2025-02-28
C’è una «zona rossa» attorno al Papa: sono i cardinali del potere
Matteo Maria Zuppi, Kevin Farrel, Konrad Krajewski, Jean-Claude Hollerich e il «Tucho» gestiscono la lungodegenza di Francesco. Difendendo la «rivoluzione».La zona rossa è visibile a occhio nudo. Circonda il policlinico Gemelli e le sacre stanze vaticane, è composta da porporati che smentiscono crisi respiratorie e mandano anatemi a chi mostra preoccupazione per le sorti di papa Francesco.In questi giorni di apprensione, i guardiani della rivoluzione progressista che proteggono il Pontefice sono entrati in azione con gli idranti per ripristinare la narrazione ufficiale. «Basta speculazioni, è orribile che si lavori già al Conclave», ha tuonato il cardinale lussemburghese Jean-Claude Hollerich, vicepresidente dei vescovi d’Europa. «È inutile che i nemici sperino nelle dimissioni», ha sibilato l’alto prelato argentino Víctor Manuel Fernández, prefetto del dicastero per la Dottrina della fede.Il primo è stato uno dei più accesi sostenitori dei finanziamenti alla Ong navale di Luca Casarini; il secondo, «Tucho», fu l’estensore della lettera apostolica per le benedizioni arcobaleno che un anno fa terremotò la Chiesa e fu alla base della rivolta del clero africano. «Sopire, troncare, padre molto reverendo»; la metafora manzoniana contiene un messaggio subliminale chiarissimo: quando il cerchio magico serra le fila significa che il momento è grave. Non dal punto di vista sanitario, quello riguarda i medici che stanno al capezzale del Santo Padre e i sacerdoti o le suore che spontaneamente pregano. È grave dal punto di vista politico perché, come gli aerei in alta quota, anche chi gestisce il potere oltre le Mura Leonine teme i vuoti d’aria. E un’ipotetica «lungodegenza» di Francesco rappresenta un’area di estrema delicatezza per chi deve difendere poltrone, idee, progetti lasciati a metà.Il cordone sanitario ha altri due capisaldi: il presidente della Cei, Matteo Maria Zuppi, fedelissimo del Papa e interprete della sua politica estera ancor più del segretario di Stato, Pietro Parolin (fu Zuppi ad andare a Mosca, Kiev, Washington in pieno conflitto ucraino), e il Camerlengo, Kevin Farrell, irlandese naturalizzato americano, nominato da Jorge Bergoglio nel 2019, di fatto suo vice ufficiale. Uomo di grande equilibrio, quest’ultimo è garanzia di continuità nel solco della tradizione. Ma, come spiega un anziano cardinale, «si occupa dell’amministrazione ordinaria ma non ha in mano i beni pontifici, quelli sono in tasca all’Elemosiniere». Un altro pasdaran della nuova frontiera radical: Konrad Krajewski, definito «cardinal bolletta» da quando andò personalmente a riattaccare la corrente in un palazzo di Roma occupato abusivamente dai centri sociali.Sono loro i cavalieri dalle lunghe ombre, i custodi della narrazione mentre il Papa giace in un letto d’ospedale. Sono loro i garanti della nuova ortodossia che prevede il rinnovamento della dottrina, la disponibilità permanente a superare valori non negoziabili e trattare su eutanasia, utero in affitto, aperture alle lobby transgender, celibato dei preti. Quei temi che oggi rappresentano un vallo dogmatico fra turbo-progressisti europei e la più tradizionale Chiesa americana, asiatica, africana. In questa fase di sospensione sono loro a detenere il potere più concreto, quello di filtrare, condizionare, modellare i sacri sospiri. Ancora maggiore libertà il cerchio magico ha nella gestione del Giubileo, delegato a una serie di figure che si muovono in piena libertà, come accaduto con il Giubileo degli artisti, che ha visto occuparsene il cardinale José Tolentino de Mendonça del dicastero della Cultura, altro fedelissimo dell’area progressista. «Vi è una sorta di cerchio magico che gravita attorno a Santa Marta formato da persone che, a mio parere, non sono preparate dal punto di vista teologico»: quando il cardinal Gerhard Müller, leader dei conservatori e prefetto emerito per la congregazione della Dottrina della fede, pronunciò questa frase nel bel libro scritto con la giornalista Franca Giansoldati In buona fede, fu ostracizzato, messo in cattiva luce agli occhi di Francesco. E quando aggiunse: «In Vaticano sembra che ormai le informazioni circolino in modo parallelo, da una parte sono attivi i canali istituzionali, purtroppo sempre meno consultati dal Pontefice, e dall’altra quelli personali utilizzati persino per le nomine dei vescovi o dei cardinali», rischiò la scomunica. Ma rivelava una strategia che continua a funzionare alla perfezione. Se era difficile strumentalizzare Giovanni Paolo II quando portava davanti al mondo la forza del dolore «mendicando la vita» (definizione potente di Carlo Maria Martini), è più facile gestire la transizione con papa Francesco impossibilitato a farsi intervistare da Fabio Fazio.Quando vediamo levarsi anatemi contro la trasparenza, quando notiamo critiche al dibattito sul destino di una delle personalità moralmente più importanti del pianeta, significa che il cerchio magico sta stringendo le fila come una legione di Giulio Cesare per custodire le proprie prerogative. Fino a qualche tempo fa, uno dei personaggi chiave della lobby era padre Antonio Spadaro, intellettuale gesuita, ex direttore de La Civiltà cattolica, definito «l’uomo che sussurra al Pontefice». Non è più così, i suoi gomiti appuntiti erano diventati scomodi e Francesco lo ha emarginato. Ora si limita a spiegare il Vangelo ai lettori del Fatto quotidiano. In questi giorni la zona rossa è visibile a occhio nudo. E chi invoca «silenzio e preghiera» chiede implicitamente di non essere disturbato. Non mentre recita il rosario, ma mentre gestisce il potere.