2025-03-13
Zittito chi aveva gettato fango sulle divise
Smentita la narrazione dei media, alimentata da politici e giornalisti, che dava già per certa la responsabilità dei militari. Come Beppe Sala e Franco Gabrielli, che blateravano del «principio di proporzionalità». O come Ilaria Cucchi, che parlava di «caccia all’animale».È lunga la lista di politici, ex poliziotti, studenti e giornalisti, che negli ultimi mesi avevano già dato la loro sentenza sul caso Ramy, accusando i carabinieri di «averlo ammazzato» durante l’inseguimento del 29 novembre scorso, sciacallando sul destino di un ragazzo di 19 anni. Ma ora la consulenza dell’ingegnere Domenico Romaniello per la procura di Milano mette in chiaro come dall’analisi di tutti i video a disposizione non emerga «mai alcuna intenzione di «speronare» il veicolo in fuga o di farlo cadere». E questa volontà, sostiene la perizia, «non c’è mai stata» per tutta la durata dell’inseguimento. Se c’è un responsabile della morte del giovane egiziano è, in sostanza, l’amico Fares Bouzidi, che «con il suo comportamento sprezzante del pericolo, ha determinato l’inseguimento e le sue modalità e si è assunto il rischio delle conseguenze, per sé e per il trasportato». Non va poi dimenticato che Bouzidi non ha mai ottenuto la patente di guida. E per di più quella notte era sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, dal momento che è stato trovato positivo al Thc. Eppure, nelle settimane successive all’incidente tra via Ripamonti e via Quaranta, in tanti si erano espressi contro l’Arma, dando già per assodato che le responsabilità fossero tutte in capo ai militari che quella notte stavano invece solo effettuando il loro lavoro. Tra i colpevolisti c’era il sindaco di Milano Beppe Sala, che sicuro del fatto suo e senza aspettare l’esito delle indagini, aveva persino fatto (su Rtl) una distinzione tra carabinieri buoni e cattivi. «Ci sono dei carabinieri che sbagliano e c’è il grosso dei carabinieri che fa le cose giuste. Lì hanno sbagliato, hanno fatto un inseguimento notturno di 20 minuti». Più in là rispetto a Sala si era spinto Franco Gabrielli, ormai ex consulente alla Sicurezza di palazzo Marino ma soprattutto ex numero uno della polizia, che a gennaio sosteneva dall’alto della sua esperienza come quella non fosse «sicuramente la modalità corretta con cui si conduce un inseguimento, anche perché ci sono pur sempre una targa e un veicolo. Esiste un principio fondamentale: la proporzionalità delle azioni che devono essere messe in campo per conseguire un determinato risultato». Parole in totale controtendenza con quelle che la procura aveva fatto filtrare a gennaio, secondo cui l’inseguimento da parte dei militari dell’Arma è stato corretto (chi guidava è accusato di omicidio colposo). E soprattutto sono considerazioni che vengono completamente smentite dalla consulenza di Romaniello. Anche perché viene sottolineato come le «procedure» di inseguimento «sono state rispettate» e le volanti si sono comportate «correttamente» anche perché «non» è emersa «mai alcuna intenzione di «speronare». Ma Gabrielli, che all’epoca si vociferava potesse essere il candidato sindaco per il centrosinistra a Milano e che evidentemente non voleva aspettare l’esito delle perizie, era convinto che la gazzella dei carabinieri avesse sbagliato. «Posso addirittura utilizzare un’arma se è in pericolo una vita, ma se il tema è soltanto fermare una persona perché sta scappando, non posso metterla in una condizione di pericolo» diceva l’ex numero uno della polizia. «È un elementare principio di civiltà giuridica». Frasi che viste attraverso la lente della consulenza tecnica non trovano alcuna giustificazione. Che dire poi di Marta Collot, esponente di Potere al Popolo, che insieme al collega Giuliano Granato, ha continuato a sostenere per giorni l’idea che Ramy «fosse stato ucciso dai carabinieri». I due lo sostenevano brandendo in una nota del partito proprio le parole di Gabrielli, arrivando a sostenere che «quello di Ramy non» fosse «un omicidio compiuto da un paio di mele marce. Ad essere marcio è tutto un sistema di potere che ha prodotto le condizioni della sua morte». Considerazioni assolutamente deliranti che non avevano una base giuridica né logica. Anche Ilaria Cucchi ci era andata giù molto pesante: «Più che un inseguimento sembrava una caccia all’animale», aveva spiegato la sorella di Stefano. Per non parlare di Maria Teresa Meli, storica retroscenista del Pd per il Corriere della Sera, secondo cui «Ramy sarebbe stato ammazzato perché extracomunitario», come aveva spiegato il 13 gennaio su La7. Anche gli studenti ci avevano messo del loro, durante una manifestazione del 15 gennaio quando erano riusciti a paragonare Ramy a Carlo Giuliani, il ragazzo ucciso durante il G8 di Genova nel 2001. «La perizia conferma quello che ormai era chiaro alla stragrande maggioranza degli italiani: i carabinieri hanno fatto il loro lavoro in modo corretto, non hanno colpe. E ora chiedano scusa quelli che hanno accusato e infangato l’Arma», dice il ministro dei Trasporti Matteo Salvini.