2020-06-06
Zingaretti prepara il dopo Conte e strizza l’occhio a Confindustria
Il leader del Pd usa il quotidiano degli industriali per chiedere il Mes, che certificherebbe il rischio default del Paese e taglierebbe le gambe al premier. L'idea è un governo Dario Franceschini, con il sostegno di Carlo Bonomi (e Fi). Dopo una settimana di aste in cui i Btp hanno dato il meglio di sé e all'indomani della scelta della Bce di allargare l'ombrello con altri 600 miliardi, il segretario del Pd Nicola Zingaretti, prende carta e penna e scrive sul Sole 24 Ore una lettera accorata: «Non dobbiamo avere incertezze, sì al Mes senza se e senza ma». Perché sostenere il Mes? Perché farlo quando c'è la Bce e dopo che il premier (che il Pd appoggia ufficialmente) si è buttato sul Recovery fund? La spiegazione fornita dall'interessato non appare plausibile. In estrema sintesi Zingaretti sente la necessità di usare i soldi del Mes per rilanciare la sanità. Sebbene la funzione decisa dal Mes sia solo legata al comparto sanitario, la motivazione non sta in piedi. Innanzitutto perché i fondi dovrebbero essere destinati a misure straordinarie da post Covid. Mentre si capisce che il numero uno del Pd vorrebbe interventi più strutturali. È questa sarebbe la sconfessione di quanto ha fatto negli ultimi anni Zingaretti in veste di governatore del Lazio. Un migliaio di posti letto tagliati sono tanti. E anche se gli elettori dimenticano presto è chiaro che Zingaretti non punti al Mes per rimediare alle proprie scelte, ma vede il Salvastati come una ghiotta occasione per tornare a essere incisivo alle spalle di Giuseppe Conte. Il Mes per Zingaretti sembra essere uno strumento politico. Sottoscrivere l'attivazione del fondo significa letteralmente ammettere che l'Italia si trova in difficoltà. Significa indicare nero su bianco che il Paese fatica ad approvvigionarsi sul mercato finanziario. Il motivo per cui ieri il ministro delle Finanze greco, Christos Staikoura, ha definitivamente confermato il No allo strumento del Fondo salvastati è che pur potendo risparmiare interessi per circa 800 milioni di euro sa che si infilerebbe il cappuccio nero dei mercati.Allo stesso modo il capo del Pd sa bene che così facendo Conte finirebbe per tagliarsi le gambe da solo. Sarebbe come ammettere di essere portatore di instabilità. A finire penalizzata sarebbe la possibilità di creare il partito del premier. Che è esattamente ciò che Zingaretti desidera. Se Conte riuscisse attraverso il Recovery plan a far decollare la sua personale fase 3, per il segretario del Pd si annuncerebbe un futuro ancora più da gregario. Con la politica economica in mano a Massimo D'Alema e a portare un po' di acqua al mulino della squadra diessina una bella fetta di grillini, Pd e 5 stelle diventerebbero un concetto vago. Per dare però la spallata finale a Conte e magari sostenere Dario Franceschini a capo di Palazzo Chigi a Zingaretti servirebbe una sponda a Nord. E quindi agli occhi del politico romano entra in gioco Confindustria. Non può sfuggire che l'editoriale pro Mes sia ospitato sul quotidiano di proprietà di viale dell'Astronomia, presieduta da quel Carlo Bonomi che poco più di una settimana fa ha definito la politica economica di Conte più dannosa del Covid. Non solo. Il neo presidente degli industriali ha più volte invocato l'uso del Mes spaccando di fatto la compagine della maggioranza. «Sono un imprenditore e guardo ai numeri, avremo bisogno di bazooka liquidità», perché l'Italia da sola non ce la fa. «Laddove ci sono le condizioni per avere i soldi dall'Europa vanno presi», senza «battaglie dietro a bandiere di partito», ha detto Bonomi a Che tempo che fa, occasione televisiva usata anche per affrontare il tema della fase 2 . «Sulle riaperture», Bonomi ha sottolineato che trattandosi delle imprese «avrebbe fatto piacere che ci fosse almeno un imprenditore nella task force». Appare in entrambe le esternazioni che se il governo Conte cadesse per Confindustria sarebbe un sollievo. E dal momento che il nemico del mio nemico è un amico, non è difficile immaginare che Zingaretti voglia provare l'abbraccio. Bonomi potrebbe portare parte dei voti e delle aziende del Nord, magari diventare (forse) a sua insaputa il ponte verso Forza Italia. Quando Silvio Berlusconi dichiara dalle colonne del Corriere della Sera che bisogna appoggiare il Mes e coagulare le forze costruttive attorno a un tavolo non spiega attorno a quale tavolo. Quello di Conte o di una nuova maggioranza? Per disarcionare Conte, Zingaretti avrebbe infatti bisogno dei voti di Forza Italia e di una metà dei 5 stelle. Le possibilità che il progetto vada in porto e convinca il presidente Sergio Mattarella sono abbastanza remote. Per almeno tre motivi. Innanzitutto gestire metà 5 stelle al Senato sembra quasi impossibile. Secondo, la base di Confindustria vede il nemico non solo nei 5 stelle ma anche nello stesso Pd di Zingaretti La terza incognita è quella renziana. L'ex sindaco di Firenze cercherà di valorizzare la sua capacità di invocare le crisi di governo con lo stesso Conte oppure deciderà di fronte a un tavolo già imbandito di fare il salto e riavvicinarsi a Zingaretti? Anche Renzi sa che Conte è l'uomo giusto per quelle filiere di potere che vogliono ridisegnare il Paese con le varie nazionalizzazione senza metterci troppo la faccia. E sa pure che in Italia niente è più definitivo del provvisorio. Una partita complessa e delicata nella quale i partiti non esitano impegnare il futuro delle finanze pubbliche per garantirsi la continuità.