2025-02-21
Washington striglia Zelensky e lui si riallinea: «Pronti a firmare l’intesa con gli Usa»
Volodymyr Zelensky e Keith Kellogg (Ansa)
Il leader ucraino riceve l’inviato Kellogg e ringrazia l’America dopo l’ammonimento di Waltz («Abbassi i toni»). Per gli Stati Uniti al G7 la Russia non è l’«aggressore».A tre anni dall’inizio del conflitto il capo della Commissione Ue, escluso dalle trattative, visiterà la Capitale degli invasi. Con lei Costa, Sánchez (e Calenda). Macron si sfila.Lo speciale contiene due articoli.Prove di disgelo tra Washington e Kiev? Ieri, l’inviato americano per l’Ucraina, Keith Kellogg, è stato ricevuto da Volodymyr Zelensky nella Capitale ucraina. Nonostante al termine del colloquio la parte americana abbia chiesto e ottenuto l’annullamento della conferenza stampa congiunta dei due, il leader ucraino ha cercato di gettare acqua sul fuoco dopo le fibrillazioni degli ultimi giorni. Zelensky ha definito il colloquio con Kellogg una «buona discussione», dicendosi inoltre «grato agli Stati Uniti per tutta l’assistenza e il supporto bipartisan a favore dell’Ucraina e del popolo ucraino». «L’Ucraina», ha aggiunto, «è pronta per un accordo d’investimento e sicurezza forte ed efficace con il presidente degli Stati Uniti». Insomma, sembrerebbe essere tornato timidamente il sereno tra Washington e Kiev. Ricordiamo che, l’altro ieri, Donald Trump ha duramente criticato il presidente ucraino, definendolo un «dittatore» per aver posticipato le elezioni che avrebbero teoricamente dovuto tenersi l’anno scorso. L’inquilino della Casa Bianca era notevolmente irritato dopo che Zelensky si era lamentato dei colloqui tra americani e russi a Riad. Il presidente ucraino aveva inoltre affermato che l’omologo statunitense fosse circondato da disinformazione russa. Tornando a ieri, alcune ore prima che la conferenza stampa a Kiev fosse annullata, il consigliere per la sicurezza nazionale americano, Mike Waltz, aveva rilasciato un’intervista a Fox News, sostenendo che l’Ucraina avrebbe dovuto «abbassare i toni, riflettere attentamente e firmare l’accordo» sui minerali strategici, che era stato proposto da Washington. «Abbiamo offerto agli ucraini un’incredibile e storica opportunità per far sì che gli Stati Uniti d’America co-investano con l’Ucraina, investano nella sua economia, investano nelle sue risorse naturali e diventino davvero un partner per il futuro dell’Ucraina in un modo che sia sostenibile, ma che rappresenti anche, credo, la migliore garanzia di sicurezza a cui possano mai sperare, molto più di un altro mucchio di munizioni», aveva aggiunto Waltz, per poi negare che Kiev fosse stata marginalizzata a livello diplomatico. «Portare tutti al tavolo contemporaneamente non ha funzionato in passato. Quindi abbiamo coinvolto una parte, abbiamo coinvolto l’altra parte e poi avremo un processo che andrà avanti sotto la direzione e la leadership del presidente Trump», aveva detto. Nel frattempo, il Financial Times ha riportato che gli Stati Uniti si sarebbero rifiutati di definire Mosca un «aggressore» nell’ambito di una dichiarazione del G7 dedicata all’anniversario dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Dall’altra parte, Reuters ha riferito che Washington non avrebbe intenzione di co-sponsorizzare una bozza di risoluzione Onu, che sostiene l’integrità territoriale ucraina e che invoca al contempo il ritiro delle truppe russe. Ora, per quanto possano apparire controverse alcune posizioni di Trump, va comunque tenuto presente che ci troviamo nel mezzo di un processo diplomatico, in cui il presidente americano bilancia bastone e carota, mettendo - in modo alternato - sotto pressione i due belligeranti. Era il 22 gennaio scorso quando il tycoon minacciò di colpire Mosca con «tariffe e sanzioni» se non avesse avviato le trattative diplomatiche sull’Ucraina. Ricordiamo inoltre che Trump ha recentemente imposto dazi aggiuntivi del 10% a quella stessa Cina che, negli ultimi tre anni, ha appoggiato economicamente Mosca. Tra l’altro, durante i recentissimi colloqui di Riad, le delegazioni americana e russa hanno concordato di trattare anche altri dossier geopolitici: un implicito riferimento alle questioni di Iran e Siria, che entreranno probabilmente nel processo diplomatico ucraino. Non dimentichiamo infatti che la caduta di Bashar Al Assad ha notevolmente indebolito il Cremlino nello scacchiere mediorientale: un elemento, questo, su cui Trump potrebbe far leva nelle trattative ucraine con Vladimir Putin. Lo zar teme lo strapotere turco in Siria. E sta cercando di recuperare terreno nell’area dopo l’ascesa di Mohammed Al Jolani. Guarda caso, proprio ieri è stato reso noto da Middle East Eye che il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, dovrebbe recarsi ad Ankara la settimana prossima. Trump, dal canto suo, potrebbe manovrare affinché Turchia e Russia si mettano sotto pressione vicendevolmente. Potrebbe usare la pressione turca per indebolire la posizione negoziale di Mosca sull’Ucraina; dall’altra parte, potrebbe contemporaneamente sfruttare la sponda russa, per contenere l’incremento d’influenza di Recep Tayyip Erdogan in Siria. La situazione, come si vede, è complessa. Prima di tacciare semplicisticamente Trump di appeasement, bisognerebbe quindi forse essere un poco più cauti. La partita in corso è molto più ampia e articolata rispetto alla sola triangolazione tra Washington, Kiev e Mosca. Il presidente americano lo ha capito. E sta cercando di comportarsi di conseguenza. Avrà successo? Non lo sappiamo. Ma i giudizi affrettati andrebbero evitati.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/zelensky-kellogg-2671190500.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ursula-invece-va-a-kiev-con-lelmetto" data-post-id="2671190500" data-published-at="1740085596" data-use-pagination="False"> Ursula invece va a Kiev con l’elmetto Ci sono molti modi per perdere una guerra. Si può farlo con onore, come sta facendo l’Ucraina, oppure scivolare nel ridicolo e nell’inutilità, come sta facendo l’Unione europea. E allora, mentre gli assetti della futura Ucraina verranno decisi da Donald Trump e Vladimir Putin, Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio d’Europa, Antonio Costa, lunedì andranno in gita a Kiev per il terzo anniversario dell’invasione russa. Assai probabile che non ci sia Emmanuel Macron, che proprio ieri ha messo a punto un piano per la pace. Con il collega britannico Keir Starmer, mica con la povera Ursula. Un anniversario è sempre meglio di niente, quando l’agenda politica è tristemente vuota, e allora il presidente della Commissione Ue ieri ha annunciato il viaggio in Ucraina per il 24. Dal suo staff, dopo i duri attacchi del presidente Usa al presidente ucraino, ci si limita a sottolineare che «Zelensky è stato legittimamente eletto in elezioni libere, corrette e democratiche» e che «l’Ucraina è una democrazia, mentre la Russia di Putin no». Al viaggio di testimonianza ha subito aderito anche Costa, che su «X» ha scritto: «Lunedì 24 febbraio segna il terzo anniversario dell’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina. Ho deciso di essere a Kiev per quell’occasione, con Ursula von der Leyen, per riaffermare il nostro sostegno all’eroico popolo ucraino e al presidente eletto democraticamente Volodymyr Zelensky». Tra le prime adesioni, da registrare per il momento solo quelle dello spagnolo Pedro Sánchez e di Carlo Calenda, che ieri ha definito Giuseppe Conte «un traditore dell’Europa perché sta con Trump». Il sillogismo è un po’ azzardato, perché se l’Europa cincischia su tutto e si è fatta guidare da Joe Biden per quasi tre anni il concetto di «tradimento dell’Europa» va considerato con maggior precisione. Anche non onorare il proprio mandato è un tradimento. E siccome la tenaglia Putin-Trump evidentemente non bastava per mettere spalle al muro, ieri ci si sono messi anche Regno Unito e Francia. Al momento non sembra che né Macron né Starmer parteciperanno alla simbolica gita di lunedì. Più che altro, hanno trovato di meglio da fare. In particolare, il primo ministro britannico presenterà all’inizio della prossima settimana al presidente americano, direttamente a Washington, un piano anglo-francese che prevede l’invio di circa 30.000 soldati europei in Ucraina per mantenere l’eventuale cessate il fuoco mediato dalla Casa Bianca. È appena il caso di ricordare che Londra, con la Brexit, ha formalmente salutato Bruxelles. Il piano prevede che il comando delle truppe di pace sia affidato a non meglio precisati «Paesi europei» e che riguardi il presidio delle principali città ucraine, dei porti e di altri siti infrastrutturali critici come le centrali nucleari. Ci sarà anche un monitoraggio più tecnologico, affidato ad aerei dell’intelligence, droni, satelliti. Secondo l’inglese Telegraph, poi, saranno inviate anche navi da pattugliamento nel Mar Nero, in modo da monitorare le minacce (non solo russe) alle rotte di navigazione commerciale. Anche Macron ha in programma un viaggio a Washington la prossima settimana per parlare con Trump. Il presidente francese, come ha spiegato il ministro per l’Ue, Benjamin Haddad, attraversa l’Atlantico per un colloquio a quattr’occhi che servirà a «difendere gli interessi europei» e a mettere le basi per una pace in Ucraina «stabile e sostenibile». E così, mentre la pace si decide altrove e con iniziative concrete, la missione della Von der Leyen a Kiev rischia di essere buona per qualche foto e nulla più. Oltre al fatto che, considerato il livello delle polemiche di questi giorni, la gita potrebbe diventare una mezza pagliacciata anti Trump con tanto di elmetto. Giusto per continuare a promettere sempre più armi europee e, di fatto, disprezzando una tregua.