2021-12-10
La Wertmüller se ne va prima della censura
Lina Wertmüller (Getty Images)
La regista premio Oscar alla carriera è morta a 93 anni. Girò scene epiche come i ceffoni di Giancarlo Giannini a Mariangela Melato Il suo cinema insisteva su differenze di genere e sociali, una libertà impensabile per gli alfieri del pensiero unico (che ora la lodano). Come un «commensale sazio», così se n’è andata Lina Wertmüller. La signora della commedia all’italiana, 93 anni compiuti lo scorso agosto, si è spenta nella notte fra mercoledì e giovedì. «Con lei se ne va una leggenda del cinema italiano, una grande regista che ha realizzato film densi di ironia e intelligenza, la prima donna candidata all’Oscar per la miglior regia», ha scritto su Twitter Roberto Gualtieri, sindaco di Roma che ha promesso di «allestire al Campidoglio la camera ardente». Gualtieri, online, ha ripreso per primo la notizia della morte, tacendo - nel suo epitaffio virtuale - l’assoluta irripetibilità del genio Wertmüller. Donna d’arte sin dai tempi della scuola, di quei giorni spensierati in cui i sogni, come i banchi, erano condivisi con Flora Carabella, poi moglie di Marcello Mastroianni, la Wertmüller non sarebbe potuta esistere oggi. Non nell’era del politicamente corretto: era bizzarra nella quale si piange una signora che, in base al dogmatismo galoppante, andrebbe sacrificata sull’altare del pensiero unico. Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Brauchich è riuscita, negli anni, a mettere alla berlina ogni sovrastruttura sociale. A farsi beffe dei luoghi comuni, del ragionare per stereotipi attraverso il filtro di un pregiudizio da piccola provincia. Nel farlo, ha firmato scene che i tromboni della cinematografia attuale rifiuterebbero categoricamente di definire «arte». Le botte di Giancarlo Giannini a Mariangela Melato, nell’indimenticabile Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, andrebbero sotto la categoria di «violenza di genere», di «istigazione all’odio». Le frasi con cui Raffaella Pavone Lanzetti non ha perso occasione di umiliare Gennarino Carunchio, marinaio comunista al soldo di quella ricca padrona, verrebbero annoverate come «classiste». Il «bottana industriale», due sole parole passate alla storia, sarebbe oggi un marchio «sessista». Lina Wertmüller, politica in anni di fuoco, dove l’ideologia non era una scelta di comodo né una moda ma il riflesso di un preciso quanto rischioso sentire umano, non sarebbe sopravvissuta alla livella hollywoodiana. Ma la signora dagli occhiali bianchi, lo scempio di un’arte maciullata sotto la livella di Totò, ha fatto tempo a scamparlo, e al mondo che oggi - un po’ ipocritamente - la piange ha lasciato in dote capolavori potentissimi. Lo schema critico di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, arrivato nel 1974, dopo il successo de I Basilischi, di Mimì metallurgico ferito nell’onore e di Film d’amore e d’anarchia, lo avrebbe ripetuto più volte. Pasqualino Settebellezze, con le sue quattro nomination all’Oscar. Io speriamo che me la cavo, dove Paolo Villaggio ha dato vita alla miglior interpretazione drammatica della propria carriera, Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova - Si sospettano moventi politici e poi Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica. Nella propria filmografia, Lina Wertmüller ha fatto voto di includere posizioni che al tempo pochi avevano l’ardire di sostenere. Lo ha fatto nei film, e nei titoli che li hanno accompagnati, così lunghi da essere entrati nel guinness dei primati. Ha raccontato, con ironia e ferocia, la contrapposizione eterna fra Nord e Sud, la dialettica fra borghesia e proletariato. Si è interrogata sul ruolo della donna, sull’egemonia ormai interrotta dell’uomo. E «per il suo provocatorio scardinare con coraggio le regole politiche e sociali», nel 2020, si è vista assegnare un Oscar alla carriera. «È un’emozione fortissima. Bisognerebbe cambiare nome a questa statuetta. Perché Oscar? Chiamiamola con un nome di donna, chiamiamola Anna», si è limitata a dire sul palco del Ray Dolby Ballroom dell’Hollywood & Highland Center, rigirandosi fra le mani l’ometto luccicante. Rideva, allora, gli occhiali bianchi ben calcati sul naso. Gli stessi occhiali che, questa mattina, resteranno sul comodino.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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