2019-11-09
«Alitalia ha forti potenzialità. Può essere rilanciata»
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Nominato presidente dell'Ente nazionale aviazione civile dal Consiglio dei ministri nel gennaio scorso, su proposta dell'ex ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli, Nicola Zaccheo, succede alla lunga presidenza di Vito Riggio, ma non è un politico bensì un fisico con tanto di master in California, già dirigente di aziende aerospaziali.Dottor Zaccheo, come ha trovato l'Enac e quali sono oggi le sue priorità?«Ho trovato un Ente in salute. Come già avevo avuto modo di verificare nelle mie attività passate, l'Enac ha al suo interno grandi professionalità, competenze e responsabilità riconosciute a livello internazionale, ma si trova in forte sofferenza per la mancanza di risorse umane. Ad oggi sono tre le mie priorità: mettere l'Ente nelle condizioni di operare al meglio, dotandolo di nuove risorse, magari potendo utilizzare gli avanzi di bilancio; rafforzare e rilanciare l'Ente come autorità dell'aviazione civile; rivedere la forma giuridica dell'Ente in modo che possa affrontare al meglio le sfide del settore».Nel corso della sua audizione in Commissione Trasporti, mesi fa, ha segnalato l'urgenza di un ricambio generazionale interno e di nuove risorse. A che punto siamo?«Stiamo lavorando per ampliare la pianta organica e avere risorse adeguate ai compiti istituzionali dell'Enac, nel più breve tempo possibile».In molte nazioni le autorità aeronautiche hanno istituti propri per la formazione dei funzionari e degli operatori. In Italia Enav è un esempio. Visti gli iter lunghissimi di selezione sarebbe una soluzione anche per Enac?«Come Ente pubblico dobbiamo comunque passare attraverso i concorsi per selezionare nuovo personale. In merito alla formazione, invece, a febbraio è stato lanciato il progetto Enac Academy che ha come obiettivo lo sviluppo della cultura aeronautica e la promozione dell'aviazione civile, attraverso percorsi di alta formazione destinata non soltanto agli interni Enac, ma a tutti gli operatori del settore. Si tratta di un progetto molto ambizioso avviato dal precedente management, a cui darò il massimo supporto per iniziare nel minor tempo possibile».Sempre più attività del regolatore vengono svolte direttamente dall'agenzia europea Easa. Quale sarà il ruolo delle autorità aeronautiche nazionali nel prossimo decennio?«Il ruolo delle autorità aeronautiche nazionali continuerà a essere molto importante, Easa svolgerà più che altro un ruolo di coordinamento. Le autorità nazionali, oltre a garantire gli adeguati standard di sicurezza, la qualità, la sostenibilità ambientale, oltre a vigilare sulla gestione degli aeroporti, continueranno ad avere un ruolo di leadership, a volte anche di precursori e apripista per la stessa Easa, che spesso adotta procedure sviluppate dai singoli enti nazionali. Se parliamo di nuove tecnologie, di droni e di voli suborbitali, Enac è leader dal punto di vista normativo e rappresenta un punto di riferimento europeo, tanto che talvolta Easa adotta procedure e normative sviluppate da noi, imponendole ad altri Paesi».Una frase sulla situazione di Alitalia?«Situazione complicata, ma Alitalia ha forti potenzialità con personale di grande professionalità e il governo si sta adoperando non solo per salvarla, ma soprattutto per rilanciarla».Enac ha il bilancio in utile da diversi anni. Si pensa alla privatizzazione come accaduto a Enav?«No, Enac non sarà mai essere privatizzata perché è l'autorità del settore. Dobbiamo però pensare a una nuova veste giuridica. C'è un tavolo aperto con tutte le parti, compresi i sindacati, nel quale si stanno valutando possibili soluzioni, ma l'Enac deve rimanere necessariamente un organo dello Stato».Negli ultimi anni alcuni ministri dei trasporti come Corrado Passera e Graziano Delrio annunciarono di voler cancellare alcuni aeroporti italiani, seppure ne abbiamo un terzo rispetto alla Francia. Ma il trasporto aereo è in forte crescita. Che cosa accadrà alle infrastrutture oggi definite non strategiche?«Stiamo ridefinendo il Piano nazionale degli aeroporti. Uno dei traguardi che mi sono dato è proprio il rilancio dei piccoli e piccolissimi aeroporti. Ovviamente deve essere fatta una selezione perché non si possono avere strutture a pochi chilometri di distanza. Penso ai piccoli aeroporti e a quelli di aviazione generale che hanno una funzione importante, ma bisognerebbe caratterizzarli e dare loro un'identità precisa, perché per questi scali le logiche di mero ritorno commerciale non funzionano. Si tratta di aeroporti che costituiscono un presidio importate per il territorio, svolgono funzioni di protezione civile, servizio pubblico e sociale, di emergenza, spesso garantiscono la continuità territoriale. In particolare dove le infrastrutture sono carenti, i piccoli aeroporti assicurano il diritto alla mobilità dei cittadini. Hanno un ruolo importantissimo nell'attività di addestramento e di sviluppo dell'intero comparto dell'aviazione civile, ospitando le scuole di volo, il volo da diporto e sportivo, il lavoro aereo. Per carenza di risorse Enac ha dovuto ridurre il numero di aeroporti a gestione diretta, ma è mia intenzione riprendere alcuni di questi scali che sono stati ceduti a terzi, in quanto in alcuni casi le società di gestione non sono in grado di garantirne il sostentamento e lo sviluppo, proprio perché i luoghi non sempre rispondono a logiche commerciali e imprenditoriali». L'Italia ha abdicato alle compagnie straniere i suoi collegamenti interregionali. Eppure questi vettori operano spesso con regimi fiscali agevolati. Oggi abbiamo soltanto sei compagnie aeree attive. Pensa che sia il sistema fiscale nazionale a rendere complicato fare impresa nel trasporto aereo oppure c'è altro?«Non è solo un discorso legato al sistema fiscale. Fare impresa nel trasporto aereo è sempre più complicato perché a fronte della crescita dei volumi del traffico aereo aumenta la concorrenza e bisogna essere anche in grado di sostenere la crescita dei costi, tra cui, ad esempio, il carburante. Nel nostro Paese bisogna garantire la competizione corretta a tutte le compagnie. Vigileremo con sempre maggiore attenzione soprattutto su quelle che ricevono contributi regionali e locali. Le regole devono essere uguali per tutti. Sul sistema fiscale si potrebbe pensare ad alcune agevolazioni, e questo è un altro aspetto su cui stiamo lavorando anche per cercare di arginare la vera e propria emigrazione verso l'estero che ha interessato l'aviazione generale negli ultimi anni».Tre difetti dell'aviazione civile italiana dei quali si è accorto?«Il primo è proprio la difficoltà di coordinamento e controllo dei contributi che vengono erogati alle compagnie da regioni e da enti territoriali. Enac deve monitorare, avere un quadro sempre aggiornato della situazione dei contributi di co-marketing e delle altre forme di aiuto, affinché le regole vengano rispettate. L'altra criticità di Alitalia, un Paese come il nostro non può non avere una compagnia di bandiera. E poi la gestione degli aeroporti: ci sono troppi campanilismi mentre dobbiamo puntare sulla creazioni di reti e fare squadra. Alcune già esistono, come in Puglia, e altre se ne stanno costituendo e bisogna supportarle, come nella Sicilia orientale e nel Nordest».Tre pregi dell'aviazione civile italiana che possiamo vantare nel mondo?«Abbiamo una grande cultura aeronautica, siamo stati tra i primi Paesi al mondo a sviluppare una nostra aviazione civile, tanto che molte parti del nostro Codice della navigazione sono state adottate da altre nazioni diventando un riferimento internazionale. Abbiamo grandi professionalità nel settore, grazie all'esistenza di scuole locali e alla diffusione della cultura che, però, avviene in maniera non centralizzata. L'Enac Academy potrà essere un'occasione per coordinare e armonizzare queste attività. E poi siamo capaci di fare innovazione tecnologica, pensiamo ai droni, all'adozione del sistema free-ruote, ai voli suborbitali. In questo l'Italia continua a essere un leader indiscusso».Un argomento più leggero. Sugli aeroplani che tipo di passeggero è il presidente Zaccheo, riposa, legge, è preoccupato, segue il volo?«L'aereo è uno dei pochi posti in cui dormo, sono assolutamente rilassato. Mi capita di addormentarmi già al decollo».Vola anche come pilota?«Non ho mai pilotato a parte in qualche simulatore di volo, dove, però, ho sorpreso anche piloti esperti. Ho sempre avuto un grande desiderio, fin da ragazzino, di pilotare un aeroplano o un elicottero, ed è una cosa che prima o poi farò».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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