Consulta fa un regalo a Zonin & C. Illegittima la confisca su Pop Vicenza
Gianni Zonin (Imagoeconomica)
La Corte dichiara sproporzionato il sequestro da 960 milioni su un crac da 6,5 miliardi.Disintegrare una banca si conferma attività meno pericolosa e punita che far fallire la pizzeria sotto casa. A distanza di dieci anni dal crac della Popolare di Vicenza, che ha lasciato sul lastrico oltre 100.000 soci e bruciato sei miliardi e mezzo di euro, la Corte Costituzionale mette in discussione anche uno dei pochi deterrenti per i colletti bianchi: l’obbligo di confisca per equivalente dei fondi utilizzati per commettere i reati. All’ex presidente della Popolare, Gianni Zonin, e a tre suoi manager, erano stati confiscati 963 milioni di euro, ma la Consulta ieri ha deciso che la norma del codice civile che consente queste confische è in parte incostituzionale perché viola il principio di proporzionalità della pena. Zonin, dall’alto dei suoi 86 anni e del suo impeccabile collegio di difesa, non solo se la ride, ma da oggi fa ufficialmente giurisprudenza. La Consulta ha stabilito che l’articolo 2641 del codice civile, che stabilisce l’obbligo di confisca dei beni usati per commettere un reato societario, è parzialmente incostituzionale. A rivolgersi a lei è stata la Corte di Cassazione, nell’abito del processo sulla Popolare di Vicenza. In primo grado, il Tribunale di Vicenza aveva disposto una confisca dell’importo di 963 milioni di euro. Una cifra mostruosa, anche per un imprenditore che controlla un colosso del vino, ma per i giudici era il risultato di tutte le operazioni bancarie farlocche (le cosiddette «baciate», mutui e finanziamenti ai soci per far loro comprare azioni della banca), escogitate per tenere su il valore delle azioni e comandare la banca stessa. In secondo grado, a Venezia, le toghe avevano confermato le condanne, ma avevano revocato la confisca, giudicandola contraria anche alle regole europee. Il ricorso era stato fatto alla Cassazione dai pm di Venezia, secondo i quali non c’era dubbio che quelle confische fossero una conseguenza quasi automatica di chi commette reati di aggiotaggio, o ostacolo alla vigilanza. La Cassazione, a quel punto, ha passato la palla alla Consulta.Alla fine di questa via crucis del diritto, con la sentenza di ieri, la Corte Costituzionale ha quindi deciso che quelle confische erano a dir poco esagerate. In sostanza, i giudici ritengono che non si possa condannare nessuno, neppure il possidente Zonin, a pagare una cifra sproporzionata rispetto alle sue condizioni economiche e alla capacità di far fronte al pagamento richiesto. La sentenza di ieri innescherà pure una serie di conseguenze. Dopo la Consulta, il Parlamento dovrà decidere se riscrivere una nuova disciplina della confisca dei beni strumentali e delle somme equivalenti agli importi oggetto dei reati, tenendo a questo punto in maggior conto il criterio di proporzionalità. Diversamente, è logico prevedere che d’ora in poi la magistratura tenderà ad applicare con molta prudenza le norme sulle confische per equivalente che vengono dal codice civile. Va anche ricordato che le confische «meno care», quelle proporzionali, ci sono già e sono quelle previste dall’articolo 240 del codice penale. Per quanto riguarda Zonin, che ha ormai un’età che lo protegge dal rischio di una detenzione (del resto non fu mai arrestato neppure quando scoppiò lo scandalo e neppure gli tolsero il passaporto) a ottobre del 2022 ha preso una condanna in appello a tre anni e 11 mesi di reclusione. Una pena dimezzata rispetto al primo grado, anche a causa dell’intervenuta prescrizione per alcuni reati. Le magagne della Vicenza emersero nel 2014 da un’ispezione della Bce e nel 2105 partì l’inchiesta giudiziaria. Due anni dopo, l’intera banca fu girata dallo Stato a Intesa Sanpaolo e fatta sparire. Con la ex popolare letteralmente sciolta nell’acido insieme a tutti i suoi segreti, la sentenza di primo grado è arrivata nell’ottobre 2022, ovvero ben sette anni dopo i fatti. Alla fine, la decisione della Corte Costituzionale è la ciliegina sulla torta di una macchina giudiziaria lenta e approssimativa, molto debole con chi ha buoni avvocati e molti soldi, e dove la confisca miliardaria di turno è stata solo uno sparo nel buio. O, come nel caso di Vicenza, un fumogeno sparato in mare.
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